«Oltre la
soglia del dolore, c’è la vita»
Documentare l'orrore della guerra per conoscere le cose come
stanno davvero. La vita e l'impegno della reporter e documentarista russa,
cattolica, Katerina Gordeeva, contro l’amnesia collettiva sul conflitto in
Ucraina
Maria Acqua Simi25.09.2024
«Ho deciso di raccogliere le voci di russi e ucraini sul
campo, di documentare tutto, perché un domani i miei figli possano conoscere la
storia per come è stata, non per come l’ha narrata la propaganda. E perché se
in futuro ci saranno dei processi, queste testimonianze possano servire alla
verità e alla giustizia». Incontriamo Katerina Gordeeva un sabato mattina,
mentre si trova in Italia, paese dove le piacerebbe vivere perché, spiega, ama
il sole e la buona cucina. Vincitrice del premio Anna Politkovkskaja 2024, è
una delle giornaliste russe indipendenti più autorevoli. Un’autorevolezza che
si è guadagnata sul campo, prima come reporter della tv nazionale russa
seguendo le guerre in Cecenia, Iraq e Afghanistan e ora come documentarista.
Nata nel 1977 a Rostov sul Don (nel sud, vicino al confine ucraino) è cattolica
ma viene da una famiglia ebrea. Metà dei suoi stanno in Ucraina, un’altra metà
in Russia.
«Ho sempre avuto memoria dei pullman e dei minibus che
collegavano Rostov con Doneck, Lugansk, Mariupol’ e Melitopol’. Le
particolarità di lessico e di pronuncia di Rostov sono molto simili a quelle di
chi vive nell’Ucraina orientale. In tanti anni di vicinanza ci siamo mescolati:
gli abitanti di villaggi e cascine cosacche, di paesini limitrofi si sono
sposati fra loro, hanno unito le loro produzioni agricole, hanno generato
figli. Oggi metà della mia famiglia vive a Kiev, la città a cui ha dichiarato guerra
Mosca». Lei e il marito, invece, si sono trasferiti a Riga, in Lettonia, dieci
anni fa. «Nel 2014, dopo l’annessione russa della Crimea, ho capito che la
propaganda governativa era troppo forte. Io non potevo combatterla, non potevo
continuare a lavorare per loro e non potevo salvare i miei figli da quella
menzogna. Così abbiamo abbandonato la Federazione russa. Una scelta dolorosa,
perché abbiamo lasciato la famiglia e tante cose care. Come la Fondazione che
aiuta i bambini oncologici che seguivo da anni».
Non ha mai smesso di lavorare però per il popolo russo e per
chi parla la lingua russa. «Anche se il mio Paese sembra essere diventato
pazzo, come se vivesse una amnesia collettiva e la gente sembra stare solo in
silenzio di fronte alla guerra, io voglio che possano sentire ancora una voce
che in russo prova a dire le cose come stanno». Per questo continua a fare
interviste e reportage sul suo canale Youtube e sempre per questo ha
recentemente pubblicato Oltre la soglia del dolore (21lettere, 2024), una raccolta
di ventiquattro storie ucraine e russe che raccontano la tragedia della guerra.
Da entrambi i lati, senza censure. Come ha scritto nella prefazione Dmitrij
Muratov, premio Nobel per la pace e caporedattore di Novaja Gazeta, “Katerina
Gordeeva è diventata un’alternativa unipersonale a una colossale macchina di
propaganda”.
Nel suo lungo reportage Katerina ha incontrato tantissime
persone, tutte segnate fisicamente o mentalmente dal conflitto in corso. Come
Danila, mutilato a una gamba, o Rita, che ha sposato un coreano e ha deciso che
in Ucraina non tornerà mai più e poco importa se la prenderanno i russi o se
resterà in mano agli ucraini. «Aveva studiato come otorino pediatrico, in mezzo
alla confusione della guerra si ritrova nel sangue, a ricucire gli arti
strappati dalle esplosioni delle bombe, e a domandarsi se è per questo che ha
studiato, se è per questo che deve vivere». E poi ci sono coloro che sono
convinti che la Russia abbia fatto bene ad arrivare nel Donbass dieci anni fa,
altri che non hanno più lacrime («piangere è un lusso che nessuno vuole
concedersi»), madri che vorrebbero solo annullarsi dopo la notizia della morte
dei figli al fronte, giovani vedove. «Ho girato tanti video di queste
interviste, ma le voci di quella gente mi tormentavano e ho scelto di metterle
anche su carta. Anche se oggi c’è poco spazio per il giornalismo indipendente
in Russia, ci sono le persone».
Come la piccola Katja. «Stavo parlando con la madre, una
sarta il cui marito, muratore, si trovava al fronte. Parlavamo della guerra e
la donna raccontava dei morti, dei mutilati, della paura del futuro. Non so da
quanto tempo stessimo lì. All’improvviso quella bimba, che poco prima stava
guardando Peppa Pig, comincia a tirare dei piccoli pugni alla mamma
implorandola di smetterla di parlare di queste cose. “E di cosa dovremmo
parlare, Katja?”, le ho domandato con l’oscena speranza dell’adulto che i bambini,
nella loro purezza, sappiano tutto e meglio, direttamente da Dio. “Del bene”,
mi ha risposto. “Del bene?”. “Sì”. Poi ha serrato le spalle e ha chiesto solo
alla madre di prenderla in braccio e di poter andare a dormire». Su questa
ricerca del bene si sofferma Katerina, anche nella nostra intervista. «Io amo
profondamente la Russia e quando vedo manifestazioni contro il mio Paese
piango. Piango perché siamo dalla parte sbagliata della storia e io so che non
farò mai abbastanza per impedirlo. Però l’odio è un sentimento tanto facile. Ma
la gioia… è come un parto. Ho quattro figli, so cosa vuol dire il dolore del
parto. Ma la gioia che viene dopo è qualcosa di non misurabile. Parlo della
gioia cristiana, quella di cui parla san Paolo, quella che nasce dalla certezza
che non sarà il male ad avere l’ultima parola. Ce lo dice la nostra fede
cristiana, vorrei vivere per questo e che i miei figli vivano per questo».
(……)
https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2024/09/25/intervista-katerina-gordeeva#:~:text=%C2%ABOLTRE%20LA%20SOGLIA,di%20misericordia%C2%BB.