LETTURE/
La domanda di Hannah Arendt ai cristiani in un mondo di individualismo e
solitudine
Per maturare occorre dare un giudizio sul mondo, oggi quello
della civiltà dei consumi. Ma per guardare in faccia alla realtà occorre essere
in compagnia
Angelo Campodonico Pubblicato 24 Ottobre 2024
Occorre valutare il mondo in cui viviamo per maturare come
esseri umani ed essere liberi. Meglio valutare sbagliando nei giudizi che non
valutare. Sempre che uno sia disposto a lasciarsi provocare dal giudizio degli
altri e a modificare così, quando necessario, la sua valutazione. In altri
termini: non possiamo evitare la scelta fra una concezione della realtà come
estranea o addirittura ostile, da un lato, o come occasione di maturazione
umana dall’altro.
Dal momento che assistiamo da tempo al più imponente e
veloce mutamento tecnologico, culturale e umano della storia sarebbe
impossibile non sbagliare in nessun modo. Inoltre valutare non significa
giudicare nel senso della condanna. Occorre, invece, cercare di formulare
sempre un giudizio che indichi una strada di maturazione possibile, pur
rilevando, quando necessario, ciò che va contro l’uomo.
Gettando uno sguardo sugli ultimi decenni a partire dal
Sessantotto, si deve riconoscere che dalla speranza nella rivoluzione ovvero in
un mutamento radicale dell’uomo si è passati in pochi anni alla piena vittoria
del neocapitalismo, del consumismo e delle nuove tecnologie. Ma di questa
vittoria e della sua incidenza su noi stessi e non solo sugli altri non si è
preso adeguatamente coscienza da parte di tutti e, in particolare, da buona
parte del ceto intellettuale e politico, il quale spesso ha difeso battaglie
sui diritti che la diffusione del consumismo e del benessere avevano
evidenziato e reso possibili, ma spesso senza scorgere anche i limiti presenti
nella nuova situazione. In questo senso certe analisi marxiste della società
come quelle degli autori della Scuola di Francoforte da Max Horkheimer a Eric
Fromm, possono essere ancora attuali e vanno riprese, come in parte già
avviene, anche se è difficile aderire alle terapie marxiste dopo la crisi del
Sessantotto e la fine del comunismo realizzato.
Il giudizio sulla cosiddetta società dei consumi e della
globalizzazione, sulle nuove tecnologie e sulla nuova condizione umana in
continuo mutamento non può che essere sfumato, cosciente delle ambiguità della
storia. Si tratta di tener conto di quella critica al “perfettismo”, all’utopia
in ambito politico, di cui il populismo è una delle possibili espressioni, e
che il pensiero critico non può non fare propria.
Occorre riconoscere, da un lato, che sono emerse nuove
esigenze e nuovi diritti che un passato di miseria, privazioni, assenza di
democrazia e ignoranza sul piano scientifico aveva sopito e non permesso di
vedere. Ma occorre riconoscere, dall’altro, che si sono pure censurati aspetti
di mercificazione della vita che il consumismo indubbiamente favorisce in
tutti, anche in chi lo critica, e che si manifestano, per esempio, in una più
accentuata omologazione culturale e nel trattare con un linguaggio inadeguato
tematiche delicate riguardanti l’inizio vita.
Talvolta la coscienza di un certo bene fa dimenticare il
male. Come osserva Simone Weil, non basta essere stati feriti gravemente nella
propria dignità o magari pensare di esserlo stato, per avere ragione quando si
valuta il nostro tempo e si prende posizione. Occorre un’attenzione, un
giudizio che sappia distinguere fra bene e male. Del resto non è strano che
nelle cose umane essi siano intimamente mescolati come il grano e la zizzania
della parabola evangelica.
(….)
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