venerdì 8 novembre 2024

Dove guarda l'America

 


Dove guarda l’America

La vittoria di Trump, l’inedito mosaico di comunità e minoranze - compresa buona parte dei cattolici - che lo ha votato e il nuovo volto degli Stati Uniti

Mattia Ferraresi07.11.2024

La clamorosa vittoria elettorale di Donald Trump mostra un nuovo volto dell’America. Il presidente non è stato rieletto dagli istinti nativisti dei bianchi in preda all’ansia di perdere lo status di maggioranza nel Paese, ma da una coalizione eterogenea che comprende ispanici, afroamericani, elettori di origine araba e asiatica, lavoratori a basso reddito, giovani, donne, comunità rurali, urbane e suburbane. Kamala Harris ha accresciuto il consenso dei democratici soltanto fra le donne laureate over 65. Emergono in questa composizione i non laureati e i giovani che hanno votato per la prima volta, cercando rappresentanza e protezione. Ci sono giovani elettori che lo hanno votato perché è il capo del partito di Elon Musk e J.D. Vance, non perché siano persuasi dal messaggio dell’ex presidente.

Insomma, Trump è stato votato dalle comunità più povere,fragili, sottorappresentate e marginalizzate dal punto di vista culturale. Anche dai cattolici. Le prime indicazioni dicono che il 56 per cento dei cattolici ha votato per Trump, il 41 per cento per Harris. Il voto cattolico è tradizionalmente spaccato, anche perché in America (meglio: in tutta la modernità) i criteri della partecipazione politica non sono innanzitutto dettati dall’esperienza di fede, ma dalla tradizione culturale, e a ogni tornata elettorale la maggioranza si sposta su un partito o sull’altro a seconda di diversi fattori. Quattro anni fa il cattolico Joe Biden era stato il più votato, nel 2016 è stato Trump a ottenere la maggioranza, Barack Obama per due volte è stato preferito (ma con margini minimi) dai fedeli, mentre il cattolico democratico John Kerry è stato sconfitto da George W. Bush. Forse i cattolici hanno interpretato le parole di papa Francesco, che di fronte a due candidati da lui definiti «contro la vita» – Harris con l’appoggio all’aborto, Trump con le politiche anti-immigrazione – ha suggerito di valutare il male minore, come un via libera a votare un politico che ha un passato di rapporti turbolenti con la Chiesa.

Certamente, le posizioni del partito repubblicano su aborto, fine vita e alcuni temi etico-sociali fondamentali sono più affini alla visione cristiana del mondo, e la scelta di un convertito al cattolicesimo come J.D. Vance alla vicepresidenza ha contribuito alla mobilitazione. Ma, come si diceva, il popolo che a gennaio porterà di nuovo Trump alla Casa Bianca è un mosaico, non una tela monocolore.

Il grande politologo Francis Fukuyama, severo critico della destra che però non ha mai creduto che il motore del consenso di Trump fosse soltanto il risentimento razziale, ha detto che la ragione della sua vittoria va cercata nel «ripudio di due forme del liberalismo» che si sono affermate come dominanti nell’epoca contemporanea. La prima è la «venerazione dei mercati», cioè l’idea che tutto si possa affrontare armati soltanto del criterio dell’efficienza. La seconda forma è il «liberalismo woke», la politica identitaria che ha riempito università, istituzioni culturali, media e aziende di conflitti di potere fra identità (razziali, di genere, culturali, intersezionali) da risolvere con corsi di rieducazione, autocensure, cancellazioni. «Lo hanno votato rispetto a prima essenzialmente neri e ispanici della working class, con un basso livello d’istruzione», ha spiegato Fukuyama. «Perciò, l’idea della sinistra che le minoranze sarebbero state attratte dalla politica delle identità è stata ripudiata in modo decisivo»

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