venerdì 24 ottobre 2025

Enzo Piccinini: un giudizio sempre attuale

 Un giudizio sempre attuale



Ieri ero a Bari, avevamo fatto una serie di cose nella comunità, ero anche molto contento. Abbiamo fatto una ricchissima colazione fantastica lì con il gruppetto e a un certo punto per radio si sente – parlano dell’ex Jugoslavia – che riinizia la guerra: mobilitazione generale, notizie terrificanti e uno si blocca. Io credo che se uno è minimamente cosciente di sé, di fronte a quella roba lì non riesce più a mangiare, perché il problema vero è che sono riusciti a toglierci quella sensibilità per cui uno quasi senza volerlo dice: ”Ma io cosa c’entro? Sono affari loro, han sempre litigato”, oppure: ”Sono africani”, o “Sono musulmani”. Cioè, hanno tolto qualcosa dal cuore e dalla mente per cui di quel che succede io posso dire “non c’entro”. Ma se di quel che succede io posso dire o vivere come se non c’entrassi, che cosa hanno tolto? Il senso del mistero e dell’assoluto, cioè hanno tolto il destino! Uno è come se vivesse senza la coscienza del destino perché, con la coscienza del destino, quel destino è uguale a quello di chi là sta morendo adesso in casa sua perché due fazioni litigano. O come le centinaia di persone che sono morte, la gente delle barche: erano un popolo, questa gente qui, distrutti, e continuano ancora adesso, centinaia, migliaia di morti, annegati! Ma come si fa a stare al mondo? Con che dignità continuo a fare tutto senza una risposta a questo, senza un minimo di risposta a questo? Lo possiamo fare: lo sapete perché? Ci han tolto il senso del destino, il senso del mistero. “Cosa c’entro io? Sono affari loro, no?” E così continuiamo come niente fosse, con nemmeno l’inquietudine di dire: “Signore aiutali, pensaci tu!” Nemmeno quest’inquietudine qui…
(da un'Assemblea a Bologna, 21 giugno 1992)
 


Quando mi sono convertito, all’inizio, c’erano vari problemi, perché i miei amici di prima (che erano piuttosto tenaci e duri, era il periodo della guerra in Vietnam) mi perseguitavano. E il tono era questo: «Ti sei fatto il tuo angolino, eh? Vai anche a pregare. Cosa fai per il Vietnam? Non ti rimorde la coscienza?». Ero un po’ ricattato, non riuscivo a capire. Una volta c’era stata una manifestazione, uscivo dalla mensa universitaria, mi hanno circondato e hanno incominciato un’invettiva durissima.
Vedevano che ero debole proprio nelle ragioni. Io stavo malissimo, non riuscivo a rispondere; a un certo punto mi è venuta l’idea e ho detto loro: «Io per il Vietnam costruisco la Chiesa, qui». Non lo scorderò più: questa è la verità della questione.
Oggi quando mi vedono si vergognano, perché fanno tutti i mestieri che non volevano fare e il loro “sinistrismo” è rimasto nei viaggi in Oriente, nel verdismo o nel fare i sub e scambiarsi le foto o nel portare il cane a passeggio. Questo è quello che è rimasto. Io, invece, sono ancora sulla breccia! Qualche volta dico a qualcuno di loro: «Che cosa fai per il Vietnam?». C’è un pezzo fantastico dei Cori da «La Rocca» di Eliot: «Senza tempio non ci sono dimore»: senza la presenza del Mistero che ci ama, non c’è posto per l’umanità. Per questo bisogna costruire la Chiesa.
(dall'incontro pubblico "Il Cristianesimo è per la felicità dell’uomo" - Ferrara, 14 maggio 1999)