domenica 17 novembre 2024

Luca Doninelli legge la "Dilexit nos" di papa Francesco

 


“Dilexit nos”. Quella fede umile e testarda

Un «inno» alla religiosità vera, all’«incontro del nostro piccolo cuore con il Cuore ferito di Cristo». Luca Doninelli legge l’enciclica di Papa Francesco

Luca Doninelli11.11.2024

Il tema da cui prende l’avvio la recente enciclica Dilexit nos di Papa Francesco è uno di quelli con cui occorre fare i conti sempre, quale che sia la nostra posizione, credenti o non credenti, buoni o cattivi. Meriti e demeriti non spostano il problema. La parola che lo definisce ci è nota, forse troppo: cuore.

Chi ha avuto la fortuna di crescere alla scuola di don Giussani conosce bene il significato biblico di questa parola: un complesso di evidenze ed esigenze insopprimibili che ogni essere umano porta in sé: verità, giustizia, bellezza, amore. In modo analogo ce lo presenta la Dilexit nos: «Dice la Bibbia che “la parola di Dio è viva, efficace [...] e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). In questo modo ci parla di un nucleo, il cuore, che sta dietro ogni apparenza, anche dietro i pensieri superficiali che ci confondono». È il primo, originale mistero dell’«esser nostro».

Eppure noi abbiamo paura del cuore. Parlando con un conoscente, fieramente ateo, mi capitò tempo fa di accennare alla cosa. Lui sorrise, beffardo: «Guardi, per me il cuore non è che un muscolo che pompa il sangue e che va tenuto periodicamente sotto controllo dal cardiologo: il resto non m’interessa». Ricordo il tono quasi isterico delle sue parole, la voglia di archiviare la questione il più in fretta possibile. Ma la sua paura era anche la mia, tra noi la differenza fra “credente” e “non credente” non c’era più. Noi costruiamo le nostre vite, le nostre carriere, le nostre case, diamo cose buone a coloro che amiamo (come tutti i bravi pagani), facciamo opere buone, eppure si può fare tutto questo cercando al tempo stesso di mettere al suo posto, ossia di archiviare, o di relegare ai momenti “religiosi” le parole del poeta: «Qualunque cosa tu dica o faccia / c'è un grido dentro: / non è per questo, non è per questo! / E così tutto rimanda / a una segreta domanda: / l’atto è un pretesto».

Per questo, credo, tra noi si fa la Scuola di comunità: per cercare di non evitare il nostro cuore. Ed è lo stesso invito, il primo, la condizione fondamentale, che il Papa ci rivolge nella sua enciclica. Ma il cuore, lo sappiamo, da solo non basta a rintracciare la via: è come una ferita aperta nella nostra vita, è un cuore fragile, piccolo, soggetto a inganni, riduzioni, fraintendimenti. Perciò non può che attendere la sua salvezza, la parola che finalmente illuminerà quel suo continuo sentirsi vuoto, insensato. Esiste infatti un altro Cuore, pronto a farsi carico del nostro, un Cuore sanguinante d’amore, che ci ha attesi prima che noi imparassimo ad attenderLo. L’origine della fede sta in questo incontro di cuori feriti, l’uno mendicante dell’altro, come disse don Giussani. Questa mendicanza è, se così si può dire, il cuore del cuore.

Tutti ricordiamo il padre di quei due giovani, uno dei quali volle andarsene a vivere la propria vita, pretese metà del patrimonio e lo sperperò con le prostitute; tutti ricordiamo quel padre anziano, che tutti i giorni, in mezzo a mille faccende, anziché serbare rancore verso il figlio ingrato si affaccia al balcone della sua casa, e scruta la strada nella speranza di vedere spuntare, all’orizzonte, la sua figura amata. La fede è, anzitutto, l’incontro del nostro piccolo cuore con il Cuore ferito di Cristo: «O côr soave, côr del mio Signore, ferito gravemente: non da coltel pungente, ma dallo stral», dalla freccia acuminata, «che fabbricò l’Amore». Chi mai può dire e concepire parole come queste? Non un teologo, un biblista, ma solo un cuore ferito e, finalmente, grato.

Le pagine dell’enciclica dedicate al Sacro Cuore di Gesù sono commoventi, e ci ricollegano - noi uomini moderni e carichi di incredulità perfino mentre preghiamo - alla fede semplice e profonda dei nostri nonni e dei nostri bisnonni. Il testo, pur pieno di riferimenti biblici e teologici, è soprattutto un inno a questa fede umile e testarda, fatta della stessa materia del cuore, che non si accontenta di precetti e di risposte già date, e nemmeno di un incontro relegato nel ricordo. Ce lo siamo detti tante volte, ed è così: questo incontro è vero se avviene qui, ora: la memoria cristiana non è un ricordo, ma la consapevolezza della trama di cui è fatta la realtà, il Mistero che fa tutte le cose, adesso. Il Papa ce lo dice, in queste pagine, tante volte in tanti modi diversi.

C’è, infine, un’ultima insistenza, fondamentale. La esprime Gesù stesso, quando spiega qual è l’amore di cui ha sete il suo Cuore, il Cuore per mezzo del quale tutto esiste: non una semplice devozione individuale, ma l’accoglienza dell’altro - e specialmente dei poveri e di chi soffre - come parte essenziale del Suo corpo fisico. «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me» (Mc 9, 37). Lo stesso vale per ogni azione missionaria, anche qui guai all’uomo solo!

(…….)

https://it.clonline.org/news/chiesa/2024/11/11/doninelli-enciclica-dilexit-nos#:~:text=%E2%80%9CDILEXIT%20NOS%E2%80%9D.%20QUELLA,Unsplash/Matea%20Gregg)


Colletta alimentare 2024

 


Si è svolta ieri, con grande successo e partecipazione, la 28° Giornata Nazionale della Colletta Alimentare organizzata da Banco Alimentare: il bilancio

colletta banco alimentare

Si è svolta ieri, con grande successo e partecipazione, la 28° Giornata Nazionale della Colletta Alimentare, che ha visto aumentare a oltre 12.000 i supermercati coinvolti in tutta Italia, e a più di 155.000 volontari. Più di 5 milioni di donatori hanno contribuito, ciascuno con quello che poteva, a questa grande festa di solidarietà e condivisione, permettendo di raccogliere 7.900 tonnellate di cibo da destinare alle persone in difficoltà.

In occasione di questa giornata, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso il suo sostegno non solo concedendo l’Alto Patronato ma anche contribuendo con una donazione di beni alimentari, un gesto che testimonia la sua vicinanza a chi è in difficoltà.

La Colletta Alimentare, che da 28 anni si ripete senza interruzioni, è una vera e propria festa del dono, dove ogni contributo, piccolo o grande, diventa segno di una solidarietà concreta che unisce le persone e rafforza il senso di comunità. L’iniziativa è stata anche il gesto con il quale la Fondazione Banco Alimentare aderisce alla odierna Giornata Mondiale dei Poveri, seguendo il messaggio di Papa Francesco che invita ad aprire il cuore e le mani per accogliere e condividere, riconoscendo nei più fragili un bisogno che interpella ciascuno di noi.

Nel corso della giornata i supermercati e i centri di raccolta e stoccaggio si sono trasformati in luoghi di speranza e condivisione animati da migliaia di volontari: tra questi tantissimi giovani e studenti di ogni età, che hanno vissuto un’esperienza preziosa per crescere come cittadini responsabili, capaci di fare la differenza per il bene comune.

Tra i tanti donatori anche i detenuti di 40 Istituti Penitenziari, a testimonianza che nessuno è troppo povero per non poter donare o troppo ricco per non aver bisogno di ricevere: un gesto di condivisione è sempre possibile.

I prodotti donati saranno distribuiti nelle prossime settimane alle 7.632 organizzazioni partner territoriali, tra mense per i poveri, case-famiglia, comunità per i minori e centri d’ascolto, raggiungendo così 1,8 milioni di persone in difficoltà.

La Colletta Alimentare continua online fino al 10 dicembre su alcune piattaforme dedicate: per conoscere le modalità di acquisto dei prodotti è possibile consultare il sito colletta.bancoalimentare.it.

La Colletta Alimentare è stata resa possibile anche grazie alla collaborazione di Federazione Nazionale Italiana Società di San Vincenzo De Paoli ODV, Cdo Opere Sociali, Esercito, Aeronautica Militare, Associazione Nazionale Alpini, Associazione Nazionale Bersaglieri, Lions Club International.

giovedì 14 novembre 2024

Volantino di GS in Spagna sull'alluvione a Valencia

 


Valencia. Guardare oppure no

Il volantino di giudizio sulla Dana firmato dagli studenti di GS spagnoli e la raccolta fondi lanciata dall’ong Cesal
La Dana (depressione isolata ad alta quota, ndt) che ha colpito Valencia pochi giorni fa ha lasciato tracce fisiche, danni materiali e centinaia di morti. Ancora oggi, migliaia di volontari e membri degli organismi e delle forze di sicurezza dello Stato continuano a cercare i corpi nei veicoli, nei garage e persino nelle fondamenta di alcuni edifici in costruzione. Abbiamo visto con i nostri occhi la ferocia dell’acqua. E questa volta non si trattava di un uragano atlantico o di un tifone nel Mar della Cina, ma di piogge torrenziali concentrate nel nostro Paese.

Di fronte a questo fenomeno misterioso, improvviso e violento, abbiamo la libertà di “guardare o non guardare”. E non è una scelta banale. La prima opzione ci riempie di silenzio e di domande; la seconda ci rende più stolti. Se non guardo in faccia quello che è successo a Valencia, sarò in grado di guardare i problemi a casa, le difficoltà negli studi, le preoccupazioni nei rapporti con gli amici o le crisi emotive? Guardare o non guardare la realtà che ci circonda ha un impatto profondo sulla nostra vita personale e comunitaria.

Giussani afferma che «il senso religioso coincide con quel senso di originale, totale dipendenza che è l’evidenza più grande e suggestiva per l’uomo di tutti i tempi. […] Noi siamo come di fronte ad una voce che chiama. Potremo rispondervi o no, ma non possiamo impedire che essa chiami» (Il senso di Dio e l’uomo moderno, BUR 2010, pp. 14-15). Perché vale la pena vivere? Qual è il significato della mia esistenza? Perché muoiono persone innocenti? Che senso ha la mia vita? Sono domande che nascono dal profondo del nostro essere. Non vogliamo scappare, vogliamo guardare tutto.

D’altra parte, le alluvioni hanno messo in luce qualcosa di sorprendente: quei giovani di cui di solito diffidiamo hanno preso la scopa e si sono sacrificati per i loro vicini. A cosa serve la vita se non per essere donata? Si è risvegliato in loro un desiderio che già pulsava nel loro cuore; davvero a volte un dramma fa emergere quanto di più originale c’è in noi. Come possiamo aiutarci a mantenere vivo questo bisogno, questo impulso autentico?

Forse è proprio da questo impulso a donare se stessi che trae origine una ricerca più profonda, una domanda più radicale: possiamo davvero salvare tutto? La fede non è una soluzione magica. Non comprendiamo la sofferenza umana di fronte alla tragedia, ma possiamo porre questa domanda a Dio. Siamo certi che per ogni morte e per ogni cuore sofferente c’è stato un uomo, Gesù di Nazareth, che ha deciso volontariamente di portare quel dolore sulla croce. E Lui stesso ha sussurrato in questi giorni a ogni defunto: «Non temere, oggi sarai con me in Paradiso». Non sono scomparsi nel nulla, non hanno avuto un’esistenza assurda, sono finiti tra le mani di Colui che ha vinto la morte.
Gioventù Studentesca Spagna

Clicca qui per sostenere la campagna di raccolta fondi dell’ong Cesal per le necessità delle persone colpite dalla Dana a Valencia
Volontari spalano il fango dalle strade (Foto Ansa-Abaca)Volontari spalano il fango dalle strade (Foto Ansa-Abaca)

venerdì 8 novembre 2024

Dove guarda l'America

 


Dove guarda l’America

La vittoria di Trump, l’inedito mosaico di comunità e minoranze - compresa buona parte dei cattolici - che lo ha votato e il nuovo volto degli Stati Uniti

Mattia Ferraresi07.11.2024

La clamorosa vittoria elettorale di Donald Trump mostra un nuovo volto dell’America. Il presidente non è stato rieletto dagli istinti nativisti dei bianchi in preda all’ansia di perdere lo status di maggioranza nel Paese, ma da una coalizione eterogenea che comprende ispanici, afroamericani, elettori di origine araba e asiatica, lavoratori a basso reddito, giovani, donne, comunità rurali, urbane e suburbane. Kamala Harris ha accresciuto il consenso dei democratici soltanto fra le donne laureate over 65. Emergono in questa composizione i non laureati e i giovani che hanno votato per la prima volta, cercando rappresentanza e protezione. Ci sono giovani elettori che lo hanno votato perché è il capo del partito di Elon Musk e J.D. Vance, non perché siano persuasi dal messaggio dell’ex presidente.

Insomma, Trump è stato votato dalle comunità più povere,fragili, sottorappresentate e marginalizzate dal punto di vista culturale. Anche dai cattolici. Le prime indicazioni dicono che il 56 per cento dei cattolici ha votato per Trump, il 41 per cento per Harris. Il voto cattolico è tradizionalmente spaccato, anche perché in America (meglio: in tutta la modernità) i criteri della partecipazione politica non sono innanzitutto dettati dall’esperienza di fede, ma dalla tradizione culturale, e a ogni tornata elettorale la maggioranza si sposta su un partito o sull’altro a seconda di diversi fattori. Quattro anni fa il cattolico Joe Biden era stato il più votato, nel 2016 è stato Trump a ottenere la maggioranza, Barack Obama per due volte è stato preferito (ma con margini minimi) dai fedeli, mentre il cattolico democratico John Kerry è stato sconfitto da George W. Bush. Forse i cattolici hanno interpretato le parole di papa Francesco, che di fronte a due candidati da lui definiti «contro la vita» – Harris con l’appoggio all’aborto, Trump con le politiche anti-immigrazione – ha suggerito di valutare il male minore, come un via libera a votare un politico che ha un passato di rapporti turbolenti con la Chiesa.

Certamente, le posizioni del partito repubblicano su aborto, fine vita e alcuni temi etico-sociali fondamentali sono più affini alla visione cristiana del mondo, e la scelta di un convertito al cattolicesimo come J.D. Vance alla vicepresidenza ha contribuito alla mobilitazione. Ma, come si diceva, il popolo che a gennaio porterà di nuovo Trump alla Casa Bianca è un mosaico, non una tela monocolore.

Il grande politologo Francis Fukuyama, severo critico della destra che però non ha mai creduto che il motore del consenso di Trump fosse soltanto il risentimento razziale, ha detto che la ragione della sua vittoria va cercata nel «ripudio di due forme del liberalismo» che si sono affermate come dominanti nell’epoca contemporanea. La prima è la «venerazione dei mercati», cioè l’idea che tutto si possa affrontare armati soltanto del criterio dell’efficienza. La seconda forma è il «liberalismo woke», la politica identitaria che ha riempito università, istituzioni culturali, media e aziende di conflitti di potere fra identità (razziali, di genere, culturali, intersezionali) da risolvere con corsi di rieducazione, autocensure, cancellazioni. «Lo hanno votato rispetto a prima essenzialmente neri e ispanici della working class, con un basso livello d’istruzione», ha spiegato Fukuyama. «Perciò, l’idea della sinistra che le minoranze sarebbero state attratte dalla politica delle identità è stata ripudiata in modo decisivo»

(…)

https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2024/11/07/elezioni-usa#:~:text=DOVE%20GUARDA%20L%E2%80%99AMERICA,in%20modo%20decisivo%C2%BB.


martedì 5 novembre 2024

Universitari del Clu a Valencia alluvionata

 


Solo l’amore trasforma il fango in miracolo

Un gruppo di universitari di Valencia aiuta a ripulire le zone devastate dall’alluvione. «Da dove arrivate, dal Cielo?». La loro testimonianza

04.11.2024

Cari amici,

vi scriviamo questa lettera dopo quanto accaduto a Valencia. Il 29 ottobre c’è stata una fortissima alluvione che ha distrutto molti comuni intorno alla città. La situazione qui è devastante: attraversando le vie che sono state colpite, ciò che si vede non sembra reale, non sembra possibile che sia successo tutto questo. Il numero dei morti è già molto elevato e sta salendo drasticamente man mano che gli aiuti raggiungono tutte le zone colpite. Molta gente, infatti, era per strada in quel momento perché non ci si aspettava un’esondazione così dirompente e rapida. Ad ora è impossibile immaginare quando sarà possibile riparare i danni. È impressionante guardarsi attorno, perché tutto è dello stesso colore, non si riesce a distinguere ciò che c’è per terra. Quando siamo lì, per poter essere d’aiuto, continuiamo a camminare per ore con il fango fino alle caviglie. Di fronte a tutto questo ci nascono molte domande: “Dov’è la speranza?”, “Dov’è Cristo?”.

Durante questi giorni ci siamo sorpresi per come l’amicizia con i nostri compagni del CLU (gli universitari di Comunione e Liberazione, ndr) ci sostenga davanti alla durezza di ciò che vediamo. Non solo con quelli qui presenti, ma anche con tutti quelli che ci hanno scritto, dal resto della Spagna e dall’Italia. Come sapete, la comunità degli universitari di Valencia è nata solo da un anno, ma in molti si conoscono appena da un paio di mesi. Nonostante ciò, possiamo dire con certezza che non ci occorre nulla di diverso per poter affrontare questa situazione. Lavorando in questi giorni, è evidente che Dio si sta servendo della nostra amicizia per costruire. Gli amici sono, infatti, ciò che permette che la disperazione non sia l’ultima parola rispetto a questa circostanza. Ieri, per esempio, hanno allontanato tutti i volontari da una via che stavamo ripulendo dal fango per poter svuotare un garage all’interno del quale non volevano che nessuno vedesse cosa c’era dentro. In quel momento è stato chiaro che uno non poteva stare davanti a questo da solo, ma che solo all’interno di questa amicizia si poteva continuare ad aiutare, rimanendo completamente se stessi.

Un altro aspetto che ci sta impressionando è la quantità di volontari che ogni giorno si mettono in cammino per poter aiutare. Migliaia di persone partono dalla città per raggiungere le zone colpite. È impressionante vedere come questa solidarietà e questo bisogno di aiutare siano intrinseci ad ognuno. La misericordia usa tutti i volti che hanno questo desiderio nel cuore. D’altra parte, ci commuove vedere nei volti che abbiamo incontrato un gran dolore, ma non un’assoluta disperazione, anzi, il contrario: persone piene di speranza e gratitudine per tutto l’aiuto che ricevono. Ad esempio, ieri abbiamo aiutato a casa di una famiglia ed è stato incredibile vedere quanto fossero grati che avessimo tolto il fango dalla loro strada. Ci hanno invitato a pranzare insieme perché era l’unico modo che avevano per ringraziarci. Era chiaro che stavamo ricevendo di più di quello che stavamo dando con il nostro aiuto.

 

Anche giovedì, mentre ripulivamo la chiesa di un paese, in mezzo a moltissima gente che stava facendo la stessa cosa, si è avvicinata una signora sorpresa di non aver mai visto prima le nostre facce in quella parrocchia. Era impressionata dal fatto che fossimo lì ad aiutare, senza conoscere nessuno. Ci ha chiesto: «Da dove venite, dal Cielo?».

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https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2024/11/04/valencia-giudizio-universitari-clu#:~:text=SOLO%20L%E2%80%99AMORE%20TRASFORMA,CLU%20di%20Valencia


sabato 2 novembre 2024

"Chi sono i nostri amici"?

 


LETTURE/ La domanda di Hannah Arendt ai cristiani in un mondo di individualismo e solitudine

Per maturare occorre dare un giudizio sul mondo, oggi quello della civiltà dei consumi. Ma per guardare in faccia alla realtà occorre essere in compagnia

Angelo Campodonico Pubblicato 24 Ottobre 2024

 

Occorre valutare il mondo in cui viviamo per maturare come esseri umani ed essere liberi. Meglio valutare sbagliando nei giudizi che non valutare. Sempre che uno sia disposto a lasciarsi provocare dal giudizio degli altri e a modificare così, quando necessario, la sua valutazione. In altri termini: non possiamo evitare la scelta fra una concezione della realtà come estranea o addirittura ostile, da un lato, o come occasione di maturazione umana dall’altro.

Dal momento che assistiamo da tempo al più imponente e veloce mutamento tecnologico, culturale e umano della storia sarebbe impossibile non sbagliare in nessun modo. Inoltre valutare non significa giudicare nel senso della condanna. Occorre, invece, cercare di formulare sempre un giudizio che indichi una strada di maturazione possibile, pur rilevando, quando necessario, ciò che va contro l’uomo.

Gettando uno sguardo sugli ultimi decenni a partire dal Sessantotto, si deve riconoscere che dalla speranza nella rivoluzione ovvero in un mutamento radicale dell’uomo si è passati in pochi anni alla piena vittoria del neocapitalismo, del consumismo e delle nuove tecnologie. Ma di questa vittoria e della sua incidenza su noi stessi e non solo sugli altri non si è preso adeguatamente coscienza da parte di tutti e, in particolare, da buona parte del ceto intellettuale e politico, il quale spesso ha difeso battaglie sui diritti che la diffusione del consumismo e del benessere avevano evidenziato e reso possibili, ma spesso senza scorgere anche i limiti presenti nella nuova situazione. In questo senso certe analisi marxiste della società come quelle degli autori della Scuola di Francoforte da Max Horkheimer a Eric Fromm, possono essere ancora attuali e vanno riprese, come in parte già avviene, anche se è difficile aderire alle terapie marxiste dopo la crisi del Sessantotto e la fine del comunismo realizzato.

Il giudizio sulla cosiddetta società dei consumi e della globalizzazione, sulle nuove tecnologie e sulla nuova condizione umana in continuo mutamento non può che essere sfumato, cosciente delle ambiguità della storia. Si tratta di tener conto di quella critica al “perfettismo”, all’utopia in ambito politico, di cui il populismo è una delle possibili espressioni, e che il pensiero critico non può non fare propria.

Occorre riconoscere, da un lato, che sono emerse nuove esigenze e nuovi diritti che un passato di miseria, privazioni, assenza di democrazia e ignoranza sul piano scientifico aveva sopito e non permesso di vedere. Ma occorre riconoscere, dall’altro, che si sono pure censurati aspetti di mercificazione della vita che il consumismo indubbiamente favorisce in tutti, anche in chi lo critica, e che si manifestano, per esempio, in una più accentuata omologazione culturale e nel trattare con un linguaggio inadeguato tematiche delicate riguardanti l’inizio vita.

Talvolta la coscienza di un certo bene fa dimenticare il male. Come osserva Simone Weil, non basta essere stati feriti gravemente nella propria dignità o magari pensare di esserlo stato, per avere ragione quando si valuta il nostro tempo e si prende posizione. Occorre un’attenzione, un giudizio che sappia distinguere fra bene e male. Del resto non è strano che nelle cose umane essi siano intimamente mescolati come il grano e la zizzania della parabola evangelica.

 

(….)

https://www.ilsussidiario.net/news/letture-la-domanda-di-hannah-arendt-ai-cristiani-in-un-mondo-di-individualismo-e-solitudine/2763923/#:~:text=CULTURA-,LETTURE/%20La%20domanda%20di%20Hannah%20Arendt%20ai%20cristiani%20in%20un%20mondo,Pubblicato%2024%20Ottobre%202024,-(foto%20dal%20web


martedì 29 ottobre 2024

Macao: vacanza delle comunità di CL


 

Macao. «Il miracolo che siamo»

Da Pechino, Shangai, Hong Kong e Taipei per vivere la vacanza della comunità di CL in lingua cinese. Tre giorni di dialoghi, assemblee, giochi e la scoperta di un’unità donata

Ilaria Giudici29.10.2024

 

Dal 18 al 20 ottobre la comunità di CL di lingua cinese si è ritrovata a Macao per trascorrere insieme un momento di vacanza e dialogare sul tema della Giornata d’inizio anno: “Chiamati, cioè mandati: l’inizio della missione”. Riuscire a organizzare questa vacanza, dopo gli eventi storici di questi anni, tra cui la pandemia Covid, è il primo avvenimento di questi giorni. Anche accettare l’invito non è per nulla scontato. I giorni di ferie sono concessi con il contagocce, il viaggio è costoso, uscire e rientrare dal Paese d’origine potrebbe non rivelarsi cosa semplice. Eppure sono più di 60 le persone che da Pechino, Shangai, Hong Kong, Taiwan si riuniscono in una piccola struttura religiosa affacciata sul mare, lontano dai casinò del centro per cui Macao viene chiamata la “Las Vegas d’Oriente”.

All’arrivo qualcuno riabbraccia chi non vede da anni, altri stringono mani a nuovi amici. C’è anche chi, come Gao Xue, non trova il coraggio di dire il suo nome ad alta voce, tanta è la timidezza. Chissà quale desiderio l’ha portata fin qui dalla capitale della grande Cina. Elaine, invece, accettando il consiglio di un vecchio amico ormai lontano, ha deciso di partecipare non conoscendo quasi nessuno. A differenza di Gao Xue, ha una personalità entusiasta e riesce subito a rompere il ghiaccio. Sarà forse per questo che sono finite in camera insieme.

Lasciate le valigie nelle stanze, ci si ritrova alle 18.30 per la cena. Don Paolo Costa, dopo la preghiera, invita ciascuno a mischiarsi nei tavoli, cinesi, taiwanesi e italiani, «per conoscerci e scoprire di essere tutti parte della stessa comunità». Ed è proprio nella convivialità della cena che le storie e i racconti personali emergono con semplicità, intrecciandosi con quelle degli altri.

Dongdong racconta di aver chiesto il Battesimo insieme alla famiglia dopo aver per caso bussato alla porta della parrocchia dei sacerdoti della Fraternità San Carlo; Emilia ha incontrato CL colpita dalla felicità dei volti notati in alcune foto su Facebook; Allegra, grazie a un incontro in università, ha da poco ricevuto il Battesimo. E poi Yuwei a Shangai è rimasto colpito da Pilar, sua collega di lavoro, che per la prima volta lo ha guardato negli occhi e gli ha detto: «Prego per te». Tanti volti, storie diverse e profonde: si percepisce il grande desiderio che in questi giorni accada qualcosa di grande.

Alle 20 puntuali ci ritroviamo nel salone per una breve introduzione di don Paolo sul titolo delle vacanze: “La libertà è la dipendenza da Dio”. La canzone di inizio 至少還有你 (Zhìshǎo hái yǒu nǐ - Dopo tutto, ho ancora te), esprime bene come la libertà sia strettamente legata al sentirsi amati. Così come i cartoncini colorati, preparati con grande cura da Ning, fanno subito sentire chiamati, attesi. Ognuno trova scritto il proprio nome accanto a un disegno: un cerchio con un puntino dentro, unito con una linea alla X fuori dal cerchio, che indica il legame con Chi può renderci veramente liberi. La serata si conclude con la Messa, mentre i dialoghi personali continuano fino a notte fonda, segno del grande desiderio di stare insieme.

L’indomani, dopo colazione, ascoltiamo la testimonianza di Renquan, un ragazzo taiwanese sposato da poco. «Mi sono sentito chiamato, invitato in una comunità che nel tempo sta cambiando anche culturalmente il mio modo di concepire la vita e le relazioni. Ho capito che l’incontro con Cristo c’entra anche con l’uso dei soldi: nel dialogo con mia moglie (che non è credente) ho deciso di venire qui perché è utile per la nostra famiglia. Questo giudizio di valore per noi è del tutto nuovo. La comunità mi sta facendo capire come la fede c’entra con la vita».

 

«Siamo stati chiamati, ciascuno con la sua storia; Dio ci viene a prendere tante volte anche nelle pozzanghere della vita e ci porta in alto a vedere le stelle», approfondisce Cesare, che viene dall’Italia, introducendo il tema della Giornata d’inizio: «La nostra compagnia è il segno e il corpo stesso di Cristo nel mondo, il miracolo più grande che sta facendo accadere oggi attraverso il carisma di don Giussani». Nell’annunciare che la chiamata di Gesù, il suo amore, coincide con l’essere mandati, Cesare ricorda i due patroni della missione così paradossalmente diversi eppure uniti nel loro amore a Cristo e alla Chiesa: Francesco Saverio, che ha attraversato il mondo morendo proprio in un viaggio verso la Cina, e Teresina di Lisieux, vissuta fino a 24 anni in un convento di clausura (come quello che abbiamo poi visitato nel pomeriggio).

Dopo la Messa i dialoghi personali continuano passeggiando in riva al mare con i piedi coperti di sabbia. Anche la natura non manca di farci sentire l’affetto di Chi ci ha chiamati insieme. Howard racconta di come ha incontrato la fede entrando in una chiesa in Canada. «Amate i vostri nemici» è la frase che non lo ha più lasciato tranquillo. Qualcosa di totalmente estraneo all’educazione ricevuta fino a quel momento. Così, rientrando a Pechino, ha cominciato a leggere la Bibbia. Più tardi, entrando in una chiesa cattolica, quelle parole sono diventate carne: una perfetta sconosciuta si gira verso di lui con un sorriso, tendendogli la mano allo scambio della pace. Una cosa dell’altro mondo!

Non mancano i racconti simpatici, come quello di Jingya che desiderava da tempo una fidanzata che condividesse la sua fede. «Sono cattolico», ha scritto nell’incipit del suo curriculum vitae. Così Phebe, l’head hunter che lo contatta per un posto di lavoro, aggiunge: «Anche io sono cattolica, possiamo conoscerci?». Dio ha davvero un grande senso dell’umorismo, ma è proprio vero che l’essere cristiano, cioè di Cristo, determina il tuo nome e in fondo la tua stessa identità.

Nel pomeriggio andiamo a visitare il monastero delle Trappiste di Macao, dove madre Caterina, amica di CL da lunga data, ci racconta la sua esperienza di missione: «La missione è una vita, e noi siamo missionarie semplicemente vivendo la comunità monastica. La conversione dal “sé” (dal proprio egoismo) al “noi” è qualcosa su cui lavoriamo per tutta la vita, ma non è difficile se si è insieme». Al termine, come gesto di ringraziamento, ci chiede di intonare Povera voce, che canta commossa insieme a noi.

 

(…..)

https://it.clonline.org/news/attualit%C3%A0/2024/10/29/vacanza-macao#:~:text=MACAO.%20%C2%ABIL%20MIRACOLO,la%20nostra%20compagnia%C2%BB.