“Dilexit
nos”. Quella fede umile e testarda
Un «inno» alla religiosità vera, all’«incontro del nostro
piccolo cuore con il Cuore ferito di Cristo». Luca Doninelli legge l’enciclica
di Papa Francesco
Luca Doninelli11.11.2024
Il tema da cui prende l’avvio la recente enciclica Dilexit
nos di Papa Francesco è uno di quelli con cui occorre fare i conti sempre,
quale che sia la nostra posizione, credenti o non credenti, buoni o cattivi.
Meriti e demeriti non spostano il problema. La parola che lo definisce ci è
nota, forse troppo: cuore.
Chi ha avuto la fortuna di crescere alla scuola di don
Giussani conosce bene il significato biblico di questa parola: un complesso di
evidenze ed esigenze insopprimibili che ogni essere umano porta in sé: verità,
giustizia, bellezza, amore. In modo analogo ce lo presenta la Dilexit nos:
«Dice la Bibbia che “la parola di Dio è viva, efficace [...] e discerne i
sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). In questo modo ci parla di un
nucleo, il cuore, che sta dietro ogni apparenza, anche dietro i pensieri superficiali
che ci confondono». È il primo, originale mistero dell’«esser nostro».
Eppure noi abbiamo paura del cuore. Parlando con un
conoscente, fieramente ateo, mi capitò tempo fa di accennare alla cosa. Lui
sorrise, beffardo: «Guardi, per me il cuore non è che un muscolo che pompa il
sangue e che va tenuto periodicamente sotto controllo dal cardiologo: il resto
non m’interessa». Ricordo il tono quasi isterico delle sue parole, la voglia di
archiviare la questione il più in fretta possibile. Ma la sua paura era anche
la mia, tra noi la differenza fra “credente” e “non credente” non c’era più.
Noi costruiamo le nostre vite, le nostre carriere, le nostre case, diamo cose
buone a coloro che amiamo (come tutti i bravi pagani), facciamo opere buone,
eppure si può fare tutto questo cercando al tempo stesso di mettere al suo
posto, ossia di archiviare, o di relegare ai momenti “religiosi” le parole del
poeta: «Qualunque cosa tu dica o faccia / c'è un grido dentro: / non è per
questo, non è per questo! / E così tutto rimanda / a una segreta domanda: /
l’atto è un pretesto».
Per questo, credo, tra noi si fa la Scuola di comunità: per
cercare di non evitare il nostro cuore. Ed è lo stesso invito, il primo, la
condizione fondamentale, che il Papa ci rivolge nella sua enciclica. Ma il
cuore, lo sappiamo, da solo non basta a rintracciare la via: è come una ferita
aperta nella nostra vita, è un cuore fragile, piccolo, soggetto a inganni,
riduzioni, fraintendimenti. Perciò non può che attendere la sua salvezza, la
parola che finalmente illuminerà quel suo continuo sentirsi vuoto, insensato.
Esiste infatti un altro Cuore, pronto a farsi carico del nostro, un Cuore
sanguinante d’amore, che ci ha attesi prima che noi imparassimo ad attenderLo.
L’origine della fede sta in questo incontro di cuori feriti, l’uno mendicante
dell’altro, come disse don Giussani. Questa mendicanza è, se così si può dire,
il cuore del cuore.
Tutti ricordiamo il padre di quei due giovani, uno dei quali
volle andarsene a vivere la propria vita, pretese metà del patrimonio e lo
sperperò con le prostitute; tutti ricordiamo quel padre anziano, che tutti i
giorni, in mezzo a mille faccende, anziché serbare rancore verso il figlio
ingrato si affaccia al balcone della sua casa, e scruta la strada nella
speranza di vedere spuntare, all’orizzonte, la sua figura amata. La fede è,
anzitutto, l’incontro del nostro piccolo cuore con il Cuore ferito di Cristo:
«O côr soave, côr del mio Signore, ferito gravemente: non da coltel pungente,
ma dallo stral», dalla freccia acuminata, «che fabbricò l’Amore». Chi mai può
dire e concepire parole come queste? Non un teologo, un biblista, ma solo un
cuore ferito e, finalmente, grato.
Le pagine dell’enciclica dedicate al Sacro Cuore di Gesù
sono commoventi, e ci ricollegano - noi uomini moderni e carichi di incredulità
perfino mentre preghiamo - alla fede semplice e profonda dei nostri nonni e dei
nostri bisnonni. Il testo, pur pieno di riferimenti biblici e teologici, è
soprattutto un inno a questa fede umile e testarda, fatta della stessa materia
del cuore, che non si accontenta di precetti e di risposte già date, e nemmeno
di un incontro relegato nel ricordo. Ce lo siamo detti tante volte, ed è così:
questo incontro è vero se avviene qui, ora: la memoria cristiana non è un
ricordo, ma la consapevolezza della trama di cui è fatta la realtà, il Mistero
che fa tutte le cose, adesso. Il Papa ce lo dice, in queste pagine, tante volte
in tanti modi diversi.
C’è, infine, un’ultima insistenza, fondamentale. La esprime
Gesù stesso, quando spiega qual è l’amore di cui ha sete il suo Cuore, il Cuore
per mezzo del quale tutto esiste: non una semplice devozione individuale, ma
l’accoglienza dell’altro - e specialmente dei poveri e di chi soffre - come
parte essenziale del Suo corpo fisico. «Chi accoglie uno solo di questi bambini
nel mio nome, accoglie me» (Mc 9, 37). Lo stesso vale per ogni azione
missionaria, anche qui guai all’uomo solo!
(…….)
https://it.clonline.org/news/chiesa/2024/11/11/doninelli-enciclica-dilexit-nos#:~:text=%E2%80%9CDILEXIT%20NOS%E2%80%9D.%20QUELLA,Unsplash/Matea%20Gregg)