GEMELLE KESSLER/ “Si può attraversare la notte dell’anima
solo se qualcuno ci chiama per nome”
Nicola Campagnoli Pubblicato 21 Novembre 2025
Il suicidio delle gemelle Kessler (1936-2025) ci interroga
sul perché si vive, sul “chi” non ci abbandona mai, e per cui vale la pena
vivere fino in fondo
Quando da lontano si vedono avvicinarsi le nubi cupe e
tristi del temporale, cosa ci dà il coraggio di attraversare quel buio, di
affrontare la notte? Dopo che si è vissuta la dolcezza dell’estate, come si può
abbandonarla per difendersi dalle intemperie?
Alice ed Ellen Kessler non hanno proseguito il loro cammino
verso il tramonto della loro giornata che annunciava brutto tempo.
La forza di andare avanti è proporzionale all’amore che si
riceve. Il problema non è mai la morte (o la vecchiaia o il dolore). La
questione è il perché si vive, anzi per chi si vive.
Tanta ammirazione e tanta lode, tanto pubblico e tanta
attenzione su di sé, quale compagnia reale rappresentano alla propria
esistenza? tanti occhi sgranati fissi sul piccolo schermo, quale amore portano;
amore concreto, quotidiano, vivo, alla propria persona, fatta di pregi e
limiti, di difetti e slanci positivi, fatta di bisogno profondo di presenze
amanti del fondo del proprio io?
(…..)
L’abbandono, il restare soli, fa terrore; il non amore
terrorizza.
Cesare Pavese scrisse nel suo diario: “Da uno che non è
disposto a condividere con te il destino, non dovresti accettare nemmeno una
sigaretta”. Pavese, al massimo del suo successo e del suo riconoscimento, sentì
l’apice della sua solitudine. Quel non avere altri vicino, se non il proprio
vuoto abissale, che lo portò al tragico epilogo.
Da Sussidiario.net
