mercoledì 11 febbraio 2015

Noi e l'Islam: la ragione assente

NOI E L'ISLAM

La ragione assente o il vero Adamo

di Wael Farouq
10/02/2015 - Gli attacchi terroristici. La paura e la rabbia. Slogan e collera non ci cambiano. A cosa dobbiamo tornare? Il percorso di un musulmano che vuole «consultare il cuore» (da "Tracce" di febbraio)
I volti degli amici sono tornati ad affacciarsi dai profili dei social network, dopo essersi nascosti per giorni dietro ad un quadrato nero con la scritta “Je suis Charlie”, oppure “Je suis Ahmed”. Charlie, che tanto ha tenuto occupato il mondo, ora non interessa più. La sua presenza nella nostra memoria si affievolirà via via, fino a depositarsi sul fondo dell’oblio accanto ad altri slogan. “Bring back our girls”, “Io sono nazareno”... Tutti slogan che riempiono la nostra vita come una falsa gravidanza, perché finiscono nel nulla.

Con “nulla”, qui, non intendo l’incapacità di cambiare il corso degli eventi, bensì - ed è ciò che addolora - l’incapacità di cambiare qualcosa dentro di noi, come se fossimo un corpo inerte insensibile alle pugnalate. Ci caliamo con entusiasmo nel contesto degli eventi, volgiamo il nostro sguardo incollerito in tutte le direzioni, tuttavia non riusciamo a calare questi eventi nel contesto della nostra esperienza umana. In altre parole, non siamo dei soggetti agenti, perché restiamo prigionieri della reattività ben descritta da don Luigi Giussani ne Il senso religioso: «Come è superficiale lo spessore di un’azione che nascesse come pura reattività dell’istante! (...) Dialogo e comunicazione umana hanno radici nella esperienza: infatti l’aridità, la flaccidità della convivenza, della convivenza delle comunità, da che cosa dipende se non dal fatto che troppo pochi possono dire di essere impegnati nella esperienza, nella vita come esperienza? È il disimpegno della vita come esperienza che fa chiacchierare e non parlare. (...) La reattività taglia i ponti con la tradizione, la storia, inaridisce l’impeto verso il futuro come fecondità (può rimanere come rabbia, una rabbia a vuoto: “Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto”)» (Dante, Inferno, canto VIII, v. 19). Questa reattività riduce la capacità di dialogo e di comunicazione, perché dialogo e comunicazione hanno radici nella esperienza, custodita e quindi maturata nella memoria e giudicata dalla intelligenza, giudicata cioè secondo i caratteri, le esigenze costitutive della nostra umanità».
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