venerdì 13 febbraio 2015

novecento a teatro

CONEGLIANO VENETO

Il "sangue nuovo" nel corpo della Chiesa

di Eugenio Andreatta
13/02/2015 - Dal Duomo al teatro per l'anniversario dalla morte di don Giussani. Presenti il Vescovo, il sindaco e don Carrón, che al rischio di «una fede inutile o dannosa» lascia spazio alla storia del fondatore di CL. Tutto inizia con Leopardi...
Ci saranno, sì e no, cento metri tra il Duomo di Conegliano Veneto e il Teatro Accademia, in piazza Cima. Tra queste due sedi, nella serata di giovedì 12 febbraio, si è mosso don Julián Carrón, invitato dal vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo. Prima, la santa Messa. Poi, l’incontro in teatro. Entrambi per ricordare don Giussani a dieci anni dalla morte. Un ricordo che, però, come lo stesso Vescovo ha ricordato più volte, «non è nostalgia». Zero enfasi celebrativa nelle parole di Pizziolo. E un’idea ben chiara: ricordare il sacerdote brianzolo non significa andare ai bei tempi passati, ma interrogarsi sull’attualità del movimento che da lui è nato, «sangue fresco che circola oggi nel corpo della Chiesa».

In teatro i novecento posti sono esauriti, tanta gente è in piedi. Un anno fa, proprio qui, il vescovo Pizziolo fu tra i presentatori del libro Vita di don Giussani di Alberto Savorana. Oggi, come allora, c’è anche il sindaco Floriano Zambon, amico della «non nutritissima ma straordinariamente vivace» comunità ciellina locale. Scusandosi di non potergli offrire le chiavi della città, reca in dono a Carrón i preziosi antichi statuti cittadini.

È il Vescovo, introdotto dal moderatore Graziano Debellini, a porre due domande secche al Presidente della Fraternità di CL: «Se il movimento è il frutto di don Giussani, qual è l’identità e l’attualità oggi del vostro carisma?». E, andando ulteriormente a fondo: «Come si pone il rapporto tra umano e cristiano nel movimento?». Troppo spesso, annota, si parla di fede come di qualcosa che si aggiunge in un secondo momento a un umano già compiuto in se stesso, «diventando così pura sovrastruttura, del tutto inutile e dannosa».

Don Julián non si fa pregare. E da qui in poi, verrebbe da dire, "è solo don Giussani". Come se Carrón, prendendo di petto l’invito di Pizziolo, volesse lasciare che sia Giussani stesso a raccontarsi, a svelare i passaggi nodali del suo percorso. Cita l’impronta lasciata nel giovane Luigi dai genitori. E poi, a 13 anni, il primo incontro decisivo, quello con Leopardi: «È lui stesso a dirci che non trovava altro compagno al suo itinerario religioso». Singolare compagnia per un seminarista tredicenne. Un poeta materialista per il quale la maggiore nobiltà consisteva nel «patire mancamento e vóto». E Luigi letteralmente divora i Canti, li impara a memoria nel giro di un mese.

(continua su Tracce.it)