giovedì 25 gennaio 2018

L'Europa per Papa Francesco (A.Spadaro)

MONDO
di Francesco non è una «cosa»
Anticipazione
Come la diplomazia del dialogo di papa Bergoglio sta cambiando la politica globale. L’Europa?
È un «processo», «si fa»
Integrare, dialogare, generare sono i tre verbi che Francesco ha usato per lanciare «la sfida di “aggiornare” » l’idea stessa di Europa alla luce di un «nuovo umanesimo ». Tre verbi, tre processi. Questa dinamica inclusiva allarga «l’ampiezza dell’anima europea». Francesco sa che quest’anima nasce dall’incontro di civiltà e di popoli. Sa dunque che l’Europa è «più vasta degli attuali confini dell’Unione»: gli oltre cinquecento milioni di europei, rappresentati dai ventotto paesi membri dell’Unione europea, non esauriscono l’Europa, che è chiamata a diventare luogo vitale di «nuove sintesi».
Perché l’Europa non è una «cosa», ma un «processo». Non è un sostantivo, ma un verbo. L’Europa non «è», ma «si fa». A questo punto è chiaro, con assoluta evidenza, perché il papa abbia scelto l’Albania e la Bosnia come prime tappe dei suoi viaggi nel vecchio continente: non ha scelto il luogo dell’anima definita dal centro. Per Francesco la definizione viene dalle richieste di accesso, dalle possibilità aperte nel futuro, dalle pressioni ai lati e ai fianchi.

«L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale», ha detto il papa. Le radici sono sempre meticce e sporche di terra. Quello della purezza delle origini è un mito cieco e sordo. L’Europa non è il frutto di un «laboratorio » diplomatico, ma di incontri e scontri, guerra e pace, sangue sparso e olio versato sulle ferite. Le radici si sono consolidate nel corso della storia, integrando culture più diverse e persino «senza apparente legame tra loro». Dunque, il volto dell’Europa non si distingue «nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure». L’integrazione trova poi nell’essere solidali «il modo in cui costruire la storia»: essa non ha nulla a che fare con l’elemosina, ma è la «generazione di opportunità». Dialogare è ciò che permette di ricostruire il tessuto sociale, perché riconosce l’altro da sé – lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura – come un interlocutore valido, un soggetto da ascoltare, che sia considerato e apprezzato. Il papa sogna un nuovo umanesimo europeo che si costruisca avendo un «vivo senso della storia » e della memoria. L’opposto di questo umanesimo sono la paura, l’esclusione, il sospetto, che producono «viltà, ristrettezza e brutalità» e soprattutto un senso di vischiosa «meschinità». Essere «meschini » è quanto di peggio possa accadere per Francesco che ama l’anima ampia e amplia le anime strette.
«La creatività, l’ingegno, la capacità di rial- zarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima dell’Europa»: ecco nel suo discorso subito affiorare il riferimento all’eccentricità, al superamento dei limiti e dei confini. L’Europa è se stessa perché sa andare oltre se stessa. La sua «casa » si costruisce andando oltre le ceneri dei «tragici scontri, culminati nella guerra più terribile che si ricordi». Questa visione dunque è profondamente legata al divenire, al superamento dialettico di muri e ostacoli. L’Europa è un «processo» tuttora in atto all’interno di «un mondo più complesso e fortemente in movimento». I suoi padri hanno «architettato» un «illuminato progetto» che è sempre in costruzione.
Occorre dunque verificare non se la casa regge, ma se la sua realizzazione segue quel sapiente progetto. Ecco il parere del papa: «Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari». Perché questo è accaduto?
Perché – ha affermato il papa, coerente con il suo approccio alla realtà – l’Europa è «tentata di voler assicurare e dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va “trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di nuove soluzioni ai problemi attuali, che portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi». Se l’Europa considera se stessa come uno «spazio», allora prima o poi verrà – ed è già venuto – il momento della paura, del timore che lo spazio sia invaso. Lo spazio va innanzitutto difeso. Se invece l’Europa è da considerarsi come un processo in fieri, allora si comprende come esso metta in movimento energie, accettando le sfide della storia. Allora anche difficoltà e contraddizioni «possono diventare promotrici potenti di unità».
Ragionamenti analoghi andrebbero fatti per ogni continente, tenendo conto delle specificità e particolarità che il papa ha dimostrato di saper riconoscere e rispettare. Certo è che il «nuovo umanesimo» di cui egli ha parlato in contesto europeo rappresenta un punto di riferimento più largo rispetto ai confini di quell’area geografica. Integrare, dialogare e generare nuovi processi: questi tre verbi sembrano sottesi a quanto il pontefice va dicendo in tutti i quadranti della terra – specialmente quelli più periferici. [...] La speranza è quella di aver chiarito in quale senso non debba scandalizzare il ruolo politico incarnato da papa Francesco: esso è in ogni sua parte esplicazione di un compito, della tensione religiosa che deve percorrere la Chiesa. Allo stesso tempo non si deve aver timore a parlare di Bergoglio nei termini di «leader rivoluzionario », perché «rivoluzionario» è colui che porta nel mondo la logica della misericordia.
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