MONDO
di Francesco non è una «cosa»
Anticipazione
Come la diplomazia del dialogo di papa Bergoglio sta cambiando la politica globale. L’Europa?
È un «processo», «si fa»
Integrare, dialogare,
generare sono i tre verbi che Francesco ha usato per lanciare «la
sfida di “aggiornare” » l’idea stessa di Europa alla luce di un «nuovo
umanesimo ». Tre verbi, tre processi. Questa dinamica inclusiva
allarga «l’ampiezza dell’anima europea». Francesco sa che quest’anima
nasce dall’incontro di civiltà e di popoli. Sa dunque che l’Europa è
«più vasta degli attuali confini dell’Unione»: gli oltre cinquecento
milioni di europei, rappresentati dai ventotto paesi membri dell’Unione
europea, non esauriscono l’Europa, che è chiamata a diventare luogo
vitale di «nuove sintesi».
Perché l’Europa non è una «cosa», ma un «processo». Non è un
sostantivo, ma un verbo. L’Europa non «è», ma «si fa». A questo punto è
chiaro, con assoluta evidenza, perché il papa abbia scelto l’Albania e
la Bosnia come prime tappe dei suoi viaggi nel vecchio continente: non
ha scelto il luogo dell’anima definita dal centro. Per Francesco la
definizione viene dalle richieste di accesso, dalle possibilità aperte
nel futuro, dalle pressioni ai lati e ai fianchi.
«L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e
multiculturale», ha detto il papa. Le radici sono sempre meticce e
sporche di terra. Quello della purezza delle origini è un mito cieco e
sordo. L’Europa non è il frutto di un «laboratorio » diplomatico, ma
di incontri e scontri, guerra e pace, sangue sparso e olio versato
sulle ferite. Le radici si sono consolidate nel corso della storia,
integrando culture più diverse e persino «senza apparente legame tra
loro». Dunque, il volto dell’Europa non si distingue «nel contrapporsi
ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la
bellezza di vincere le chiusure». L’integrazione trova poi nell’essere
solidali «il modo in cui costruire la storia»: essa non ha nulla a che
fare con l’elemosina, ma è la «generazione di opportunità». Dialogare è
ciò che permette di ricostruire il tessuto sociale, perché riconosce
l’altro da sé – lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra
cultura – come un interlocutore valido, un soggetto da ascoltare, che
sia considerato e apprezzato. Il papa sogna un nuovo umanesimo europeo
che si costruisca avendo un «vivo senso della storia » e della
memoria. L’opposto di questo umanesimo sono la paura, l’esclusione, il
sospetto, che producono «viltà, ristrettezza e brutalità» e soprattutto
un senso di vischiosa «meschinità». Essere «meschini » è quanto di
peggio possa accadere per Francesco che ama l’anima ampia e amplia le
anime strette.
«La creatività, l’ingegno, la capacità di rial-
zarsi e di uscire dai propri limiti appartengono all’anima
dell’Europa»: ecco nel suo discorso subito affiorare il riferimento
all’eccentricità, al superamento dei limiti e dei confini. L’Europa è
se stessa perché sa andare oltre se stessa. La sua «casa » si
costruisce andando oltre le ceneri dei «tragici scontri, culminati nella
guerra più terribile che si ricordi». Questa visione dunque è
profondamente legata al divenire, al superamento dialettico di muri e
ostacoli. L’Europa è un «processo» tuttora in atto all’interno di «un
mondo più complesso e fortemente in movimento». I suoi padri hanno
«architettato» un «illuminato progetto» che è sempre in costruzione.
Occorre dunque verificare non se la casa regge, ma se la sua
realizzazione segue quel sapiente progetto. Ecco il parere del papa:
«Quell’atmosfera di novità, quell’ardente
desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di
quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al
proprio utile e pensando di costruire recinti particolari». Perché
questo è accaduto?
Perché – ha affermato il papa, coerente con il suo approccio alla realtà
– l’Europa è «tentata di voler assicurare e dominare spazi più che
generare processi di inclusione e trasformazione; un’Europa che si va
“trincerando” invece di privilegiare azioni che promuovano nuovi
dinamismi nella società; dinamismi capaci di coinvolgere e mettere in
movimento tutti gli attori sociali (gruppi e persone) nella ricerca di
nuove soluzioni ai problemi attuali, che
portino frutto in importanti avvenimenti storici; un’Europa che lungi
dal proteggere spazi si renda madre generatrice di processi». Se
l’Europa considera se stessa come uno «spazio», allora prima o poi
verrà – ed è già venuto – il momento della paura, del timore che lo
spazio sia invaso. Lo spazio va innanzitutto difeso. Se invece
l’Europa è da considerarsi come un processo in fieri, allora si
comprende come esso metta in movimento energie, accettando le sfide
della storia. Allora anche difficoltà e contraddizioni «possono
diventare promotrici potenti di unità».
Ragionamenti analoghi andrebbero fatti per ogni continente, tenendo
conto delle specificità e particolarità che il papa ha dimostrato di
saper riconoscere e rispettare. Certo è che il «nuovo umanesimo» di cui
egli ha parlato in contesto europeo rappresenta un punto di riferimento
più largo rispetto ai confini di quell’area geografica. Integrare,
dialogare e generare nuovi processi: questi tre verbi sembrano sottesi a
quanto il pontefice va dicendo in tutti i quadranti della terra –
specialmente quelli più periferici. [...] La speranza è quella di aver
chiarito in quale senso non debba scandalizzare il ruolo politico
incarnato da papa Francesco: esso è in ogni sua parte esplicazione di
un compito, della tensione religiosa che deve percorrere la Chiesa.
Allo stesso tempo non si deve aver timore a parlare di Bergoglio nei
termini di «leader rivoluzionario », perché «rivoluzionario» è colui
che porta nel mondo la logica della misericordia.
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