giovedì 24 maggio 2018

S.Tommaso d'Aquino, l'immortalità dell'anima

Tommaso & Aristotele Le ragioni dell’ANIMA
Filosofia
Le speculazioni dell’Aquinate sulla verità metafisica, radicate nel pensiero dello Stagirita, fissano l’idea sull’uomo dal Medioevo ai nostri giorni
San Tommaso d’Aquino era un fine conoscitore di Aristotele. Discepolo prediletto di sant’Alberto Magno e commentatore di eccezionale valore delle opere dello Stagirita. [...] Conosceva bene le opere degli antichi e i commenti a esse relativi e fu il suo amore per la filosofia a spingerlo a proporsi come fedele interprete di Aristotele. Riteneva anche che nessuno fosse ancora arrivato (sei molti commenti rivolti allo Stagirita e in particolare sulla
Metafisica) a conclusioni filosofiche precise. [...] Il suo progetto di costruire una nuova sintesi del pensiero cristiano, comprendente tutti i contenuti essenziali propri della tradizione teologica insieme all’uso di un rigoroso metodo di indagine di tipo aristotelico che potesse consentirgli di dimostrare l’esistenza di Dio come Ipsum Esse subsistens, non aveva precedenti. [...] Nel pensiero tomista, l’anima permane intesa ancora aristotelicamente come la forma sostanziale del corpo che resta comunque autonoma da esso, essendo di per sé spirituale e sussistente. Essa non è corruttibile con la morte, perché ha l’essere in proprio, è dotata di autoscienza e detiene conoscenza. L’anima inoltre, non partecipa soltanto all’essere del singolo come le altre forme dei corpi, perché in tutti gli oggetti inumani, secondo Tommaso, chi esiste è solo l’oggetto. Per esempio, in un albero chi esiste è l’albero stesso e non la sua forma sostanziale. Quest’ultima esiste in quanto vi è l’oggetto di cui è forma. L’anima è quindi la forma dell’uomo.

Questo ragionamento proviene in parte dal pensiero espresso nel primo libro del
De Anima di Aristotele: «se dunque c’è un’operazione o passione propria dell’anima, l’anima potrà esistere allo stato separato, ma se non ce n’è nessuna propria di lei, non sarà separata e si troverà a essere nella stessa condizione di quel che dritto a cui, in quanto tale, convengono molte proprietà , ad esempio di essere tangente a una sfera di bronzo in un punto, e tuttavia, in quanto separato, non può toccarla: in realtà è inseparabile perché esiste sempre con un corpo».
L’enunciato aristotelico dovrebbe contenere anche un’altra parte, minore ma necessaria per poter sostenere in pieno l’indipendenza dell’anima e concludere che esiste anche un’attività propria solo dell’anima. Aristotele col termine “separata” intende qui l’attività intellettiva, senza specificare se si tratti di quella del singolo o di un prodotto dell’intelletto unico. Egli concepisce l’anima come entelechiadi un corpo naturale che ha la vita in potenza mantenendo sempre il discorso all’interno di una sfera scientifica esclusivamente naturale perché il De Anima affonda una parte delle proprie radici nella biologia. Ciò rende ardua la concezione di un’anima che possieda una vita indipendente rispetto a quella corporea. Tale problema sembra es- sere stato scavalcato da Aristotele perché nel terzo libro vi è una parte lasciata in sospeso. Quando, per spiegare la conoscenza, egli parla infatti della parte dell’anima che conosce e riflette ( fronei) e della definizione di intelletto attivo e passivo ( pathitikos), non viene mai fornita una risposta sul fatto se la parte dell’anima che conosce sia separabile o no, mentre l’intelletto attivo si rivela invece «separato, immisto e impassivo [...] separato esso è solo quel che realmente è, e questo solo è immortale ed eterno». Tra le varie interpretazioni date a questo passo, Avicenna rappresenterà un anello di unione tra l’ilemorfismo tradizionale e la nuova metafisica dell’essere proposta da san Tommaso d’Aquino. Lo scienziato persiano, nel suo commento al De Anima o Liber sextus naturalium sembrava poter riuscire a conciliare le tesi aristoteliche con quelle riguardanti l’immortalità dell’anima. [...] Per Avicenna l’intelletto agente è un’intelligenza separata, è una sostanza che illumina l’intelletto passivo e che apprende gli oggetti intellegibili ( De Anima V,2). Tradizionalmente, si potrebbe identificare tale sostanza con quella dell’intelletto in potenza che, pur essendo presente nell’uomo, viene definita incorporea ed immortale per essenza e non per un procedimento conoscitivo. [...] L’anima razionale, sostiene Avicenna nel suo commento, è stata creata col corpo affinché essa possa governarlo ( De Anima, V, 3), è individuale per ciascun essere umano e, soprattutto non si estingue con la morte ( V,4). L’intelletto, che è una prerogativa del corpo, intende già in potenza e passa all’atto grazie all’intelligenza agente, che possiede già in origine quest’atto di conoscenza. L’intelligenza, separata e unica per tutti gli uomini, avrebbe di conseguenza la capacità di illuminare le singole anime, mentre le immagini sensibili servirebbero per rendere l’intelletto umano atto a ricevere i concetti universali che sono astratti dalla materia. È una descrizione di quello che Tommaso chiamerà poi “intelletto possibile”.
Una simile speculazione risultava indubbiamente conciliabile col cristianesimo. L’interpretazione averroista fu invece considerata dal pensiero tomista errata sia sul piano teorico che su quello esegetico. Pur sostenendo infatti, che l’intelletto fosse incorporeo e immortale, esso veniva alla fine considerato come unico e separato. Per un cristiano invece, l’anima di ciascun uomo è spirituale, immortale e sussistente, essa è il principio dell’attività intellettiva e la forma del corpo. Essendo, tale conoscenza intellettiva l’attività specifica che caratterizza l’uomo, ne è anche la forma sostanziale e dunque l’intelletto non può risultare un’intelligenza unica e separata. Sarebbe inoltre inspiegabile come esso, nell’atto di conoscere, si possa riunire alla materia umana. L’anima, obietta san Tommaso nel De Intellecto Contra Averroistas (III, 82), è forma del corpo proprio perché è il principio dell’essere, dell’agire e della conoscenza intellettiva. Dire che essa sia la forma del corpo, equivale in pratica a sostenere che non si unisce a un corpo già formato secondo leggi meramente naturali, ma che ne determina anche i tratti somatici e tutto l’essere. Se essa si unisse a un corpo già formato, sarebbe in grado di modificarlo ma non di comunicargli l’essenza e quindi non ne sarebbe più la forma sostanziale ( Summa Theologicae, I, q. 76, art.4). L’anima che comunica il suo essere al corpo ( Summa Theologicae, I, q. 76 art.1) lo rende actu esse (in atto) per cui l’uomo non è formato da anima e corpo intese come due sostanze unite, ma è costituito da una sola sostanza formata dall’anima che è il principio determinatore anche del corpo.
Il pensiero filosofico di san Tommaso è teso a salvare l’uomo dalla morte donandogli la vita e l’amore divino in eterno perché l’universo senza l’uomo, che è l’unico essere partecipe del divino, sarebbe imperfetto. Tradizionalmente, il santo italiano concepiva un universo formato da una gerarchia di esseri, che dalle forme di vita più basse si elevavano gradualmente fino a giungere a quelle più perfette. L’uomo, metà bestia e metà angelo, rappresenta l’anello di congiungimento a Dio, in quanto è l’unico capace, per volere del Creatore, a poter trascendere dal mondo della materia a quello spirituale e di elevarsi una volta abbandonata la sua parte materiale, in una forma superiore toccando già in vita il livello più elementare del genere delle sostanze intellettive. Per volontà divina, il Verbo si è incarnato in un uomo in quanto con quest’atto di amore supremo, Egli ha voluto condurlo verso di sé e salvarlo. Ogni cosa è perciò predestinata verso un fine voluto dal Salvatore che per questo scopo ha modellato tutte le sue creature donando loro una traccia della legge eterna. L’uomo solo però è consapevole del suo fine e sa che può conseguire già in vita una forma di rapporto diretto con Dio «pervenendo alla verità intellegibile» attraverso l’intelletto e la ragione. L’uso della parola, lo rende superiore al resto degli esseri affinché possa manifestare pienamente queste verità e collaborare con gli altri suoi simili nella conoscenza di essa e, contemporaneamente, svolgere il ruolo di animale sociale che Dio gli ha affidato durante il suo passaggio terreno ( Summa contra Gentiles, III, 147).
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