Idee.
Raccolta in
volume una conferenza del filosofo protestante del 1967 sul senso e la
funzione di una comunità ecclesiale: è sempre necessaria una costante
reinterpretazione
RICOEUR
«La parola non sia reliquia»
Riflettere sulla funzione
specifica di una comunità ecclesiale, le sue aspirazioni e istanze di
senso, il suo linguaggio, il ruolo nella Chiesa e nella società, è
quello che Paul Ricoeur – come raramente troviamo nei filosofi – prova
a fare in queste pagine nate alla vigilia del Sessantotto, già girate
parecchio come fotocopie di dispense fra gli studiosi di questo maestro
dell’ermeneutica: mai però arrivate in un’edizione al grande pubblico.
Registrate nel gennaio 1967 alla Gerbe, una sala della parrocchia
protestante di Amiens, durante un incontro teologico di due giorni, le
parole di questa lunga conferenza di Ricoeur – scandita in tre parti
con interlocutori cattolici, protestanti e comunisti e trascritte dal
pastore Ennio Floris – furono pubblicate l’anno dopo nei “Cahiers
d’études du centre protestant de recherche et de rencontres du nord” con
il titolo Senso e funzione di una comunità ecclesiale al quale l’editrice Claudiana ha preferito ora Per un’utopia ecclesiale
(pagine 100, euro 12,50). L’opera va in libreria a cura di Claudio
Paravati, Alberto Romele, Paolo Furia, e con una prefazione di Olivier
Abel che considera quest’opera «a un tempo, come militante
testimonianza di un periodo di passaggio e come banco di prova, come
laboratorio di temi filosofici sviluppati, altrove o in seguito, in
modo indipendente», dove «viene alla luce un aspetto del pensiero di
Ricoeur troppo spesso trascurato, in cui i lettori potranno cogliere un
approccio filosofico nuovo, radicale». Approccio dove – insieme ai non
pochi spunti elaborati in opere successive – si comprende il del ruolo
del filosofo nella Chiesa riformata francese.
Intervenendo sulla «comunità confessante» Ricoeur si ferma nella prima
parte sul tema “Essere protestanti oggi” (con grande attenzione al
linguaggio); nella seconda parte sulla presenza della Chiesa nel mondo
(affrontando i punti di inserzione, le capacità di pressione, aspetti
specifici della comunità cristiana); nella terza parte sul conflitto
“Fede e religione” ricollegandosi a Bonhoeffer, Ebeling, Fuchs, come
pure alla tradizione della predicazione primitiva e all’esegesi paolina.
Pagine dunque militanti di un Ricoeur allora presidente del
Movimento del cristianesimo sociale e anche della Federazione
protestante e due anni dopo rettore dell’Università di Nanterre. Pagine
che disegnano tratti di una Chiesa contrappunto di utopia dentro la
società, fra critiche esterne della religione (Marx, Nietzsche, Freud) e
decostruzione di varie pseudo-razionalizzazioni (che nascondono vivaci
testi biblici).
Non
pochi i passaggi di grande interesse. Nell’ambito del linguaggio, ad
esempio, circa la parola che non può diventare reliquia, sopravvivendo
grazie a costante reinterpretazione: «Chiamo interpretazione non solo
ciò che possiamo fare intellettualmente ma anche praticamente,
socialmente per rendere attuale una parola che continua a essere
parola solamente se essa continua a essere riconvertita in un evento,
che ridiventa esso stesso evento ». In ambito teologico, nella risposta
data alla domanda “Possiamo ancora pronunciare la parola Dio?”: «Non
possiamo più costruire delle teologie speculative, sistematiche, in cui
parliamo di Dio come di una causa prima, un pensatore supremo, un essere
assoluto separato da tutti gli altri esseri, ma dobbiamo pensare ciò
che può significare nella Scrittura il Dio di Gesù Cristo. Se Gesù
Cristo è colui che muore donando la vita, è quest’atto di svuotarsi di
Cristo per noi a essere il nostro solo accesso a Dio». E così «la
comunità cristiana non ha nient’altro da offrire agli altri esseri umani
che quest’affermazione del Dio che si svuota, della debolezza assoluta
di Dio per l’essere umano, che permette il nuovo essere umano, e che
apre una speranza in cui gli esseri umani
sono responsabili, ognuno nei confronti di tutti». Infine, tutto da
segnalare qui il passaggio nel quale Ricoeur s’interroga su quella che
gli pare essere «la funzione insostituibile» di una comunità
confessante in un tipo di società come la nostra, e cioè: della
previsione, della decisione razionale, dell’invasione della tecnica
nella vita quotidiana ad ogni livello. Scrive il filosofo: «Mi sembra
che la ragion d’essere delle chiese consista nel porre in permanenza la
domanda sui fini, della “prospettiva”, in una società della
“pianificazione”. Il “benessere”? A quale scopo? Tale questione tocca
le ragioni profonde dell’essere umano nella società della produzione,
del consumo e del tempo libero. Questa è caratterizzata da un controllo
crescente dell’essere umano sui mezzi e da una cancellazione dei suoi
fini, come se la razionalità crescente dei mezzi rivelasse
progressivamente l’assenza di senso. Ciò è vero in particolare nelle
società capitaliste […].In questo modo si rende manifesto l’elemento
primo della società di produzione: il desiderio senza fine». Ma c’è un
altro sogno vano che anima l’essere umano della società consumista:
ovvero «l’aumento della sua potenza», spiega Ricoeur. Che aggiunge: «Si
vorrebbe annullare il tempo, lo spazio, il destino della nascita e
della morte, ma in un progetto simile tutto diventa strumento, utensile,
nel regno universale del manipolabile e del disponibile. È questo
progetto che sfocia nel vuoto totale del non-senso. È così che la
nostra “modernità vive simultaneamente della razionalità crescente della
società e dell’assurdità crescente del destino». Una riconferma
dell’assenza di giustizia presso gli uomini, ma ancor più della
mancanza di amore e di significato . Ed ecco allora i problemi che ci
stagliano davanti nel segno dell’“insignificanza”: quella del lavoro,
del tempo libero, della sessualità. Di fronte ad essi il compito non è
recriminare o rimpiangere ma testimoniare. Come? Facendo appello
all’utopia, risponde Ricoeur, che chiama utopia «questa prospettiva di
un’umanità compiuta, allo stesso tempo come totalità degli esseri
umani e come destino singolare di ogni persona». È la prospettiva che
può dare un senso: volere che l’umanità sia una, volere che essa si
realizzi in ogni persona. Nella responsabilità di pensare sempre un doppio destino.
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«Chiamo interpretazione non solo ciò che possiamo fare
intellettualmente, ma anche praticamente, socialmente per rendere
attuale una parola che continua a essere parola solamente se continua a
essere riconvertita in un evento. Se Gesù è colui che muore donando la
vita, è quest’atto di svuotarsi di Cristo per noi a essere il nostro
solo accesso a Dio»
ERMENEUTICA. Il filosofo francese Paul Ricoeur (1913-2005) (Effigie)