Da Klingenbeck a Maria Terwiel, martiri cristiani nei tempi
bui del nazismo
La linea della memoria che stiamo percorrendo sulla scorta
del libro di Francesco Comina La lama e la croce lascia ora Sankt Radegund, il
paese sul confine austriaco di Franz e Franziska Jägerstätter, per varcare la
Salzach ed entrare in Germania, poi piega a ovest, verso Monaco di Baviera,
dove nel 1942 i fratelli Hans e Sophie Scholl e gli altri giovani della Rosa
Bianca lanciarono la loro sfida al regime distribuendo volantini contro la
guerra e dove anche altri ragazzi, perfino più giovani, avevano avviato già un
anno prima la loro campagna di controinformazione con le notizie intercettate
da Radio Vaticana e dalla BBC: questi giovanissimi facevano capo a Walter
Klingenbeck, un apprendista meccanico diciottenne che, con Daniel von
Recklinghausen, l’artigiano Hans Haberl e il meccanico aeronautico Erwin Eidel,
progettò di lanciare dei volantini da un piccolo aereo telecomandato e perfino
di realizzare una radio clandestina. Walter fu ghigliottinato a Stadelheim il 5
agosto 1943, nello stesso carcere nel quale in febbraio furono condotti a
morire i ragazzi della Rosa Bianca. Gli amici di Walter furono risparmiati, ma
condannati a otto anni di carcere.
Il nostro pellegrinaggio sulle vie del martirio sale ora più
a nord, a Meitingen, dove è sepolto Max Josef Metzger, alias fratel Paulus, già
cappellano militare volontario nella Grande Guerra: divenuto pacifista
convinto, fondò nel 1938 la Fraternità interconfessionale per la pace “Una
Sancta”. Incarcerato, lasciò scritto: “Chi è consapevole che la morte non è
soltanto ‘fine’, ma anche – e molto di più – ‘inizio’, una porta della vera
vita ‘eterna’, uno così, senza essere ‘stanco della vita’, può amare e salutare
la morte con le parole: ‘Salve, sorella morte’”. Fu ghigliottinato nell’aprile
del ’44, all’età di 57 anni, dopo un processo farsa. Nel ’34 Metzger aveva
scritto una poesia:
“Sono e rimango un uomo libero / mi si possa anche
incatenare / la verità continua a sventolare / ed io continuerò ad annunciarla
con coraggio / e se mi verrà tagliata la lingua / allora io parlerò col mio
silenzio”.
Lo scorso 17 novembre “fratel Paulus” è stato proclamato
beato da papa Francesco.
Berlino è l’ultima meta del viaggio per molti dei testimoni
della coscienza cristiana ricordati nel libro di Comina, che nella capitale del
Reich trovarono la morte. Qui agirono anche due coraggiose donne cattoliche, la
ventiduenne Eva-Maria Bruch e la trentatreenne Maria Terwiel, che diffuse
clandestinamente le omelie del vescovo di Münster Clemens August von Galen, di
denuncia delle reiterate violazioni dei diritti umani. Queste due donne
scelsero un impegno militante contro il nazismo che le portò a coinvolgersi con
la Rote Kapelle (“Orchestra Rossa”), una rete di resistenza clandestina che
univa socialisti, comunisti, cattolici e protestanti. Come già molti altri
militanti dell’organizzazione, entrambe morirono a testa alta nel carcere di
Berlino-Plötzensee, il 5 agosto 1943, pochi giorni prima dell’esecuzione di
Jägerstätter. L’avvocato difensore di Marie aveva provveduto a fornire egli
stesso all’accusa le prove che mancavano per la sua condanna a morte. Tra i
militanti di Orchestra Rossa vi era anche un cugino del teologo protestante
Dietrich Bonhoeffer, Arvid Harnack, giustiziato nel dicembre del ’42 e seguito
due mesi dopo nella stessa sorte dalla moglie Mildred Elizabeth.
La breve carrellata, che sulla scorta del libro di Francesco
Comina abbiamo qui compiuto attraverso l’inferno dell’apparato repressivo
nazista, mette in luce come anche nell’inferno, per parafrasare un’espressione
di Italo Calvino, abbiano potuto brillare fatti e persone che inferno non
erano. Tra queste persone, molte delle quali non potevano neppure conoscersi
tra loro, troviamo spesso parole e comportamenti simmetrici, provenienti da
cuori nutriti da una profonda fede cristiana, non delegata ad altri. Queste
persone vissero misteriosamente in una profonda comunione di intenti un vero e
proprio ecumenismo del martirio.
È questa dunque una prima risposta alla domanda che ha
guidato dall’inizio queste nostre riflessioni: se Franz Jägerstätter fosse
davvero solo nel far fronte al conformismo totalitario dilagante. Colpisce ad
esempio, la profonda sintonia che si può riscontrare tra alcune espressioni del
teologo Metzger e un’analoga riflessione di questo semplice contadino, tanto da
far pensare che Franz, grazie anche ai suoi viaggi in moto al di là del vecchio
confine austro-tedesco, avesse molte più fonti a disposizione di quanto possa
sembrare a prima vista. Scriveva Metzger, già nel 1924: “Io cerco cristiani che
sappiano perché sono cristiani e che perciò antepongano le realtà eterne a
quelle temporali: Dio allo stato, la verità alla patria, la giustizia ai propri
interessi. Io cerco credenti che credano nell’amore, nella pace, nel Cristo,
nel suo Regno”. E Franz, negli anni 40, gli faceva eco: “Vorrei trovare dei
cristiani che sanno resistere nei tempi bui […], che stanno in perfetta pace,
letizia e spirito di servizio là dove non ci sono né pace, né gioia […]. Che
non sono come una canna sbattuta dal vento, che non stanno a guardare cosa
fanno i camerati e gli amici, ma che si chiedono che cosa insegnano Cristo e la
Chiesa e che cosa dice la loro coscienza”.
Questa prima risposta, che ridimensiona l’apparente
solitudine di molti testimoni, apre tuttavia a sua volta nuove domande, sulla
scorta della densa riflessione di Dietrich Bonhoeffer, che il 5 aprile 1943 fu
internato a Tegel, nel medesimo carcere berlinese di Reinisch e di
Jägerstätter, e che dopo diversi trasferimenti finì impiccato nel lager di
Flossenburg il 9 aprile 1945. Di Bonhoeffer, il libro di Francesco Comina
riporta una frase degna di essere meditata: “Chi cerca di sfuggire alla terra
non trova Dio, trova solo una altro mondo, il suo mondo, più bello, più
tranquillo, un mondo ai margini, ma non il Regno di Dio, che comincia in questo
mondo” (p. 117). Altrove Bonhoeffer precisa questa sua posizione, che lo portò
a non accontentarsi di una resistenza passiva e soltanto soggettiva – peraltro
la sola forma che alcuni martiri, nelle loro diverse situazioni, potessero
realizzare –, per partecipare in prima persona alla congiura contro Hitler
dell’ammiraglio Wilhelm Canaris. Scrive infatti Bonhoeffer, in un piccolo
saggio lasciato agli amici nel Natale del 1942:
“Chi, sapendo che la corresponsabilità per il corso della
storia gli viene imposta da Dio, non permette che nulla di quanto accade lo
privi di essa, costui saprà individuare un rapporto fruttuoso con gli eventi
storici, al di là della sterile critica e del non meno sterile opportunismo.
Chi parla di soccombere eroicamente davanti a un’inevitabile sconfitta fa un
discorso in realtà molto poco eroico, perché non osa levare lo sguardo al
futuro. Per chi è responsabile la domanda ultima non è: come me la cavo eroicamente
in quest’affare, ma: quale potrà essere la vita della generazione che viene.
Solo da questa domanda storicamente responsabile possono nascere soluzioni
feconde, anche se provvisoriamente molto mortificanti”. Si tratta cioè, per la
generazione che verrà, di saper riconoscere “se si agisce solo in base a un
principio o in base ad una responsabilità vitale; perché in questo si gioca il
suo stesso futuro” (Dieci anni dopo, Pazzini, 2024, pp. 25-26).
(…)
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