venerdì 17 ottobre 2025

India. Un premio al “seva” di Rose

 



India. Un premio al “seva” di Rose

La fondatrice del Meeting Point di Kampala, in Uganda, ha ricevuto, davanti a duemila persone, un riconoscimento durante il One World One Family World Cultural Festival 2025. «Rose, guidata dall’incontro con don Giussani, ha potuto scoprire la sua chiamata ad aiutare le persone»

 

16.10.2025

Anna Leonardi

Rose Busingye riceve il premio da Sadhguru del "One World One Family World Cultural Festival 2025"

Come un Festival in India, organizzato in occasione del centenario della nascita di Sathya Sai Baba, uno dei più noti maestri spirituali dell’India contemporanea, abbia scoperto e voluto premiare Rose Busingye, l’infermiera ugandese che da trent’anni lavora con le donne sieropositive e bambini orfani di Kampala, resta abbastanza un mistero. Eppure lo scorso 23 agosto Rose, insieme ad una delegazione del suo Paese, è arrivata a Muddenahalli, nel sud del Paese, ed è salita sul palco dell’enorme centro congressi Sathya Sai Grama, per ricevere il premio per il suo “seva”, una parola in hindi per indicare il servizio disinteressato come forma universale di amore.

«Quando mi hanno convocato non volevo crederci, pensavo a uno scherzo, ho buttato via la mail. Poi mi hanno riscritto e fatte le verifiche presso consolati e ambasciate, ho capito che avevano scelto proprio me. E che l’evento non era proprio una cosa da niente. Alla fine sono partita», racconta Rose.

Il One World One Family World Cultural Festival 2025 ha una durata complessiva di cento giorni - dal 16 agosto al 23 novembre - e vede la partecipazione di nazioni provenienti da tutto il mondo. Il festival è organizzato in collaborazione con il Ministero della Cultura del Governo dell’India e con l’Indira Gandhi National Centre for the Arts. Il programma comprende spettacoli culturali, celebrazioni spirituali oltre a promuovere iniziative sociali di forte impatto, come l’apertura presso il Sathya Sai Grama, di un ospedale gratuito da 600 posti letto concepito per offrire cure di alta qualità a tutti, senza distinzione di reddito o provenienza. In questa carrellata di eventi, ogni giorno vengono presentate e premiate persone impegnate in progetti di nutrizione, istruzione, sanità e di benessere per la comunità. Persone semplici e straordinarie che si sono distinte per un “amore in azione” – come stabilisce il Corporate Social Responsibility, il comitato, all’interno del festival, incaricato dell’assegnazione dei riconoscimenti.

Sulla targa del premio consegnato a Rose si legge: “Voce del valore infinito e della speranza”. Ed è questo che ha raccontato al momento della premiazione, quando, vestita con un sari di seta, si è trovata inaspettatamente davanti a una platea di duemila persone. «Essendo riuscita a partire all’ultimo e non avendo capito bene come si sarebbero svolte le cose, non mi ero preparata un vero discorso», spiega. «Quando ho visto tutte quelle persone mi sono sentita svenire. Ma ho pensato: “Gesù mi hai fatto arrivare fin qui, adesso tocca a te!”». Rose, dopo qualche tentennamento di commozione, inizia a parlare ripetendo ciò che ha sempre detto a chiunque abbia incontrato sulla sua strada: «Tu, in qualsiasi condizioni ti trovi ora, hai un valore. Sei prezioso. Povero, ricco, malato, moribondo non è la morte a definirti». Parole che lei per prima si sentì dire da don Giussani, quando in crisi e schiacciata dal peso delle opere che con lei erano nate, lui la guardava come a un tesoro inestimabile. Chi era don Giussani e come abbia sostenuto il suo lavoro è la presentatrice del festival a spiegarlo alla platea: «Rose, guidata dall’incontro formativo con don Giussani, il sacerdote italiano che ha fondato il movimento di Comunione e Liberazione, ha potuto scoprire la sua chiamata ad aiutare le persone».

 

Chiamata che si è concretizzata nel tempo in alcune opere come la Welcoming House, che raccoglie neonati abbandonati nelle pattumiere di Kampala, la Luigi Giussani Primary e High School e il Meeting Point International. Rose, continuando il suo discorso, ne descrive il cuore: «Distribuiamo farmaci, paghiamo le rette, facciamo counseling, ma le cose materiali sono solo degli strumenti perché ciascuno che arriva da noi si senta accolto, riconosca la dignità infinita che ha. A chiunque diciamo: “Guarda che sei di più di ciò che riesco a darti”».

La cerimonia si conclude con le parole di Sadhguru, uno dei più popolari guru indiani contemporanei e discepolo di Sai Baba, che dopo aver consegnato il premio a Rose, dice: «Ci sono persone a questo mondo mosse da un amore puro e questo è il motivo per cui in un mondo sempre più diviso c’è ancora la pace. Magari non si tratta di grandi organizzazioni, ma di persone semplici, che spaccano le pietre e fanno collane per raccogliere soldi da mandare a nazioni apparentemente più ricche di loro (si riferisce alle donne del Meeting Point, ndr) perché riconoscono che l’altro ci appartiene, e se ne fanno carico. È solo questo a tenere ancora il mondo insieme. Sono le donne e gli uomini che fanno la volontà di Dio qui sulla terra».

Quando Rose, prima di far ritorno a Kampala saluta Sadhguru, gli dice: «Non ho ancora capito come avete pescato proprio me in Uganda. Ma vi ringrazio perché lontano da casa mi sono sentita a casa. C’è qualcosa nel tuo volto che brilla. È la presenza del Mistero che fa me e te». Sadhguru le regala la stola e il monile d’oro che ha al collo e le sussurra: «Puoi chiedermi quello che vuoi. Ma una cosa te la chiedo io: l’anno prossimo voglio venire a trovarti. Voglio venire a vedere».   

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Sacro Cuore. Quarant’anni di mattoni

 



Sacro Cuore. Quarant’anni di mattoni

La Fondazione dell'Istituto alle porte di Milano festeggia il suo anniversario con una giornata dedicata a una costante della sua storia: la passione educativa ispirata da don Giussani. Sono intervenuti, tra gli altri, Davide Prosperi, Rose Busingye e Hans Broekman

 

15.10.2025

Maurizio Vitali

Il quarantennale della Fondazione Sacro Cuore

Una scuola festeggia il quarantesimo non con un’autocelebrazione, ma con un grazie al carisma da cui tutto è nato e fluisce: il carisma e il metodo educativo di don Luigi Giussani. È il “Sacro Cuore”. Nel salone del teatro dell’istituto di via Rombon, a Lambrate, periferia di Milano, non sono pochi quelli che ci hanno messo, nel 1985, il loro “mattone”, o i loro mattoni, cioè un contributo di cinquecentomila lire (o multipli, potendo) per l’acquisto dell’immobile da parte della Fraternità di Comunione e Liberazione. 

Lo ha ricordato Marco Bersanelli, astrofisico, presidente della Fondazione Sacro Cuore, in apertura del convegno intitolato “Certi di un bene più grande. Quarant’anni di passione educativa”, svoltosi l’11 ottobre. Sottolineando l’esplicita volontà di don Giussani di realizzare un esempio con cui tutti potessero confrontarsi, e sottolineando anche il valore indimenticabile dell’irruente e appassionata guida del primo rettore, don Giorgio Pontiggia. L’“esempio” è un complesso con un’offerta educativa che va dalla scuola materna ai licei (classico, scientifico e artistico) con 100 insegnanti e 1200 alunni.

Un grazie, si diceva, al carisma educativo di don Giussani. Ma anche un approfondimento di esso, «per dare continuità a quella storia nelle condizioni odierne e nel futuro», ha ricordato Bersanelli.

È toccato a Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione - e a suo tempo alunno del Sacro Cuore - il compito di tratteggiare “L’originalità della proposta educativa di don Giussani”. Il seguito del convegno è stato dedicato a testimonianze di alcuni “frutti significativi” del carisma e dell’opera: dalle scelte vocazionali e professionali di ex alunni (Daniele Gomarasca, rettore de La Zolla; Daniele Alberzoni, monaco del monastero benedettino della Cascinazza), alle realizzazioni nel mondo (Hans Broekman a Liverpool, Rose Busingye a Kampala).

Intervistato da Bersanelli, Prosperi condensa in tre capisaldi il metodo educativo giussaniano: 1) proporre adeguatamente il passato, cioè la tradizione, 2) come ipotesi di significato nel vissuto presente; 3) educazione alla critica, «cioè alla verifica, che chiama in causa», ha sottolineato Prosperi «la libertà del ragazzo e nel contempo il suo bisogno di essere accompagnato». Insomma «lo scopo ultimo è liberare i giovani! Liberarli, attraverso l’educazione, dall’alienazione che rende schiavi».

E come affrontare l’estrema fragilità, che oggi si manifesta, la dipendenza digitale o dalla droga, l’inedita frequenza dei disturbi dell’apprendimento? Con quali criteri?

«Tante volte il dramma dei giovani è di non sentirsi performanti, non all’altezza della performance cui si sentono disperatamente obbligati. La strada è, in un rapporto, fare emergere le vere esigenze del cuore e proporre una risposta positiva di cui l’adulto fa già esperienza, che è disponibile a condividere con i ragazzi che gli sono affidati». Non a caso don Pontiggia «considerava la scuola occasione di un cammino per tutti, per gli alunni, ma anche per gli insegnanti». Non è mancato uno sguardo sulla situazione italiana ed europea, per dichiarare, da parte del presidente della Fraternità di Cl, la necessità e la volontà di «riaprire un dibattito sulla libertà di educazione per il futuro del Paese».

 

Don Pontiggia riappare come protagonista di un episodio decisivo nella vita dell’allora quindicenne Daniele Gomarasca, oggi Rettore della Scuola La Zolla di Milano. Andò così: «Me ne stavo in fondo all’aula dove don Giorgio guidava un raduno religioso, preoccupato soprattutto di non farmi notare. Lui l’irruenza, io la timidezza. A un certo punto: “E tu, Gomarasca, che cosa ne pensi?”. Mi sentii un faro puntato addosso. Lui mi conosceva! Era attento a me. E la sua domanda era vera, non un artificio. Ecco: al vero ci si approssima cercando insieme in un cammino condiviso». Non solo da don Giorgio. Anche da certi insegnanti si riceve molto. Quelli che «non considerano l’alunno come cassa di risonanza delle loro sequenze già note». E la scelta di dedicarsi alla scuola? «Per il desiderio di restituire a tanti altri quello che insieme avevamo ricevuto».

Gli insegnanti possono lasciare un segno indelebile. Lo documenta anche Daniele, monaco benedettino. Di uno ricorda: «Ho scoperto in lui una stima per l’umano, per la mia umanità, più di quanto mi stimassi io. Per lui io ero una persona con cui coinvolgersi, non un problema da risolvere. Io sono stato abbracciato prima di ogni mia risposta». Di un altro prof, ricorda l’amore alla libertà e alle ragioni. Racconta l’episodio. Una ragazza: «Prof, possiamo iniziare la scuola con la preghiera?». «Perché?», fu la risposta. «No, finché non mi date una ragione». «Ecco, essere sfidati sulla ragioni», aggiunge il monaco, una grande lezione. «Nello stesso tempo ho fatto una grande esperienza di paternità con don Giorgio e con dei prof che hanno rischiato, se stessi con le mie domande. Fino a comunicarmi, specie don Pontiggia, il senso del Mistero: “Io sono tu che mi fai in questo momento”».

L’ultima parte del convegno, prima del saluto finale dell’attuale Rettore, don José Miguel García, si intitolava “Apertura al mondo”.

Hans Broekman, insegnante di lungo corso di Liverpool, venne folgorato da don Giussani per tramite della precedente folgorazione avuta da don Albacete, sacerdote, giornalista e intellettuale statunitense di grande fama, ciellino. La prima folgorazione da Albacete avviene nel settembre 2001, quando Broekman lo sente commentare in televisione la strage delle Torri Gemelle, in modo straordinario e diverso dagli altri. La seconda quando scoppiò la pandemia da Covid. «Chissà cosa direbbe Albacete se fosse vivo?». Su youtube trova un video in cui parla di don Giussani. Broekman legge tutto quello che trova di Albacete e di Giussani. Dopo la lettura de Il rischio educativo, gli scoppia dentro un pensiero: «Lo scriverei io, se fossi un genio». In compenso ha scritto un testo che espone le idee di don Giussani «in modo che gli inglesi potessero meglio capirle».

Da allora Broekman si è impegnato per cambiare il metodo della scuola. E a introdurre il principio della “coerenza”, intendendo che l’educazione non è riducibile all’istituzione, ma «tutto comincia dall’insegnante, dalla sua persona». Ora Broekman ha scelto di essere cappellano (laico) del Holy Family Trust, proprio per compiere il cambiamento di rotta.

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domenica 5 ottobre 2025

Pizzaballa. «Rimanere nell’amore»

 



Pizzaballa. «Rimanere nell’amore»

La lettera del cardinale a tutta la diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme: «La fine delle ostilità a Gaza è solo il primo passo. La resa dei conti non ci appartiene, né come logica né come linguaggio. Come Chiesa siamo chiamati a testimoniare la fede nella passione e risurrezione di Gesù. Ci uniamo all’invito del Papa per una giornata di digiuno e preghiera»

 

A tutta la diocesi del Patriarcato Latino di Gerusalemme

Carissimi fratelli e sorelle,

il Signore vi dia pace!

Sono due anni che la guerra ha assorbito gran parte delle nostre attenzioni ed energie. È ormai a tutti tristemente noto quanto è accaduto a Gaza. Continui massacri di civili, fame, sfollamenti ripetuti, difficoltà di accesso agli ospedali e alle cure mediche, mancanza di igiene, senza dimenticare coloro che sono detenuti contro la loro volontà.

Per la prima volta, comunque, le notizie parlano finalmente di una possibile nuova pagina positiva, della liberazione degli ostaggi israeliani, di alcuni prigionieri palestinesi e della cessazione dei bombardamenti e dell’offensiva militare. È un primo passo importante e lungamente atteso. Nulla è ancora del tutto chiaro e definito, ci sono ancora molte domande che attendono risposta, molto resta da definire, e non dobbiamo farci illusioni. Ma siamo lieti che vi sia comunque qualcosa di nuovo e positivo all’orizzonte.

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Leggi la lettera del cardinale sul sito del Patriarcato Latino di Gerusalemme



giovedì 2 ottobre 2025

Paraguay. Il mendicante e la casa ritrovata

 



Paraguay. Il mendicante e la casa ritrovata

Padre Pato racconta della caritativa con i senzatetto alla stazione degli autobus ad Asunciòn e di come l’incontro con un uruguayano affamato e bisognoso abbia cambiato la vita della parrocchia di San Rafael

 

02.10.2025

Patrizio Hacin

Parroco nella chiesa di San Rafael ad Asunciòn (Paraguay)

Era arrivato a piedi dall’Uruguay. Aveva sentito dire che in Paraguay ci sarebbero state più opportunità per ricominciare ma si era ritrovato povero e senza nulla. Lo incontrammo un venerdì vicino alla stazione degli autobus di Asunción, dove andiamo a fare caritativa. Era in fila ad aspettare la cena ed era arrabbiato: secondo lui eravamo molto male organizzati, quando ricevette il cibo si adirò perché ne voleva di più. Mi avvicinai e lo abbracciai. Quindici giorni lo rivedemmo. Fu molto più gentile e decise di fermarsi con noi fino alla fine della giornata (oltre alla distribuzione del cibo, infatti, pensiamo sempre a un momento di canti insieme). Così, poco a poco, nacque tra noi una piccola amicizia.

Qualche giorno più tardi si presentò nella nostra parrocchia di San Rafael, che si trova in una zona periferica della città. Era un lunedì, giorno che noi sacerdoti della Fraternità San Carlo Borromeo riserviamo al riposo, alla preghiera e al dialogo tra noi. Chiese alla segretaria di me, con molta insistenza. «Sono un suo amico», le disse. La segretaria mi avvisò che mi stava aspettando. Uscii a vedere chi fosse, ed eccolo lì, il mio disordinato amico uruguayano. Ricordo ancora le sue parole: «Ciao, padre. Sono venuto a vedere se ha bisogno di qualcosa, magari posso aiutarvi in parrocchia. Io posso lavorare e voi in cambio mi date da mangiare». Mi sorprese questo suo slancio, così accettammo. Del resto abbiamo un grande giardino da tenere pulito e due braccia in più possono fare comodo.

Durante una pausa dal lavoro, mi raccontò parte della sua storia. Sicuramente non mi disse tutto, ma non importa. Negli ultimi tempi, spiegò, gli era toccato vivere e dormire nella sala d’attesa della stazione degli autobus. Pochi giorni dopo questo nostro dialogo, proprio la stazione divenne teatro di un’operazione di sgombero da parte delle forze dell’ordine perché era emerso un traffico di minori nell’area, da sempre segnata da spaccio, prostituzione e tratta di esseri umani. Tutti i senzatetto furono costretti ad allontanarsi, proprio in un momento in cui faceva insolitamente freddo per la nostra regione. Ancora una volta, l’amico uruguayano tornò a bussare alla nostra porta. Chiedeva un luogo dove poter dormire e poiché abbiamo una sala incontri con un divano, gli permettemmo di passare lì la notte. Gli altri lavoratori che ruotano intorno alla nostra chiesa si preoccuparono per lui: lo aiutarono a lavarsi, a cambiarsi e condivisero con lui il cibo.

Alcuni giorni dopo, qualcuno gli offrì un lavoro in un’altra città, a circa 200 km da Asunción. Con il piccolo compenso che aveva ricevuto da noi per il suo operato se ne andò, lasciando solo un biglietto diceva: «Grazie di tutto, padre. Vado a lavorare fuori città». Provai una strana tristezza, e anche i lavoratori rimasero delusi dalla sua decisione. Neanche 48 ore dopo, però, lo vedemmo tornare. Per noi fu una grande gioia, ma lui era molto abbattuto: l’avevano ingannato con la proposta di lavoro. A pranzo, emozionato, ci disse: «Non sarei mai dovuto andare via da qui. Devo imparare a fidarmi».

«La sua presenza ci ha smossi, ha fatto maturare l’amicizia tra noi sacerdoti e i lavoratori della parrocchia. Avere una casa, aprirla e far parte della sua costruzione è la cosa più bella che un uomo possa avere come orizzonte nella vita»

Quando in tavola arrivò l’asado, timidamente aggiunse: «Erano anni che non mangiavo così, a tavola con amici. Non credo di poter mangiare molto, perché devo mantenere lo stomaco piccolo per non soffrire la fame. Non so fino a quando tornerò a mangiare». Fu un momento duro e commovente. Il giardiniere della parrocchia, un uomo timido e di poche parole, ruppe il silenzio mentre gli serviva la carne: «Con noi mangerai sempre».

Quel giorno – era un venerdì – nel pomeriggio noi sacerdoti tornammo in stazione per la consueta caritativa e il nostro amico volle aiutare a preparare il cibo da distribuire. Non posso dimenticare il dialogo che accadde in auto. Ci disse: «Che grande miracolo. Due settimane fa aspettavo che voi arrivaste perché avevo fame, e oggi Dio mi fa sentire cosa significa essere aspettato». Quando arrivammo, alcune persone lo riconobbero. Era pulito e rasato per cui gli chiesero come fosse possibile quel cambiamento. Lui rispose, ancora una volta, di essere stato accolto nella nostra parrocchia.

Alcuni tossicodipendenti mi chiesero allora se potessero vivere anche loro con noi. Non potevo portarli tutti a vivere da noi, anche se avrei voluto, ma proposi di cercare insieme un lavoro. Il giorno dopo, tre di loro si affaccendavano a tener pulito intorno alla parrocchia. Non hanno smesso di venire. E non per chiedere solo denaro come in passato, ma per lavorare, per impiegare il proprio tempo in maniera utile.

Non sono mancati momenti difficili. Vicino alla parrocchia c’è un’officina meccanica il cui proprietario è uruguayano, così gli chiesi se potesse assumere il suo connazionale. All’inizio rifiutò perché è piuttosto rischioso assumere qualcuno preso dalla strada, senza documenti né casa. Dopo qualche tentennamento e qualche rassicurazione, accettò. I primi giorni andarono bene finché il nostro amico non si presentò al lavoro ubriaco,  causando quasi un incidente. Il meccanico mi chiamò spiegandomi di non potersi davvero più fidare e avvertendomi di non rischiare più ad aiutare quell’uomo. «So però che non mi darà ascolto. voi preti siete tutti matti».

Nel pomeriggio l’amico uruguayano venne da noi confessando l’accaduto e chiedendo perdono. Quando gli altri lavoratori della parrocchia seppero dell’accaduto invece di scandalizzarsi hanno insistito perché noi sacerdoti potessimo offrirgli una piccola stanza con bagno nell’attesa che lui trovasse un lavoro. Pensai al rischio, alle parole del proprietario dell’officina, ma sulla mia paura prevalse lo sguardo di carità di quegli uomini.

(…)

https://www.clonline.org/it/attualita/articoli/padre-pato-hacin-san-rafael-paraguay-caritativa#:~:text=CHIESA-,Paraguay.%20Il%20mendicante%20e%20la%20casa%20ritrovata,ultime%20settimane%2C%20il%20mendicante%20sia%20diventato%20il%20vero%20protagonista%20della%20Storia.,-CHIESA