Paraguay. Il mendicante e la casa ritrovata
Padre Pato racconta della caritativa con i senzatetto alla
stazione degli autobus ad Asunciòn e di come l’incontro con un uruguayano
affamato e bisognoso abbia cambiato la vita della parrocchia di San Rafael
02.10.2025
Patrizio Hacin
Parroco nella chiesa di San Rafael ad Asunciòn (Paraguay)
Era arrivato a piedi dall’Uruguay. Aveva sentito dire che in
Paraguay ci sarebbero state più opportunità per ricominciare ma si era
ritrovato povero e senza nulla. Lo incontrammo un venerdì vicino alla stazione
degli autobus di Asunción, dove andiamo a fare caritativa. Era in fila ad
aspettare la cena ed era arrabbiato: secondo lui eravamo molto male
organizzati, quando ricevette il cibo si adirò perché ne voleva di più. Mi
avvicinai e lo abbracciai. Quindici giorni lo rivedemmo. Fu molto più gentile e
decise di fermarsi con noi fino alla fine della giornata (oltre alla
distribuzione del cibo, infatti, pensiamo sempre a un momento di canti
insieme). Così, poco a poco, nacque tra noi una piccola amicizia.
Qualche giorno più tardi si presentò nella nostra parrocchia
di San Rafael, che si trova in una zona periferica della città. Era un lunedì,
giorno che noi sacerdoti della Fraternità San Carlo Borromeo riserviamo al
riposo, alla preghiera e al dialogo tra noi. Chiese alla segretaria di me, con
molta insistenza. «Sono un suo amico», le disse. La segretaria mi avvisò che mi
stava aspettando. Uscii a vedere chi fosse, ed eccolo lì, il mio disordinato
amico uruguayano. Ricordo ancora le sue parole: «Ciao, padre. Sono venuto a
vedere se ha bisogno di qualcosa, magari posso aiutarvi in parrocchia. Io posso
lavorare e voi in cambio mi date da mangiare». Mi sorprese questo suo slancio,
così accettammo. Del resto abbiamo un grande giardino da tenere pulito e due
braccia in più possono fare comodo.
Durante una pausa dal lavoro, mi raccontò parte della sua
storia. Sicuramente non mi disse tutto, ma non importa. Negli ultimi tempi,
spiegò, gli era toccato vivere e dormire nella sala d’attesa della stazione
degli autobus. Pochi giorni dopo questo nostro dialogo, proprio la stazione
divenne teatro di un’operazione di sgombero da parte delle forze dell’ordine
perché era emerso un traffico di minori nell’area, da sempre segnata da
spaccio, prostituzione e tratta di esseri umani. Tutti i senzatetto furono costretti
ad allontanarsi, proprio in un momento in cui faceva insolitamente freddo per
la nostra regione. Ancora una volta, l’amico uruguayano tornò a bussare alla
nostra porta. Chiedeva un luogo dove poter dormire e poiché abbiamo una sala
incontri con un divano, gli permettemmo di passare lì la notte. Gli altri
lavoratori che ruotano intorno alla nostra chiesa si preoccuparono per lui: lo
aiutarono a lavarsi, a cambiarsi e condivisero con lui il cibo.
Alcuni giorni dopo, qualcuno gli offrì un lavoro in un’altra
città, a circa 200 km da Asunción. Con il piccolo compenso che aveva ricevuto
da noi per il suo operato se ne andò, lasciando solo un biglietto diceva:
«Grazie di tutto, padre. Vado a lavorare fuori città». Provai una strana
tristezza, e anche i lavoratori rimasero delusi dalla sua decisione. Neanche 48
ore dopo, però, lo vedemmo tornare. Per noi fu una grande gioia, ma lui era
molto abbattuto: l’avevano ingannato con la proposta di lavoro. A pranzo,
emozionato, ci disse: «Non sarei mai dovuto andare via da qui. Devo imparare a
fidarmi».
«La sua presenza ci ha smossi, ha fatto maturare l’amicizia
tra noi sacerdoti e i lavoratori della parrocchia. Avere una casa, aprirla e
far parte della sua costruzione è la cosa più bella che un uomo possa avere
come orizzonte nella vita»
Quando in tavola arrivò l’asado, timidamente aggiunse:
«Erano anni che non mangiavo così, a tavola con amici. Non credo di poter
mangiare molto, perché devo mantenere lo stomaco piccolo per non soffrire la
fame. Non so fino a quando tornerò a mangiare». Fu un momento duro e
commovente. Il giardiniere della parrocchia, un uomo timido e di poche parole,
ruppe il silenzio mentre gli serviva la carne: «Con noi mangerai sempre».
Quel giorno – era un venerdì – nel pomeriggio noi sacerdoti
tornammo in stazione per la consueta caritativa e il nostro amico volle aiutare
a preparare il cibo da distribuire. Non posso dimenticare il dialogo che
accadde in auto. Ci disse: «Che grande miracolo. Due settimane fa aspettavo che
voi arrivaste perché avevo fame, e oggi Dio mi fa sentire cosa significa essere
aspettato». Quando arrivammo, alcune persone lo riconobbero. Era pulito e
rasato per cui gli chiesero come fosse possibile quel cambiamento. Lui rispose,
ancora una volta, di essere stato accolto nella nostra parrocchia.
Alcuni tossicodipendenti mi chiesero allora se potessero
vivere anche loro con noi. Non potevo portarli tutti a vivere da noi, anche se
avrei voluto, ma proposi di cercare insieme un lavoro. Il giorno dopo, tre di
loro si affaccendavano a tener pulito intorno alla parrocchia. Non hanno smesso
di venire. E non per chiedere solo denaro come in passato, ma per lavorare, per
impiegare il proprio tempo in maniera utile.
Non sono mancati momenti difficili. Vicino alla parrocchia
c’è un’officina meccanica il cui proprietario è uruguayano, così gli chiesi se
potesse assumere il suo connazionale. All’inizio rifiutò perché è piuttosto
rischioso assumere qualcuno preso dalla strada, senza documenti né casa. Dopo
qualche tentennamento e qualche rassicurazione, accettò. I primi giorni
andarono bene finché il nostro amico non si presentò al lavoro ubriaco, causando quasi un incidente. Il meccanico mi
chiamò spiegandomi di non potersi davvero più fidare e avvertendomi di non
rischiare più ad aiutare quell’uomo. «So però che non mi darà ascolto. voi
preti siete tutti matti».
Nel pomeriggio l’amico uruguayano venne da noi confessando
l’accaduto e chiedendo perdono. Quando gli altri lavoratori della parrocchia
seppero dell’accaduto invece di scandalizzarsi hanno insistito perché noi
sacerdoti potessimo offrirgli una piccola stanza con bagno nell’attesa che lui
trovasse un lavoro. Pensai al rischio, alle parole del proprietario
dell’officina, ma sulla mia paura prevalse lo sguardo di carità di quegli
uomini.
(…)
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