venerdì 17 ottobre 2025

Sacro Cuore. Quarant’anni di mattoni

 



Sacro Cuore. Quarant’anni di mattoni

La Fondazione dell'Istituto alle porte di Milano festeggia il suo anniversario con una giornata dedicata a una costante della sua storia: la passione educativa ispirata da don Giussani. Sono intervenuti, tra gli altri, Davide Prosperi, Rose Busingye e Hans Broekman

 

15.10.2025

Maurizio Vitali

Il quarantennale della Fondazione Sacro Cuore

Una scuola festeggia il quarantesimo non con un’autocelebrazione, ma con un grazie al carisma da cui tutto è nato e fluisce: il carisma e il metodo educativo di don Luigi Giussani. È il “Sacro Cuore”. Nel salone del teatro dell’istituto di via Rombon, a Lambrate, periferia di Milano, non sono pochi quelli che ci hanno messo, nel 1985, il loro “mattone”, o i loro mattoni, cioè un contributo di cinquecentomila lire (o multipli, potendo) per l’acquisto dell’immobile da parte della Fraternità di Comunione e Liberazione. 

Lo ha ricordato Marco Bersanelli, astrofisico, presidente della Fondazione Sacro Cuore, in apertura del convegno intitolato “Certi di un bene più grande. Quarant’anni di passione educativa”, svoltosi l’11 ottobre. Sottolineando l’esplicita volontà di don Giussani di realizzare un esempio con cui tutti potessero confrontarsi, e sottolineando anche il valore indimenticabile dell’irruente e appassionata guida del primo rettore, don Giorgio Pontiggia. L’“esempio” è un complesso con un’offerta educativa che va dalla scuola materna ai licei (classico, scientifico e artistico) con 100 insegnanti e 1200 alunni.

Un grazie, si diceva, al carisma educativo di don Giussani. Ma anche un approfondimento di esso, «per dare continuità a quella storia nelle condizioni odierne e nel futuro», ha ricordato Bersanelli.

È toccato a Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione - e a suo tempo alunno del Sacro Cuore - il compito di tratteggiare “L’originalità della proposta educativa di don Giussani”. Il seguito del convegno è stato dedicato a testimonianze di alcuni “frutti significativi” del carisma e dell’opera: dalle scelte vocazionali e professionali di ex alunni (Daniele Gomarasca, rettore de La Zolla; Daniele Alberzoni, monaco del monastero benedettino della Cascinazza), alle realizzazioni nel mondo (Hans Broekman a Liverpool, Rose Busingye a Kampala).

Intervistato da Bersanelli, Prosperi condensa in tre capisaldi il metodo educativo giussaniano: 1) proporre adeguatamente il passato, cioè la tradizione, 2) come ipotesi di significato nel vissuto presente; 3) educazione alla critica, «cioè alla verifica, che chiama in causa», ha sottolineato Prosperi «la libertà del ragazzo e nel contempo il suo bisogno di essere accompagnato». Insomma «lo scopo ultimo è liberare i giovani! Liberarli, attraverso l’educazione, dall’alienazione che rende schiavi».

E come affrontare l’estrema fragilità, che oggi si manifesta, la dipendenza digitale o dalla droga, l’inedita frequenza dei disturbi dell’apprendimento? Con quali criteri?

«Tante volte il dramma dei giovani è di non sentirsi performanti, non all’altezza della performance cui si sentono disperatamente obbligati. La strada è, in un rapporto, fare emergere le vere esigenze del cuore e proporre una risposta positiva di cui l’adulto fa già esperienza, che è disponibile a condividere con i ragazzi che gli sono affidati». Non a caso don Pontiggia «considerava la scuola occasione di un cammino per tutti, per gli alunni, ma anche per gli insegnanti». Non è mancato uno sguardo sulla situazione italiana ed europea, per dichiarare, da parte del presidente della Fraternità di Cl, la necessità e la volontà di «riaprire un dibattito sulla libertà di educazione per il futuro del Paese».

 

Don Pontiggia riappare come protagonista di un episodio decisivo nella vita dell’allora quindicenne Daniele Gomarasca, oggi Rettore della Scuola La Zolla di Milano. Andò così: «Me ne stavo in fondo all’aula dove don Giorgio guidava un raduno religioso, preoccupato soprattutto di non farmi notare. Lui l’irruenza, io la timidezza. A un certo punto: “E tu, Gomarasca, che cosa ne pensi?”. Mi sentii un faro puntato addosso. Lui mi conosceva! Era attento a me. E la sua domanda era vera, non un artificio. Ecco: al vero ci si approssima cercando insieme in un cammino condiviso». Non solo da don Giorgio. Anche da certi insegnanti si riceve molto. Quelli che «non considerano l’alunno come cassa di risonanza delle loro sequenze già note». E la scelta di dedicarsi alla scuola? «Per il desiderio di restituire a tanti altri quello che insieme avevamo ricevuto».

Gli insegnanti possono lasciare un segno indelebile. Lo documenta anche Daniele, monaco benedettino. Di uno ricorda: «Ho scoperto in lui una stima per l’umano, per la mia umanità, più di quanto mi stimassi io. Per lui io ero una persona con cui coinvolgersi, non un problema da risolvere. Io sono stato abbracciato prima di ogni mia risposta». Di un altro prof, ricorda l’amore alla libertà e alle ragioni. Racconta l’episodio. Una ragazza: «Prof, possiamo iniziare la scuola con la preghiera?». «Perché?», fu la risposta. «No, finché non mi date una ragione». «Ecco, essere sfidati sulla ragioni», aggiunge il monaco, una grande lezione. «Nello stesso tempo ho fatto una grande esperienza di paternità con don Giorgio e con dei prof che hanno rischiato, se stessi con le mie domande. Fino a comunicarmi, specie don Pontiggia, il senso del Mistero: “Io sono tu che mi fai in questo momento”».

L’ultima parte del convegno, prima del saluto finale dell’attuale Rettore, don José Miguel García, si intitolava “Apertura al mondo”.

Hans Broekman, insegnante di lungo corso di Liverpool, venne folgorato da don Giussani per tramite della precedente folgorazione avuta da don Albacete, sacerdote, giornalista e intellettuale statunitense di grande fama, ciellino. La prima folgorazione da Albacete avviene nel settembre 2001, quando Broekman lo sente commentare in televisione la strage delle Torri Gemelle, in modo straordinario e diverso dagli altri. La seconda quando scoppiò la pandemia da Covid. «Chissà cosa direbbe Albacete se fosse vivo?». Su youtube trova un video in cui parla di don Giussani. Broekman legge tutto quello che trova di Albacete e di Giussani. Dopo la lettura de Il rischio educativo, gli scoppia dentro un pensiero: «Lo scriverei io, se fossi un genio». In compenso ha scritto un testo che espone le idee di don Giussani «in modo che gli inglesi potessero meglio capirle».

Da allora Broekman si è impegnato per cambiare il metodo della scuola. E a introdurre il principio della “coerenza”, intendendo che l’educazione non è riducibile all’istituzione, ma «tutto comincia dall’insegnante, dalla sua persona». Ora Broekman ha scelto di essere cappellano (laico) del Holy Family Trust, proprio per compiere il cambiamento di rotta.

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