Sacro Cuore. Quarant’anni di mattoni
La Fondazione dell'Istituto alle porte di Milano festeggia
il suo anniversario con una giornata dedicata a una costante della sua storia:
la passione educativa ispirata da don Giussani. Sono intervenuti, tra gli
altri, Davide Prosperi, Rose Busingye e Hans Broekman
15.10.2025
Maurizio Vitali
Il quarantennale della Fondazione Sacro Cuore
Una scuola festeggia il quarantesimo non con
un’autocelebrazione, ma con un grazie al carisma da cui tutto è nato e fluisce:
il carisma e il metodo educativo di don Luigi Giussani. È il “Sacro Cuore”. Nel
salone del teatro dell’istituto di via Rombon, a Lambrate, periferia di Milano,
non sono pochi quelli che ci hanno messo, nel 1985, il loro “mattone”, o i loro
mattoni, cioè un contributo di cinquecentomila lire (o multipli, potendo) per
l’acquisto dell’immobile da parte della Fraternità di Comunione e Liberazione.
Lo ha ricordato Marco Bersanelli, astrofisico, presidente
della Fondazione Sacro Cuore, in apertura del convegno intitolato “Certi di un
bene più grande. Quarant’anni di passione educativa”, svoltosi l’11 ottobre.
Sottolineando l’esplicita volontà di don Giussani di realizzare un esempio con
cui tutti potessero confrontarsi, e sottolineando anche il valore
indimenticabile dell’irruente e appassionata guida del primo rettore, don
Giorgio Pontiggia. L’“esempio” è un complesso con un’offerta educativa che va dalla
scuola materna ai licei (classico, scientifico e artistico) con 100 insegnanti
e 1200 alunni.
Un grazie, si diceva, al carisma educativo di don Giussani.
Ma anche un approfondimento di esso, «per dare continuità a quella storia nelle
condizioni odierne e nel futuro», ha ricordato Bersanelli.
È toccato a Davide Prosperi, presidente della Fraternità di
Comunione e Liberazione - e a suo tempo alunno del Sacro Cuore - il compito di
tratteggiare “L’originalità della proposta educativa di don Giussani”. Il
seguito del convegno è stato dedicato a testimonianze di alcuni “frutti
significativi” del carisma e dell’opera: dalle scelte vocazionali e
professionali di ex alunni (Daniele Gomarasca, rettore de La Zolla; Daniele
Alberzoni, monaco del monastero benedettino della Cascinazza), alle realizzazioni
nel mondo (Hans Broekman a Liverpool, Rose Busingye a Kampala).
Intervistato da Bersanelli, Prosperi condensa in tre
capisaldi il metodo educativo giussaniano: 1) proporre adeguatamente il
passato, cioè la tradizione, 2) come ipotesi di significato nel vissuto
presente; 3) educazione alla critica, «cioè alla verifica, che chiama in
causa», ha sottolineato Prosperi «la libertà del ragazzo e nel contempo il suo
bisogno di essere accompagnato». Insomma «lo scopo ultimo è liberare i giovani!
Liberarli, attraverso l’educazione, dall’alienazione che rende schiavi».
E come affrontare l’estrema fragilità, che oggi si
manifesta, la dipendenza digitale o dalla droga, l’inedita frequenza dei
disturbi dell’apprendimento? Con quali criteri?
«Tante volte il dramma dei giovani è di non sentirsi
performanti, non all’altezza della performance cui si sentono disperatamente
obbligati. La strada è, in un rapporto, fare emergere le vere esigenze del
cuore e proporre una risposta positiva di cui l’adulto fa già esperienza, che è
disponibile a condividere con i ragazzi che gli sono affidati». Non a caso don
Pontiggia «considerava la scuola occasione di un cammino per tutti, per gli
alunni, ma anche per gli insegnanti». Non è mancato uno sguardo sulla situazione
italiana ed europea, per dichiarare, da parte del presidente della Fraternità
di Cl, la necessità e la volontà di «riaprire un dibattito sulla libertà di
educazione per il futuro del Paese».
Don Pontiggia riappare come protagonista di un episodio
decisivo nella vita dell’allora quindicenne Daniele Gomarasca, oggi Rettore
della Scuola La Zolla di Milano. Andò così: «Me ne stavo in fondo all’aula dove
don Giorgio guidava un raduno religioso, preoccupato soprattutto di non farmi
notare. Lui l’irruenza, io la timidezza. A un certo punto: “E tu, Gomarasca,
che cosa ne pensi?”. Mi sentii un faro puntato addosso. Lui mi conosceva! Era
attento a me. E la sua domanda era vera, non un artificio. Ecco: al vero ci si
approssima cercando insieme in un cammino condiviso». Non solo da don Giorgio.
Anche da certi insegnanti si riceve molto. Quelli che «non considerano l’alunno
come cassa di risonanza delle loro sequenze già note». E la scelta di dedicarsi
alla scuola? «Per il desiderio di restituire a tanti altri quello che insieme
avevamo ricevuto».
Gli insegnanti possono lasciare un segno indelebile. Lo
documenta anche Daniele, monaco benedettino. Di uno ricorda: «Ho scoperto in
lui una stima per l’umano, per la mia umanità, più di quanto mi stimassi io.
Per lui io ero una persona con cui coinvolgersi, non un problema da risolvere.
Io sono stato abbracciato prima di ogni mia risposta». Di un altro prof,
ricorda l’amore alla libertà e alle ragioni. Racconta l’episodio. Una ragazza:
«Prof, possiamo iniziare la scuola con la preghiera?». «Perché?», fu la
risposta. «No, finché non mi date una ragione». «Ecco, essere sfidati sulla
ragioni», aggiunge il monaco, una grande lezione. «Nello stesso tempo ho fatto
una grande esperienza di paternità con don Giorgio e con dei prof che hanno
rischiato, se stessi con le mie domande. Fino a comunicarmi, specie don
Pontiggia, il senso del Mistero: “Io sono tu che mi fai in questo momento”».
L’ultima parte del convegno, prima del saluto finale
dell’attuale Rettore, don José Miguel García, si intitolava “Apertura al
mondo”.
Hans Broekman, insegnante di lungo corso di Liverpool, venne
folgorato da don Giussani per tramite della precedente folgorazione avuta da
don Albacete, sacerdote, giornalista e intellettuale statunitense di grande
fama, ciellino. La prima folgorazione da Albacete avviene nel settembre 2001,
quando Broekman lo sente commentare in televisione la strage delle Torri
Gemelle, in modo straordinario e diverso dagli altri. La seconda quando scoppiò
la pandemia da Covid. «Chissà cosa direbbe Albacete se fosse vivo?». Su youtube
trova un video in cui parla di don Giussani. Broekman legge tutto quello che
trova di Albacete e di Giussani. Dopo la lettura de Il rischio educativo, gli
scoppia dentro un pensiero: «Lo scriverei io, se fossi un genio». In compenso
ha scritto un testo che espone le idee di don Giussani «in modo che gli inglesi
potessero meglio capirle».
Da allora Broekman si è impegnato per cambiare il metodo
della scuola. E a introdurre il principio della “coerenza”, intendendo che
l’educazione non è riducibile all’istituzione, ma «tutto comincia
dall’insegnante, dalla sua persona». Ora Broekman ha scelto di essere
cappellano (laico) del Holy Family Trust, proprio per compiere il cambiamento
di rotta.
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