FEDE
La virtù per dialogare con Dio
Fin dalle origini della Chiesa, nel cercare il senso della fede, è constante il riferimento alle Sacre Scritture,
leitmotiv
di ogni riflessione giudeo-cristiana. Dobbiamo però ai pensatori
medievali, arricchiti soprattutto dalla riflessione sul pensiero di
sant’Agostino, il merito di inquisire il rapporto esistenziale tra la
singola persona e Dio. Si trattò di interrogarsi sul come il dono della
fede, dato a tutti, può essere recepito da ogni persona umana. Quando
la Chiesa nascente, sostenuta dalle categorie del pensiero semitico,
cominciò a misurarsi con il mondo greco, che fu la più proficua
esperienza di inculturazione a noi conosciuta - anche se non l’unica -,
l’insegnamento dei grandi pensatori aiutò non poco a cercare una
conciliazione tra Dio, Totaliter aliter,
e di per sé inconoscibile se non rivelato, e l’uomo, sempre affascinato
dal mito di Ulisse, in cerca di superare le Colonne d’Ercole. Quando si
andò ad analizzare in forma sistematica questa relazione, se cioè fosse
essa possibile, e come superare, al di là del cognitum, il rapporto tra Dio e l’uomo, si avviarono tentativi che, di generazione in generazione, giunsero fino ai nostri tempi. Dobbiamo rifarci al concetto di interior instinctus
di Tommaso d’Aquino: la prima Grazia che Dio fa all’uomo. È la
facoltà, insita nella creatura umana, di tentare di porsi in relazione
con il Creatore: « Ad tertium
dicendum quod interior instinctus, quo Christus poterat se manifestare
sine miraculis exterioribus, pertinet ad virtutem primae veritatis,
quae interius hominem illuminat et docet ».
L’intuizione tomista dette origine a una serie di riflessioni piene di
fascino. L’Aquinate, figlio della sua epoca, affrontò la speculazione
sul tema, soprattutto attraverso il principio di causalità. Causa -
effetto è il nesso della Scolastica sulle cosiddette “5 vie” per
dimostrare l’esistenza di Dio. Nella solare esperienza di Tommaso non
andò perduta la riflessione di Agostino. Il decimo capitolo delle Confessiones
esprime liricamente il rimpianto per la tardiva conoscenza di Dio,
della libertà, del peccato e della Grazia. Qualche eco della gnosi
antica risulta nella ricerca del rapporto con Dio attraverso la via
della conoscenza, o quella antichissima dei Padri Apostolici della via
dell’illuminazione. Mi piace ricordare, seppur con un fugace cenno, la svolta di Blaise Pascal, forse edotto dai mistici spagnoli del secolo che lo aveva preceduto, di indirizzare la ricerca su quel concetto che nella Scrittura è il
leb,
identificato con la categoria del “cuore”. È un concetto non certamente
estraneo a una sempre più profonda discesa nell’interiorità
dell’uomo. Altra è la via dei grandi pensatori tedeschi
dei due secoli successivi, che, ciascuno con un’indagine propria,
approfondiscono la realtà umana, senza eludere una ricerca
sull’interiorità, con gli approcci che appartengono a ciascuna
filosofia. Queste ultime sono le radici del pensiero contemporaneo.
Mi pare che un significativo passo avanti sui fondamenti della fede,
nel turbinio disastroso della prima metà del Novecento, tra le due
guerre mondiali, debba riconoscersi soprattutto nel Personalismo
francese e nei felici epigoni di quel pensiero avviato da Mounier e
da Bergson.
Mi piace presentare a questo distinto uditorio un approccio al tema, che trovo veramente fascinoso.
È l’elaborazione sul concetto di empatia, che ci ha lasciato Edith
Stein, più nota tra i cattolici con il titolo che si meritò di santa
Teresa Benedetta della Croce, martire ad Auschwitz. Tra l’essere umano e
Dio esisterebbe un rapporto empatico che salva la libera dignità
dell’uomo e finisce per incontrarsi con la mai interrotta ricerca di Dio
di rinnovare la relazione con la persona e con il popolo dei credenti.
Quando la qualità empatica dell’uomo si incontra, per via di conoscenza
ed esperienza, con la provvidente misericordia di Dio, nasce una
scintilla dove due pathos
si incontrano, l’uomo e Dio, in un rapporto che avvia le note della
empatia: «Così l’uomo coglie la vita psichica del suo simile; così
anche il credente coglie l’amore, la collera e il comandamento del suo
Dio; e Dio non può cogliere la vita dell’uomo in altro modo».
Il tema del rapporto tra uomo e Dio ha segnato, attraverso
l’antropologia biblica, tutta la cultura giudeo-cristiana, ma anche,
attraverso i Caldei, il successivo mondo islamico.
Dal discorso di Paolo sull’Areopago di Atene, accanto ai credenti, è
stato sempre presente un numero di persone, che si dichiararono non
credenti: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». Non è questo il luogo
per ricostruire la storia dei rapporti tra i credenti e i non
credenti. Nella mia esperienza di prete, ho incontrato tanta gente,
anche lontana dalla Chiesa. Credo di non essermi mai imbattuto in un
ateo vero. Molti hanno visioni del mondo diverse dalla nostra.
Proporre il Vangelo a tutti è la nostra missione, nel dialogo e nel
rispetto di ciascuno, al di là dei nominalismi. La Chiesa non ha
nemici, perché la stessa categoria dell’inimicizia contraddice il Vangelo.
Credo che valga la pena approfondire il tema della “simpatia”, almeno
come illustrata da alcuni pensatori della prima metà del Novecento, tra
i quali Max Scheler, che affermava: «La forma suprema dell’amore di
Dio non è l’amore “di Dio” come bene infinito, cioè come una cosa, bensì
la co-attuazione dell’amore di Dio per il mondo ( amare mundum in Deo) e per se stesso ( amare Deum in Deo) ». Accanto al rinascimentale quisque fortunae suae faber, vi fu una contemporanea visione dell’uomo, “ homo novus”,
capace di coinvolgersi nello stesso amore che ha Dio per l’uomo, anche
quando l’uomo rifiuta il dialogo con Lui. L’esasperazione di questo
voler contrapporre i cosiddetti credenti e non credenti - categorie
ottocentesche - genera solo fanatismo e contraddice, da ultimo, quel
concetto di «Chiesa in uscita », che Papa Francesco ha proposto per noi
in Evangelii Gaudium.
Anche il concetto stesso di laicità, peraltro anch’esso Ottocentesco,
ha problematiche analoghe. Laddove si afferma la «autonomia dell’ordine
temporale», cioè si nega la contiguità tra Chiesa e potere, in
sostanza si affermano principi evangelici. Dove, invece, si affermano
dogmatici assiomi, assunti dal primato dell’economia, dalla visione
liberale e dall’autodeterminismo, del singolo o di gruppo, non si è
molto distanti dai fanatismi religiosi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Prediche di Spoleto/5.
Da Agostino alle cinque vie di Tommaso: il senso di un dono da
condividere con i non credenti. La riflessione del vescovo di
Arezzo-Cortona-San Sepolcro

FIRENZE. “La Fede”, dipinto di Piero del Pollaiolo nella Galleria degli Uffizi
Copyright © Avvenire