DOPO PAPA FRANCESCO/ Se il cuore pulsante del pontificato si
è “dichiarato” solo alla fine
Ora che il pontificato di Papa Francesco si è concluso,
sarebbe opportuno rileggerlo a partire dall'enciclica "Dilexit nos"
Danilo Zardin Pubblicato 26 Aprile 2025
Davanti alla circostanza gravida di mistero di una vita che
si chiude sulla scena del mondo, come quella di papa Francesco, la gratitudine
riconoscente dovrebbe precedere ogni altra reattività più o meno istintiva.
Solo con enorme rispetto ed estrema sobrietà si può sostare pensosi, cercando
di fissare nella memoria qualche tratto essenziale di un lascito che ci viene
consegnato: perché l’esperienza del cammino forzatamente interrotto non scivoli
via senza lasciare un frutto che rimanga, e dai passi compiuti possano così
scaturire indicazioni affidabili per il futuro che ci attende.
La chiave di lettura forse più efficace da adottare è quella
suggerita dal concentrarsi sul vertice più avanzato a cui ha condotto l’intensa
testimonianza di fede di papa Francesco. Il punto di approdo finale restituisce
il suo pieno significato all’intero percorso che lo ha preceduto: ne illumina
alcuni dei più potenti significati nascosti e fa emergere più vividamente la
linea di frontiera fino a cui si è spinta una coscienza alle prese con le sfide
integrali della modernità. Ѐ proprio da lì che si può proseguire lungo le
tracce che si trovano già abbozzate, con la pluralità fantasiosa degli stili
che sono la segreta ricchezza della grande comunione di una Chiesa viva.
In questo senso, si rivela quanto mai opportuno mettere
seriamente a profitto uno degli ultimi pronunciamenti autorevoli di papa
Francesco: quello confluito nell’enciclica Dilexit nos, che porta la data del
24 ottobre 2024.
L’impianto che la sorregge appare subito al primo sguardo
coraggiosamente sfidante, per chi accetti di misurarsi in modo leale con le
provocazioni che vi sono racchiuse. Qui papa Francesco non interviene su
questioni all’ordine del giorno nel dibattito pubblico. Si espone in modo
libero e disarmato al rischio di far riecheggiare una voce decisamente fuori
dal coro: è il suo punto di vista più radicale per non fermarsi alla superficie
dei problemi sul tappeto, premuti dalle urgenze più impressionanti imposte
dalla cronaca del presente.
I drammi della contemporaneità, i disagi e le miserie delle
nostre condizioni di esistenza non sono elusi, bensì attraversati dal desiderio
di affrontarli muovendo da un ancoraggio che li trascende, e che proprio per
questo contiene l’invincibile speranza di poter scardinare i criteri di
giudizio alla moda, dominati dal groviglio degli interessi e dalle visioni
ideologiche del momento.
Innestandosi nel tronco fecondo della tradizione secolare
del sentire cristiano, l’invito rivolto a tutti è quello di risalire alla
sorgente primaria della potenza di vita nuova contenuta nell’avvenimento del
sacrificio di Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo. Questo nucleo
essenziale è identificato senza mezzi termini con il cuore, allo stesso tempo
umano e divino, di Cristo.
Ѐ il “centro del suo essere”, il fulcro della sua identità
che continua a rendersi presente nella storia e ci raggiunge nelle condizioni
di vita che ci definiscono: è “il suo centro personale da cui sgorga –
incessante – il suo amore per noi”. Le braccia spalancate di Cristo sulla
croce, il suo costato ferito da cui fluisce come acqua e sangue il fiume di una
grazia totalmente condivisa, le piaghe del cruento supplizio ribaltate in
strumenti di gloria che redime sono i segni sensibili del pulsare continuo di
una realtà in cui si rivela la sostanza di Dio che è carità.
Scoprire questo centro di irradiazione della suprema carità
che accoglie e perdona, entrare nel circuito di un abbraccio che stringe una
relazione di interscambio reciproco, è il fondamento di ogni fede viva: una
fede “incendiata” dalla carità, chiamata a diventare a sua volta “fornace”
della nostra stessa apertura personale a una volontà di immedesimazione che,
passando attraverso di noi, si rovescia sul mondo per naturale osmosi.
Non si tratta di evasivo “romanticismo religioso” d’altri
tempi, insiste il testo della Dilexit nos. Non siamo davanti al “guscio vuoto”
del sentimentalismo, ma al principio vivente della legge di un amore su cui
incardina l’essere creature nuove, portatori di una soggettività rigenerata
dall’incontro con il Tu che cambia e riorienta l’esistenza. Fare spazio a
questa logica della ricentratura sull’essenziale porta a piena chiarezza il
richiamo alla “precedenza” dell’amore totalmente gratuito di Dio che prende per
primo l’iniziativa e si piega sul bisogno del cuore mendicante dell’uomo.
Agendo così, reinserisce l’esigenza di una giustizia
responsabile nell’orizzonte più globale e originario della misericordia senza
confini. Il primato dell’abbraccio misericordioso nutrito dal cuore amante di
Cristo è il ponte diretto di collegamento con quello che si era evidenziato
come il grande pilastro di appoggio della visione di papa Bergoglio fin dai
primi passi del suo pontificato: l’esito del più maturo sviluppo si ricongiunge
con lo slancio trascinante degli inizi. Ѐ anche il filo esplicito di collegamento
con i due grandi Giubilei che hanno incorniciato i dodici anni di governo
papale: il Giubileo della misericordia del 2015-16 e quello tuttora in corso
dedicato alla speranza.
Ma si deve sottolineare che la spinta vigorosa al recupero
dell’innesto dell’io personale sul fondamento che sta alla radice di tutto non
può essere vista come un movimento a senso unico. Risalire fino al centro che è
anche il tessuto profondo dell’esperienza di vita nuova del soggetto cristiano
è la premessa dell’essere poi ributtati dal centro verso la totalità
dell’orizzonte.
Amare questo centro pulsante, identificarsi con il flusso di
energia che se ne sprigiona, è ciò che rimodella la coscienza e gli abiti
morali del soggetto vivente, facendone il germe di una vitalità che solo
attingendo alla sua linfa profonda può veramente contagiare: si apre verso
l’esterno e diventa capace di entrare in dialogo con la realtà globale
dell’esistente portandovi la ricchezza della sua originalità, il proprio timbro
inconfondibile, senza appiattirsi sugli schemi dell’attivismo puramente filantropico
o, all’opposto, della fuga nell’estraneazione del miracolismo devozionale.
L’incitamento costante al movimento della Chiesa “in
uscita”, che invece di trincerarsi nei bastioni rassicuranti dei recinti del
sacro si dispone a lanciarsi con entusiasmo nell’offerta del suo patrimonio di
umanità riconciliata con la verità, la carità e la giustizia, ultimamente con
la luce della fede, ha costituito un’altra delle direttrici fondamentali del
magistero di papa Francesco. Ma lo spalancamento missionario alla realtà totale
del mondo, fino alle sue periferie più scomode e ostili, può crescere e
prendere consistenza solo se si concepisce come il contraccolpo delle energie
accumulate alimentandosi alle sorgenti della rivoluzione antropologica, cioè
della conversione, cristiana. Il movimento “centrifugo” non è altro che la
proiezione dilatata di un bene custodito non come un tesoro geloso da
possedere, ma come un dono di vita nuova ricevuto per essere reso trasparente
per tutti.
Il richiamo al dinamismo totalmente aperto ed espansivo di
una fede da condividere come lievito per il mondo globale, tra l’Occidente
della banalizzazione secolarizzante e i diversi Orienti alla rincorsa di nuovi
bilanciamenti di potenza nel disordine conflittuale degli assetti planetari,
rimane uno dei punti fermi più stimolanti lasciati in eredità da papa
Bergoglio.
Nella cura di un tale genere di responsabilità sono state
sollecitate a coinvolgersi tutte le forze sane della Chiesa dei nostri giorni,
i suoi apparati e le sue strutture istituzionali da rivitalizzare dal profondo,
i suoi molteplici carismi fioriti specialmente sul terreno delle organizzazioni
e dei movimenti laicali. Ognuno di questi soggetti ha oggi più che mai di
fronte a sé il compito di non rinchiudersi nell’autoreferenzialità che
isterilisce, ma di ripensarsi come espressione della grande sinfonia al plurale
della Chiesa universale. Sono cambiati molti paradigmi e gli incerti equilibri
del passato. La transizione che si è messa in moto può essere la fonte di un
positivo rilancio della solidarietà organica del tutto, di cui ogni singola
realtà è solo una cellula vitale: se si perde il senso del legame, anche la
cellula più fiorente deperisce e alla fine implode.
Per produrre tutti i suoi frutti, la rinnovata tensione
missionaria di una testimonianza della novità cristiana dall’interno della
Babele contemporanea – ha insegnato papa Francesco fino agli ultimi istanti
della sua azione – dovrà però muoversi all’insegna del precetto paolino del
“non conformarsi a questo mondo”. La novità da proporre è tutt’altro che sempre
in sintonia con la logica delle convenienze. Innesca anche alternative e
attriti. Espone a incomprensioni e a rischi di rifiuti che possono arrivare a
essere aggressivi, come attesta in modo eloquente la militanza rimasta finora
infruttuosa del vicario di Cristo a favore del ripristino della pace nei
diversi teatri di guerra.
(….) https://www.ilsussidiario.net/news/dopo-papa-francesco-se-il-cuore-pulsante-del-pontificato-si-e-dichiarato-solo-alla-fine/2827202/#:~:text=PAPA-,DOPO%20PAPA%20FRANCESCO/%20Se%20il%20cuore%20pulsante%20del%20pontificato%20si%20%C3%A8,e%20ha%20ricucito%20in%20alleanza%20sponsale%20la%20terra%20con%20il%20cielo.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94