domenica 10 agosto 2025

NEWMAN/ Quel primato del cuore che lo lega ad Agostino, de Lubac e Giussani


 

NEWMAN/ Quel primato del cuore che lo lega ad Agostino, de Lubac e Giussani

Michiel Peeters Pubblicato 10 Agosto 2025

 

Papa Leone XIV dichiarerà il card. John Henry Newman dottore della Chiesa. I capisaldi del pensiero e dell'insegnamento di un maestro della fede

Il 31 luglio la Santa Sede ha annunciato che Papa Leone XIV dichiarerà John Henry Newman (1801-1890) dottore della Chiesa. Un dottore della Chiesa è un santo le cui opere presentano la dottrina cattolica in modo affidabile ed ortodosso e contemporaneamente nuovo ed eccezionale. Da un tale teologo i credenti sono invitati ad imparare ciò che la Chiesa crede e vive.

Newman entra così nel gruppo ristretto – con lui saranno in totale 38 – di cui fanno parte Ambrogio, Agostino, Atanasio, Crisostomo, Leone Magno, Tommaso d’Aquino, Ildegarda di Bingen, Caterina da Siena e Teresa di Lisieux. L’ultimo ad essere stato aggiunto è Ireneo di Lione, nel 2022.

Questo primo grande gesto di Leone XIV ricorda la decisione del suo predecessore Leone XIII di nominare Newman nel 1879 il primo cardinale del suo pontificato, dopo che il sacerdote inglese aveva dovuto sopportare molta diffidenza e opposizione durante quello precedente.

Quando Newman si convertì al cattolicesimo, nel 1845, fu accolto con tutti gli onori a Roma. Era stato il volto più importante del Movimento di Oxford, un tentativo di rilanciare la Chiesa anglicana rinnovandone la dottrina e la vita attraverso un riavvicinamento alla Chiesa dei Padri.

Ma proprio lo studio patristico portò Newman a rendersi conto che il dogma cristiano era stato conservato e sviluppato in modo organico (“per rimanere se stessi, bisogna cambiare”, Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana) nella comunione con il vescovo di Roma e non nelle comunità che se ne erano separate.

Questa scoperta, che lo portò alla conversione (che, per Newman, nella parafrasi di Giussani, “altro non è che la scoperta più profonda e più autentica di ciò cui si aderiva prima”), gli costò però le sue cariche all’Università di Oxford, la sua reputazione e tanti amici, tranne alcuni che lo seguirono.

A Roma, dove diventò Oratoriano e fu ordinato sacerdote cattolico, restò negativamente impressionato dalla rigida teologia scolastica e dal clericalismo. Ciò rafforzò la sua convinzione che la sua vocazione fosse nell’educazione, ossia il favorire che i battezzati diventassero cristiani consapevoli e liberi, per rendere la Chiesa presente in nuovi ambienti come realtà attraente.

Lo cerca di fare come pastore, predicatore e pubblicista, e dal 1851 come fondatore e primo rettore dell’Università Cattolica di Dublino (da cui è nato il suo importante libro L’idea di università).

Ma i conflitti con i vescovi irlandesi, che volevano soprattutto un vivaio per nuovi sacerdoti, mentre Newman desiderava un’istituzione accademica libera dove i cattolici anche laici fossero formati in senso lato, lo portarono a dimettersi nel 1858.

Nel 1859 il vescovo di Birmingham gli chiese di dirigere la rivista Rambler, pubblicata da alcuni convertiti di Oxford e considerata troppo critica nei confronti della gerarchia. Newman accettò e vi scrisse un articolo Sul consultare i fedeli in materia di dottrina.

In esso spiegava che le verità della fede sono vive nella Chiesa nel suo insieme, non solo nell’ecclesia docens. Anzi, storicamente è accaduto (con l’arianesimo) che la maggior parte dei vescovi professava una dottrina eretica, mentre il popolo era ortodosso. Pertanto, per poter insegnare la dottrina cattolica, la gerarchia ascolta volentieri ciò che vive nel popolo cristiano (un pensiero anche presente nella regola di San Benedetto (capitolo 3) e nel metodo della “scuola di comunità”).

Questo saggio risultò “un atto di suicidio politico”, dopo il quale la carriera ecclesiastica di Newman non si riprese mai completamente (John Coulson).

Persone invidiose vi trovarono lo spunto per diffamarlo presso la Santa Sede. Lo mandarono, in una traduzione latina approssimativa, a Roma, accompagnato da un’accusa formale di eresia da parte del vescovo di Newport. Il Papa espresse il suo dispiacere e dolore personale per quanto affermato da Newman. In un colpo la sua reputazione era distrutta; da quel momento Roma lo considerava “l’uomo più pericoloso d’Inghilterra”.

Newman chiese un elenco dei passaggi contestati, una copia della traduzione latina fatta e una lista delle proposizioni dogmatiche che si riteneva avesse violato. In cambio, si impegnò ad accettare e professare tali proposizioni, a spiegare la sua argomentazione in stretta conformità con esse e a dar ragione del fatto che erano assolutamente coerenti con il testo inglese.

Propaganda Fide fornì l’elenco richiesto, ma il cardinale di Londra non lo inoltrò a Newman. Non si capisce perché Newman non sia stato messo in grado di dare una risposta in quel momento. Ad ogni modo, questo episodio segnò l’inizio di un periodo di silenzio di Newman. Fino alla sua Apologia pro vita sua (1864), non pubblicò più nulla.

Nel 1875 torna ancora una volta sul rapporto tra autorità e fedeli. Nella Lettera al Duca di Norfolk spiega che la natura e la rivelazione sono fatte l’una per l’altra. “Il Papa, che proviene dalla Rivelazione, non ha giurisdizione sulla Natura”. L’autorità della Chiesa non prevale sulla coscienza del singolo credente, ma la suscita, rafforza, completa, riafferma, emana, incarna ed interpreta.

Se, invece, il Papa si esprimesse contro la coscienza personale, “commetterebbe un atto suicida. Si taglierebbe le gambe. Sulla legge della coscienza e sulla sua sacralità si fondano sia la sua autorità teorica che il suo potere effettivo”. Newman parlò della coscienza, ma non è difficile vedere che lo stesso valga per ciò che sant’Agostino (Confessioni), Henri de Lubac (Soprannaturale) e Luigi Giussani (Il senso religioso) chiamano il “cuore”: la “voce” dentro di noi di chi ci ha creati, ascoltando la quale possiamo riconoscere la presenza di ciò da cui e per cui siamo fatti.

Giussani – che fin dal liceo amava molto Newman, ritenendolo, accanto a Romano Guardini, uno dei nostri due “partner più sensibili” – spiegava la questione così: “Ciò che ti ha destato il cuore in principio è un fatto storico che ti ha immesso in un altro fatto storico, che è la compagnia con l’autorità […]. Accettare [il] paragone [con essa] è lo strumento, è il cammino naturale per lo sviluppo […]. Se questo paragone con l’autorità non ti aumenta la ragione, non ti ‘stabilisce’, non ti rende più stabile il cuore, allora c’è un pericolo, e tu devi riandare, in quel caso, appena puoi, a quelle persone, a quella persona, a quel contesto umano che ti ha destato il primo input, il primo impeto”.

“Vale a dire, siamo legati alla compagnia e all’autorità, accettiamo la compagnia e l’autorità, ma liberamente. Liberamente è una parola non superficiale e meccanica: indica che io aderisco all’autorità tanto quanto essa mi aiuta. E se in questo momento non mi aiuta, allora io mi riferisco alle persone che mi aiutano. Ma le persone che mi aiutano, mi aiutano veramente se mi ributtano ancora nel paragone con la compagnia e con l’autorità, se non mi fanno saltare niente, così che magari due giorni dopo capisco quello che mi aveva scandalizzato due giorni prima”.

Anche Giussani è stato guardato con diffidenza, per il credito che dava all’esperienza umana; ma a un certo punto, anche di lui la Chiesa ha riconosciuto la “genialità pedagogica e teologica” (Papa Francesco, 15 ottobre 2022).

Un altro aspetto rilevante del pensiero di Newman che merita di essere approfondito è il concetto di “influenza personale” (cf. il suo sermone del 22 gennaio 1832).

La verità non viene difesa nei dibattiti, né diffusa attraverso commissioni e piani e opere organizzati dall’alto verso il basso, ma attraverso il cambiamento che essa opera nella persona che la riconosce; un cambiamento che sarà percettibile da quelli che la circondano. Il suo testo più teorico, La grammatica dell’assenso, riporta come motto una frase di sant’Ambrogio: “A Dio piacque salvare il suo popolo non attraverso la dialettica”. Nel suo motto da cardinale ha suggellato questa sua convinzione: Cor ad cor loquitur.

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