Vittadini: «Il nostro dono? Le periferie»
Paolo Viana
31 agosto 2014
Il
Meeting senza politica, il Meeting senza affari, il Meeting della
crisi... Adesso che è finito cosa rispondete a chi gufava?
Che abbiamo avuto più visitatori e, come sempre, tanta cultura, spettacoli, confronti sui temi internazionali più importanti e tanta economia (soprattutto economia sociale), con grandi imprese e giovani start up – è il bilancio di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà ed esponente di spicco del Meeting di Rimini –. Aggiungo che non sono mancati i ministri e i sindaci, e non abbiamo avuto paura ad affrontare i temi che urgono la gente, come quello del declino, e a leggerli insieme a chi vive in quelle periferie che i giornali non vedono.
Che abbiamo avuto più visitatori e, come sempre, tanta cultura, spettacoli, confronti sui temi internazionali più importanti e tanta economia (soprattutto economia sociale), con grandi imprese e giovani start up – è il bilancio di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà ed esponente di spicco del Meeting di Rimini –. Aggiungo che non sono mancati i ministri e i sindaci, e non abbiamo avuto paura ad affrontare i temi che urgono la gente, come quello del declino, e a leggerli insieme a chi vive in quelle periferie che i giornali non vedono.
Vittadini contro la stampa, come Grillo?
No. Sto solo dicendo che i giornali fanno troppa fatica a raccontare l’Italia reale e scattano delle istantanee destinate a sbiadire. I più sanno chi è San Benedetto ma non sanno chi è Totila, il re dei Goti che espugnò Roma ai tempi di San Benedetto. I media si occupano solo dei Totila che non vengono al Meeting e non capiscono perché tanta gente affolli una mostra su Jannacci e Guareschi, su Tolstoj o su Peguy, non si fermano ad ascoltare la testimonianza di una radioterapista come la Scorsetti e di un educatore come Medina, non chiacchierano con i missionari, si ricordano di loro solo se muoiono di Ebola. Per un cattolico è peccato di omissione, per un giornalista è disattenzione, incapacità di cogliere dove passa la storia.
Se quella di Cl non passa più dalla politica italiana, da dove passa?
La nostra esperienza ci sta portando nelle periferie del mondo, sulla rotta segnata da papa Francesco, insieme a grandi guide come padre Pizzaballa, come l’intellettuale ucraino Filonenko, come il vicario del patriarca di Mosca, Panteleimon, che sono solo alcune delle 'star' di questa edizione. Sicuramente stiamo evolvendo dal Meeting dell’amicizia tra i popoli al Meeting dei popoli amici, secondo una formula che apre alla partecipazione organizzativa di popoli e religioni appartenenti a 43 Paesi diversi. Il fatto che a Rimini dialoghino russi e ucraini non è privo di significato. Ai 'gufi' vorrei segnalare che qui sta nascendo qualcosa di nuovo, cercato oltre le ideologie, sulla spinta di un irrefrenabile desiderio di bene che diventa un fattore di scoperta di Cristo. Sulla stessa rotta, anche Cl è sempre più un fatto mondiale: il baricentro si è spostato, non per una scelta di vertice, ma perché è la dimensione e la prospettiva in cui la gente vive la propria esperienza
di fede. Questo slittamento di piano è propiziato dal cambiamento del mondo, che è più aperto – pensiamo solo al numero di ragazzi che emigrano per lavoro, alle etnie e alle culture che si mescolano in Italia e fuori – e dal magistero papale, da Giovanni Paolo II a Francesco.
Nessun rimpianto per il vecchio baricentro lombardo?
Il baricentro non è mai stata la Lombardia, ma l’esperienza di vita e di fede che si fa personalmente. Ora, ancora di più.
Al Meeting vengono molti che non sono ciellini. Cosa portano a casa da quest’esperienza riminese?
Il dono che il Meeting ha offerto quest’anno ai visitatori è la possibilità di seguire l’essenziale nelle periferie dell’esistenza, con la certezza che questa sequela ci forma. Siamo tutti un po’ 'sgalembri', come diceva Guareschi, cioè fuori posto. Ma non c’è bisogno di avere chissà che per vivere appieno la propria esistenza. Stando qui è più facile che, se si apre il cuore, si è colti inevitabilmente dal desiderio di fare qualcosa di buono per sé e per gli altri, viene la voglia di voler quanto meno vedere quel qualcosa di vero che – magari – può rendere migliori anche noi. E così si inizia a cambiare. Si parte da qui per cercare il destino e lungo la strada, noi lo speriamo, si scopre Cristo nella realtà, anche quando è difficile. Un laico che ascolta Pizzaballa non può non chiedersi chi sia mai quel Gesù che infonde tanta speranza e tanta gioia in un contesto di guerra. Venire al Meeting aiuta a porsi dei 'perché'. Incontrando i volontari che passano la giornata alla sbarra del parcheggio o a pulire i bagni non ci si può non chiedere cosa glielo faccia fare, perché è impossibile che siano tutti matti; forse c’è una motivazione davvero forte, più forte delle nostre insoddisfazioni
quotidiane, che li muove.
E allora poniamoceli questi perché. Cominciando da Renzi, perché
non è venuto?
Sono ben altri i perché… Nessuna polemica, siamo soddisfatti e il premier va dove vuole. Nessuno è deluso, nessuno è umiliato, non abbiamo carenze affettive né appetiti egemonici: tra un po’ inizia la festa dell’Unità ed è una cosa buona che questo Paese abbia più luoghi ed occasioni per incontrarsi e riflettere. Ne ha un gran bisogno…
E perché è venuto il cardinale Pell?
Sono colpito e ammirato per la sua visita: qui tutti i personaggi pubblici vengono con il desiderio – esplicito o meno – di salire sul palco e parlare al popolo del Meeting, mentre il cardinale Pell è giunto in privato, per conoscere questa manifestazione. Questo dice cosa sia una posizione davvero cristiana.