MONTALE
Conquista dell’impossibile
Intervista
I Colloqui Fiorentini sono dedicati quest’anno al grande poeta e premio
Nobel. Alla ricerca della trascendenza e del miracolo delle cose: parla
lo studioso Costantino Esposito
«Non domandarci la formula che mondi possa aprirti», sembra arrendersi Eugenio Montale nei versi riarsi di
Ossi di seppia.
Tutt’al più può offrire «qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non
vogliamo». È in questo gesto di resa che i ricordi scolastici in genere
cristallizzano l’immagine del poeta, imprigionato in un fermo immagine
tragico e pessimista che ne fa il cantore del vivere impossibile.
«Invece per essere veramente compreso Montale va mobilizzato, va letto
comprendendo che il senso acuto del disagio e la crisi dell’esistenza
sono un percorso sempre in movimento lungo tutta la sua vita e la sua
produzione poetica. La memoria scolastica collettiva lo immobilizza,
ma se vogliamo conoscere il vero Montale dobbiamo liberarlo da questa
stasi artificiosa». Questa mattina sarà Costantino Esposito, ordinario
di Storia della Filosofia all’università di Bari, ad aprire i Colloqui
Fiorentini, quest’anno dedicati al poeta premio Nobel, e a guidare i
3.500 studenti di scuole superiori oltre gli stereotipi.
Partiamo dal titolo della sua relazione, Questi silenzi in cui le cose sembrano tradire il loro ultimo segreto, un verso tratto da “I limoni” che già da solo lascia intravvedere uno spiraglio di speranza...
«È vero che nel 1962 Montale scrive che “ogni grande poesia nasce da
una crisi individuale, da una insoddisfazione”, e io penso abbia
ragione. Ma sempre Montale in “Xenia I”, rivolgendosi alla moglie morta,
scrive: “Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi, che il
vuoto è il pieno, e il sereno è la più diffusa delle nubi. Così meglio
intendo il tuo lungo viaggio”. Per lui, dunque, l’esistenza come la
poesia sono un lungo viaggio, un continuo movimento creato dai tanti
“fermo- immagine”. Movimento che nell’opera di Eugenio Montale
individuo in tre passaggi principali, non successivi uno all’altro ma
tutti e tre sempre presenti in ogni sua composizione. Il primo è “la
vita come disagio”... ».
Ed è il passaggio più noto, quello che la memoria scolastica ci tramanda cristallizzata...
«Giusto. Montale in “Intervista con se stesso” del 1951 descrive
questo suo disagio “fin dalla nascita”, parla di “una totale disarmonia
con la realtà che mi circondava”. E di ce che quindi “la materia della
mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia”, quel suo
“inadattamento psicologico e morale” tipico di “tutte le nature
poetiche”. In quell’intervista spiega così il fatto che, pur
essen- do contrario al fascismo, l’argomento
della sua poesia non sia mai stata la lotta politica ma la condizione
umana: “Come poeta il combattimento avveniva su un altro fronte. Ciò non
significa estraniarsi da quanto avviene nel mondo, significa solo
volontà di non scambiare l’essenziale col transitorio”. A questa fase
appartengono i versi più noti e pessimisti, quel “Non chiederci la
parola”, o “Meriggiare pallido e assorto”...».
Che fa intravvedere la speranza nelle “scaglie di mare” o nel
“tremulo” canto di cicale, ma subito richiude il varco descrivendo la
vita come una muraglia «che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia». Non
si passa.
«Ma
contemporaneamente esiste anche il secondo passaggio, che chiamo “la
realtà come miracolo”. Per esempio cito la bellissima cartolina che
Montale scrive a Piero Gadda Conti nel 1934, nella quale rivela quali
sono i suoi temi poetici e tra gli altri “l’evasione, la fuga dalla
catena ferrea della necessità”, addirittura “il miracolo, diciamo così,
laico”. In altre parole, la “maglia rotta nella rete che ci stringe”.
Insomma, la condanna alla disarmonia di cui parlavamo nel primo
passaggio trova un varco nel rompersi di questa rete, e questo è il
miracolo. Attenzione, nella “Intervista immaginaria” del 1946 Montale
dichiara che già all’inizio della sua produzione poetica, all’epoca di Ossi di seppia (1920-1925), “il miracolo era per me eviden-te”, già allora gli era chiaro che “immanenza
e trascendenza non sono separabili”».
Ancora più esplicita è la poesia “I limoni”, quella che dà il titolo al suo intervento.
«“Le cose sembrano vicine a tradire il loro ultimo segreto...”, per un
attimo pare ci svelino la verità, “ci si aspetta di scoprire uno
sbaglio di Natura”, la maglia rotta nel disagio esistenziale...».
A una lettura attenta scopriamo in Ossi di seppia una luce nuova, molto lontana dalle solite interpretazioni...
«Montale si spinge anche oltre: sempre nella “Intervista immaginaria” dice che scrivendo Ossi di seppia sentiva di “essere vicino a qualcosa di essenziale”, al punto che “un velo sottile, un filo appena mi separava dal
quiddefinitivo”.
Stiamo sfiorando altezze vertiginose, se finalmente quel velo si fosse
rotto sarebbe stata la fine dell’inganno... Ma, conclude Montale,
questo era un limite irraggiungibile. La stessa vertigine metafisica la
troviamo ancora più esplicita in “Forse un mattino andando in un’aria
di vetro”: quel giorno, scrive il poeta, “vedrò compirsi il miracolo”
e, anche se l’inganno consueto cercherà di imprigionarlo, “sarà troppo
tardi; ed io me ne andrò zitto tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto”».
Veniamo al terzo passaggio.
«“La libertà di fronte all’impossibile”, ovvero la libertà del poeta di
aderire al richiamo creato dal miracolo, di seguire l’invito della
nuova realtà appena scoperta attraverso la smagliatura nella rete. È la
libertà della conoscenza. Montale lo spiega in modo lampante in
un’intervista alla “Gazette de Lausanne” del 1965: “Sono un poeta che
ha scritto senza cessare di battere alle porte dell’impossibile. Nella
mia poesia c’è il desiderio d’interrogare la vita. Agli inizi ero
scettico, influenzato da Schopenhauer. Ma nei versi della maturità ho
tentato di sperare, di battere al nuovo, di vedere ciò che poteva
esserci dall’altra parte della parete, convinto che la vita ha un
significato che ci sfugge”. Altro che stasi!».
Ciò che poteva esserci dall’altra parte della parete... C’è un’ansia di
trascendenza che è già trascendenza essa stessa. Avrà mai squarciato,
anche solo per un istante di fede, quel velo sottile che lo separava
dal quid definitivo?
«Non lo so, entrerei in punta di piedi in questo ambito e non darei
risposte. Ci ha provato il grande critico Contini, secondo il quale la
poesia montaliana scopre sempre la salvezza “nel sospetto d’un altro
mondo”, nell’“indizio di grazia”, anche se – continua Gianfranco
Contini, rischiando però di cristallizzare il poeta – “l’istante buono”
non si potrà mai ripetere e questa impossibilità “prevale sempre
sull’indizio di salvezza”. D’altra parte lo stesso Montale scrive che
già ai tempi di Ossi di seppia voleva che la sua parola fosse “più aderente”... poi si chiede: “Aderente a che? A qualcosa di essenziale”».
Montale parla una lingua ancora attuale, ha ancora molto da dire ai giovani di oggi, qual è il segreto della sua modernità?
«La sua poesia li aiuta a guardare in faccia il disagio, a capire che
la crisi non è mai una sconfitta, non ha nulla del fallimento, ma è
l’unica vera possibilità di conquistare l’impossibile. Di sperare che
accada un “imprevisto” ».
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NOBEL
Sotto, il poeta Eugenio Montale (1896-1981), sul quale si tengono da oggi i Colloqui Fiorentini 2018
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