domenica 2 novembre 2014

Elena Mazzola: l'accadere dell'esperienza culturale

La questione



L’accadere dell'esperienza cultura

Nota conclusiva del recente tour di Aleksandr Filonenko ed Elena Mazzola

Si è da poco concluso il terzo grande tour italiano di Aleksandr Filonenko che ha attraversato anche questa volta il nostro Paese in lungo e in largo. Che cosa è accaduto? Ne è valsa la pena? Che cosa rimane? O, più semplicemente, che cosa sono, di fatto, questi tour? Ci sono amici che mi han perfino detto: «Dopo Giovanotti ci siete voi, vi mancano solo gli stadi…».
A dirla in parole povere quest’ultima serie di incontri è nata perché abbiamo scritto un libro, L’oceano del Mistero (edizioni SEF) e siamo, molto banalmente, andati in diverse città a presentarlo. È un libro che ha entusiasmato noi, fin dall’inizio, per com’è nato, perché è fatto di dialoghi, di incontri tra uomini che non si conoscevano e diventano amici per una comune passione al Destino e quindi è vivo e continua a incontrare gente. Abbiamo avuto un saggio di quello che può accadere leggendo il libro a La Spezia: un giovane sacerdote ne legge un brano in classe durante l’ora di religione e una ragazzina scoppia a piangere e inizia un’avventura di amicizia con lui (e con noi); un professore di filosofia e teologia è invitato a presentarlo insieme a Filonenko e ci svela la profondità e la consistenza del pensiero filosofico dell’autore cogliendolo perfettamente tra le righe di un testo che scientifico, decisamente, non è.


E quello che più impressiona è che i due livelli stanno insieme, sono inscindibili. E di fatto anche in questi nuovi incontri, come in quelli da cui è nato il libro, Filonenko non ha risparmiato al pubblico la “complessità” di quello che ha compreso ma ha comunicato la bellezza profonda del reale con una semplicità capace di toccare il cuore di tutti.
Questo, però, non basterebbe ancora, non spiegherebbe né il nostro muoverci – rispettivamente dall’Ucraina e dalla Russia – né il muoversi di tutti quelli che ci hanno invitati. Perché per accoglierci si sono mossi in tanti, in tantissimi.
Il cuore vero di tutto questo movimento sono degli incontri personalissimi: un centro culturale organizza un incontro con Filonenko, bene, questa è la superficie, l’evento è come un contenitore che, di per sé, potrebbe costruire chiunque. Ma se sotto la superficie non ci fosse altro o se ci fosse solo il contenuto che il relatore può comunicare, la profondità non basterebbe al cuore e eventi di questo tipo stancherebbero in fretta sia gli organizzatori che gli ospiti. Se si trattasse solo di andare in giro a “fare incontri” io al terzo tour non ci sarei arrivata, e Aleksandr nemmeno.
Il cuore di questi “incontri” sono “altri incontri”, quelli personali, quelli da cui prendono vita e quelli che accadono in fieri: tutto il gusto è lì, in dei rapporti vivi, prima, durante e dopo gli incontri. È letteralmente un movimento da persona a persona, un movimento che ha un’ampiezza infinita.
Questa volta, per fare un esempio, siamo finiti ad Acqualagna che io, lo confesso, non sapevo nemmeno dove fosse. Ma nel viaggio con Antonio e Andrea (che sono venuti a prenderci in macchina fino a Siena perché potessimo raggiungere comodamente la loro cittadina in tempo e non troppo provati dal viaggio) è accaduto qualcosa per cui persone che fino a un attimo prima per noi non erano che dei nomi (corredati di numero di cellulare comunicatoci tempestivamente dalla segreteria di AIC), sono entrati in modo dirompente a far parte di noi. È bastato un istante e ci si è trovati a condividere le cose più sacre della vita, un altro istante e ci siamo trovati a passeggiare insieme immersi nel silenzio della Gola del Furlo – una Bellezza che ci ha lasciati senza parole –, solo un attimo dopo parlavamo dell’Ucraina con la badante di un anziano e vivissimo parroco di campagna, ancora un istante e avremmo saputo quasi tutto sui tartufi (e li avremmo assaggiati e messi in valigia) e poco dopo eravamo in scena, davanti a gente che arrivava anche da lontano, che aveva fatto fino a cinque ore di viaggio per poterci essere. Perché? Chi sono tutte queste persone che immediatamente sai esserti davvero amiche e che entrano nella tua vita per sempre? Capita così anche a Giovanotti?
Per ogni tappa potrei scrivere pagine intere sulle persone splendide che ho conosciuto e che sono diventate parte di me. E io lo dico, chiaramente, per me, ma più commovente sarebbe che ve lo sentiste raccontare da Filonenko quello che significa per lui l’incontro con tutti questi volti della compagnia del Mistero.
Girando per la fiera del Meeting con Filonenko la scorsa estate mi è capitato più volte di vedere persone che lo fotografavano di nascosto… e mi veniva da ridere, un po’, ma solo un po’. L’idolatria, il rischio del personalismo, sono aspetti degli incontri con uomini grandi che mi inquietano particolarmente: ci sono persone affascinanti che ci colpiscono così tanto che facilmente li trasformiamo in idoli o sfingi, persone che alla fine guardiamo vivere, ci piace come vivono o quello che dicono, e alla fine finiamo per metterle su un piedistallo, le adoriamo, le citiamo… ma non cambiano la nostra vita, non diventano vive per noi, restano fuori, li vediamo come su uno schermo. Sono grandi loro, mentre noi rimaniamo lì ad ammirarli senza permettere che il nostro cuore si allarghi per lasciarli entrare facendo diventare più grandi noi. Ma questo è terribile non solo per chi ascolta, anzi, forse le conseguenze più tragiche di questo tipo di “posizione culturale” ricadono proprio su chi parla perché a essere trattati da idoli il rischio di dimenticarsi di essere come il piccolo Newton – bambini davanti a quell’oceano del Mistero che è la realtà – e quindi di sentire solo la propria voce e non ascoltare più Quella voce che ci fa vivere, c’è.
La gratitudine indicibile che proviamo per la possibilità cha AIC continua a offrirci di incontrare la realtà multiforme dei centri culturali italiani è invece tutta nella parola esperienza: è la forma stessa di questi tour che ci consente di vivere un’unità culturale di cui spesso sentiamo una profonda nostalgia.
Perché non ci è chiesto semplicemente di andare parlare di qualcosa di interessante, nuovo e vero, ma di partecipare a incontri che cambiano la vita di chi parla, di chi invita, di chi organizza, di chi ospita, di chi ascolta e, grazie a Dio, anche di chi traduce. È l’esperienza di tutti i volti che mi sono portata nel cuore a Mosca la ricchezza di questa modalità di fare cultura; è lo stupore vedere un uomo “grande” immensamente felice di passare dal parlare a un pubblico di 5000 persone al salotto di una villetta di Sondrio, al salone di un oratorio, a una scuola di Trento, con lo stesso entusiasmo, con la stessa gioia, con stupore e gratitudine, davanti a ogni pezzo del reale che gli parla con Quella voce unica che è l’interesse supremo del nostro cuore.
Perché se la ricchezza degli eventi culturali che ci hanno visti protagonisti ha una sua valenza – è indubbio – a livello del pensiero, cioè di quanto Filonenko sa, sa raccontare e riesce a comunicare in modo sempre nuovo e avvincente (e ci sono dei temi su cui il suo contributo di scienziato, filosofo e teologo ortodosso è un dono oggettivo per il nostro modo di pensare perché aiutano ad allargare la ragione, spalancano finestre in stanze chiuse da troppo tempo), in quanto ci sta accadendo c’è, a mio avviso, qualcosa di molto più radicale e profondo. C’è l’emergenza di un far cultura che non è limitato all’evento culturale in sé, c’è l’accadere di un’esperienza della cultura che di schianto – e come per miracolo – annulla il dualismo per cui la cultura tendiamo a confinarla a una sfera “elevata” della vita. Noi non siamo andati in giro a parlare della cultura, siamo stati parte di un movimento culturale, dell’avvenimento di uomini semplici e reali che si muovono stupiti, per un Amore, e contribuiscono così al destino del mondo. Per chi, come me e Filonenko, lavora in ambito accademico, questo riaccadere della cultura è un dono che non ha prezzo, è letteralmente la possibilità non di essere d’accordo con il famoso esempio della carota di don Gussani ma di viverlo: «Ero sulla strada e mi ero fermato a prendere una ciotola di latte in un cascinale. [...] Arriva una donna dal campo. Io ero vestito da prete e da lontano questa donna agitava un'enorme carota, eccezionale come proporzioni, e diceva: "Guardi, Reverendo, come è grande Dio!". Io sono rimasto li, di stucco. [...] "Questa è una posizione culturale", questa connessione stabilita tra la banalità di un fatto quotidiano, di un avvenimento assolutamente terra-terra, la carota, e il destino del mondo, questo scoccare di una scintilla tra due poli così grandiosamente e apparentemente lontani, questa è una costruzione culturale, è una posizione culturale» (Luigi Giussani, Certi di alcune grandi cose, pp. 254-55).
Ecco, è questo il cuore dei nostri incontri: l’Incontro che riaccade negli incontri per cui tutto torna a parlare del Mistero che vive nel reale e ci si trova a dirsi reciprocamente «Guardate come è grande Dio!» E tu lo vedi e rimani di stucco e stabilisci sempre più connessioni tra punti banalissimi della realtà e il destino del mondo.
(Elena Mazzola)

Guarda il tour di Filonenko nei Centri Culturali associati AIC (ottobre 2014)