sabato 29 marzo 2025

Come l’idolatria dello Stato tedesco portò alla rottura tra Pio XI e Hitler


 

STORIA/ Come l’idolatria dello Stato tedesco portò alla rottura tra Pio XI e Hitler

L'enciclica di PioXI "Mit brennender Sorge" sancì la rottura definitiva tra Chiesa Cattolica e regime nazista. Lo Stato si era fatto idolo persecutore

Silvana Rapposelli Pubblicato 29 Marzo 2025

 

La vicenda di Franz Jägerstätter, “il mite eroe contadino che disse no a Hitler” – la definizione è di Claudio Magris – condannato a morte nel 1943, su cui queste pagine sono tornate più volte, diviene ancor più comprensibile alla luce dei rapporti tra il Terzo Reich e la Chiesa cattolica.

Le idee cui Hitler si ispirerà una volta al potere sono delineate già nel Mein Kampf, che egli scrive durante la prigionia seguita al fallimento del putsch di Monaco del 1923. Come ben documenta Francesco Agnoli nel suo libro Novecento: il secolo senza croce (Sugarco, 2011), notevole è stata l’influenza esercitata sul futuro dittatore dal nazionalismo pangermanista, diffuso nel mondo tedesco ma anche in quello austriaco. La teoria della superiorità della razza ariana con le sue nefaste conseguenze (antisemitismo, eutanasia, ecc.) rappresenta – come è ben noto – il concetto base di quella miscela esplosiva che è l’ideologia hitleriana.

Vi è poi una forte avversione alla religione cattolica, accusata di intolleranza, di opposizione alla scienza e alla ragione, in quanto si nutrirebbe di superstizioni, e quindi destinata a morire presto di morte naturale, un destino che comunque vale la pena accelerare.

Nella nuova Germania unificata, centralizzata (fin dai primi mesi ogni autonomia territoriale viene eliminata) e arianizzata, in breve si assiste alla nazificazione della cultura, al rigido controllo della stampa, della radio e del cinema, inediti strumenti di propaganda per l’edificazione di uno Stato totalitario. Particolare cura il Reich dedica a modellare le nuove generazioni secondo i suoi dettami, attraverso un’educazione controllata fin nei minimi particolari.

Le scuole, dalle elementari fino all’università, vengono rapidamente nazificate: i libri di testo riscritti, i programmi di studio cambiati. La storia subisce una falsificazione ridicola, così come le scienze naturali che diventano “scienze razziali”. Il fatto è che per Hitler hanno importanza non tanto le scuole, da lui stesso poco frequentate, quanto le organizzazioni della Gioventù hitleriana.

I cristiani della più numerosa confessione cristiana presente in Germania, quella protestante, che raccoglieva i due terzi della popolazione, presto avrebbero sperimentato di persona il pugno di ferro di Hitler, sebbene la maggior parte dei pastori protestanti appoggiassero i nazionalisti e perfino i nazisti. Alla fine del 1935 vengono tratti in arresto settecento pastori della Chiesa confessionale, altri 807 pastori e personalità della stessa Chiesa nel 1937 e diverse centinaia nei due anni successivi. Nel 1938 il vescovo di Hannover, August Marahrens, ordina a tutti i pastori della sua diocesi di prestare giuramento di fedeltà al Fuhrer, cosa che sarà fatta dalla maggior parte di loro.

Per quanto riguarda i cattolici, il Concordato firmato con la Santa Sede nel luglio 1933, ossia nei primi mesi di avvio della macchina nazista, non era stato che una mossa politica per avere il favore della Chiesa. In realtà, eliminato il partito dei cattolici, il Centro, soppressi i conventi e imprigionati sacerdoti, suore e laici con le accuse più diverse o anche senza, ben presto si apre per la Chiesa cattolica un periodo di gravi difficoltà, di vera e propria persecuzione. Continuamente sorvegliati sono la predicazione e l’insegnamento religioso, come pure i pochi giornali cattolici non soppressi, costretti a pubblicare articoli tendenziosi.

Nonostante la rassicurazione contenuta nel Concordato circa la continuazione indisturbata dell’associazione della gioventù cattolica, pochi giorni dopo la sua ratifica si compiono i primi atti per sciogliere la Lega dei giovani cattolici. Nel 1936 poi Hitler dichiara fuori legge tutte le organizzazioni giovanili non naziste.

Dai sei ai diciotto anni, età della coscrizione al lavoro obbligatorio o nell’esercito, i giovani sono organizzati nella Gioventù hitleriana. In essa viene data una formazione sistematica basata sullo sport, sulla vita all’aria aperta, nello spirito dell’ideologia nazista e per i maschi come preparazione all’arte militare. A dieci anni, superato uno speciale esame di atletica, campeggio e storia, i bambini devono prestare un giuramento “al salvatore del nostro Paese, Adolf Hitler” che si concludeva con la formula “Sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui” (citato in William Shirer, Hitler e il Terzo Reich, Vol. I, pag. 396).

L’addestramento delle ragazze è molto simile. A 18 anni molte vanno a lavorare per un anno nelle aziende agricole e le ragazze di campagna si spostano in città, sempre con l’obiettivo di facilitare il loro coinvolgimento e il loro contributo alla vita del Paese. Vivendo in promiscuità, senza controlli, si verificano molti casi di gravidanze non previste, cosa che allarma i genitori ma che non costituisce un problema per i più convinti nazisti, in quanto il compito primario delle donne è dare figli al Reich.

Pio XI (Achille Ratti, nato a Desio nel 1857 e papa dal 1922 al 1939) negli ultimi anni della sua vita manifesta un acuto e crescente rifiuto dei totalitarismi. Si radicalizza la sua condanna per gli aspetti anticristiani e disumani del nazismo e del fascismo: le discriminazioni su base razziale, l’esasperazione dei nazionalismi, la persecuzione degli ebrei, diventano per l’anziano e malato pontefice assolutamente inaccettabili.

Si arriva così alla stesura e alla pubblicazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione) il 14 marzo 1937, pubblicata in tedesco per abbreviare i tempi della sua diffusione in terra germanica. L’enciclica sancisce la rottura tra il Papa e Hitler. Il nocciolo della lettera è volto a contrastare il carattere “religioso”, idolatrico del nazismo.

La reazione tedesca sarà durissima, Hitler è furioso. Si verificano diversi episodi di ritorsioni non solo nei confronti di singoli: le tipografie che hanno stampato il documento vengono chiuse, sono perquisiti gli archivi diocesani per scovare episodi di immoralità di cui accusare religiosi e preti.

L’enciclica si articola in undici punti in cui si documenta l’ansia e l’afflizione del pontefice perché “molti abbandonano il cammino della verità”. Innanzitutto egli lamenta il fatto che il Concordato, voluto a suo tempo dal governo del Reich, non abbia impedito che l’avversione profonda contro Cristo e la Chiesa si esprimesse in lotta aperta contro le scuole confessionali e l’educazione cattolica.

Sempre riferendosi alle Sacre Scritture (le cui citazioni sono ben 37), il Papa raccomanda ai vescovi di vigilare che la fede in Dio rimanga pura e integra, contro quella indeterminatezza panteistica che identifica Dio con l’universo secondo la concezione precristiana dell’antico germanesimo. Si tratta in realtà di neopaganesimo, fatto di perniciosi errori e numerose bestemmie. Non è lecito porre accanto a Cristo, o – peggio ancora – sopra di Lui o contro di Lui un semplice mortale, fosse egli anche il più grande di tutti i tempi. In modo altrettanto stringente è necessaria la fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità. Parlare di una “chiesa tedesca nazionale” è rinnegare l’unica Chiesa.

Non basta però essere annoverati nella Chiesa, bisogna esserne membri vivi, dice il testo, e costituire così “esempio e guida al mondo profondamente infermo, che cerca sostegno e direzione”. Al credente non resta che la via dell’eroismo, anche a costo di gravi sacrifici. Coloro che pensano si possa impunemente separare la morale dalla religione spalancano le porte alle forze dissolvitrici, compiendo in realtà contro l’avvenire del popolo un attentato i cui tristi frutti peseranno sulle generazioni future.

Ulteriore caratteristica nefasta del tempo presente è il voler distaccare le fondamenta del diritto dalla vera fede in Dio. Al contrario, è imprescindibile il riconoscimento del diritto naturale che lo stesso Creatore ha impresso nel cuore umano: alla luce di questo devono essere valutate le leggi positive. Tra i diritti dati all’uomo da Dio per lo sviluppo del bene comune vi è il diritto essenziale dei genitori all’educazione dei figli. Leggi emanate nel recente passato che non ne tengono conto sono in contraddizione col diritto naturale, quindi immorali e non valide per la Chiesa.

La lettera si rivolge poi a quei giovani, che in un contesto inondato di contenuti avversi al cristianesimo e alla Chiesa, hanno sopportato vituperio, disprezzo e accuse a causa della loro fede. Ai giovani ricorda che la vera libertà è la libertà dei figli di Dio e che c’è un eroismo anche nella lotta morale; raccomanda di non dimenticare le grandi gesta e i molti santi che la Chiesa ha sempre prodotto. In concreto, per esempio, non è da trascurare il comandamento di santificare la domenica che lo Stato vuole dedicata a infiniti esercizi ginnici e sportivi.

Ai sacerdoti e ai religiosi viene inviato un particolare riconoscimento, specie a quelli che hanno sofferto il carcere e i campi di concentramento. Tutti loro sono esortati a “mostrare i retti sentieri” con la dottrina e con l’esempio, con la dedizione e con la pazienza. Il loro compito è servire la verità e confutare l’errore in tutte le sue forme.

(…)

https://www.ilsussidiario.net/news/storia-come-lidolatria-dello-stato-tedesco-porto-alla-rottura-tra-pio-xi-e-hitler/2817650/#:~:text=CHIESA-,STORIA/%20Come%20l%E2%80%99idolatria%20dello%20Stato%20tedesco%20port%C3%B2%20alla%20rottura%20tra%20Pio,il%20clero%20tedeschi%20che%20vi%20trovano%20autorevolmente%20indicate%20strada%20e%20direzione.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20

Pasqua 2025 - Comunione e Liberazione

mercoledì 26 marzo 2025

martedì 25 marzo 2025

GRATI A CRISTO: 50 ANNI DI SACERDOZIO DI DON CARRON

 



«Grati a Cristo»

Una messa al santuario della Madonna di Caravaggio nella Bergamasca per celebrare i cinquant'anni di sacerdozio di don Julián Carrón e il suo 75° compleanno

 

25.03.2025

Matteo Rigamonti

«Vi ringrazio tutti per essere venuti fin qua a ringraziare insieme l’Unico per cui vale la pena vivere; non abbiamo altro di più interessante da fare che testimoniarci a vicenda che cosa significa Cristo per la nostra vita». Con queste parole, prima di recitare l’Angelus, don Julián Carrón – dal 2005 al 2021 alla guida del movimento di Comunione e Liberazione come Presidente della Fraternità – ha salutato le persone che si sono riunite al Santuario di Santa Maria del Fonte a Caravaggio, nel pomeriggio di sabato 22 marzo, per la Messa celebrata in occasione del cinquantesimo anniversario della sua ordinazione sacerdotale, ed è stato ricordato anche il recente compleanno (75 anni festeggiati il 25 febbraio).

 

La messa per i 50 anni di sacerdozio di don Julián Carrón a Caravaggio il 22 marzo 2025

 

Un migliaio le persone presenti, giunte principalmente dalla Lombardia e raccolte nel piazzale antistante la chiesa, per salutare il sacerdote spagnolo. «Grazia» è la parola con cui Carrón ha aperto l’omelia («spero che questo anniversario sia un’ulteriore occasione per renderci conto della grazia che noi tutti abbiamo ricevuto») e con cui l’ha conclusa: «La grazia immeritata che abbiamo ricevuto non ci è data soltanto per noi, ma per tutti», in un momento in cui «tante persone sono alla ricerca di un significato, di una speranza per la propria vita». L’unico che risponde, ha proseguito Carrón, è Gesù, che dice: «Io non sono venuto per i sani, ma per gli ammalati, per i bisognosi», per quelli che hanno «fame e sete». «Più Lo vediamo accadere», ha concluso Carrón, «più cresce la gratitudine, quella che oggi esprimiamo a Cristo».

(…)

https://www.clonline.org/it/attualita/articoli/carron-50-anniversario-

martedì 18 marzo 2025

DIFESA COMUNE, VIA MAESTRA PER COSTRUIRE UN'EUROPA POLITICA

 


LETTERA/ “Difesa comune, la via maestra per costruire l’Europa politica”

La difesa europea è una tappa obbligata per realizzare l'Europa dei fondatori. L’autore è stato presidente dell’assemblea parlamentare della Nato

Paolo Alli Pubblicato 18 Marzo 2025

 

Caro direttore,

non riesco proprio a iscrivermi al club di chi dice che “l’Europa deve svegliarsi”. Non ci riesco perché l’Europa siamo noi, non altri sui quali riversare – quando fa comodo – responsabilità e colpe.

Il club ora dice che non si può fare la difesa europea se non c’è una politica estera comune, ma che questa non può esserci perché non c’è unità politica. Questa Europa sarebbe uno strano animale a più teste, dalle braccia rattrappite, animato da spiriti individualisti e laicisti, che non può pensare di difendere confini comuni se prima non si dà una identità. Allora chiudiamola questa Europa, se è così è inutile.

Io penso, invece, che l’Europa siamo noi. Lo penso anche perché negli ultimi anni ho avuto la fortuna e la grazia di incontrare la figura di Alcide De Gasperi e poterne approfondire il pensiero e la testimonianza. De Gasperi credette incondizionatamente nell’Europa quando ancora ne esisteva solo un barlume. La Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio era un progetto debolissimo, frutto della paura della guerra. De Gasperi, che con Schuman e Adenauer aveva una visione lungimirante e profetica, non si arrestò di fronte a questo.

Ai molti che mi chiedono cosa penserebbe se fosse vivo, rispondo che certamente sarebbe dispiaciuto che il suo progetto non si sia ancora completato, ma non potrebbe non apprezzare i molti passi avanti fatti. De Gasperi continuerebbe a credere nell’Europa, oggi come allora.

A partire dal tema della difesa comune: De Gasperi non diceva che per fare la CED sarebbero servite prima una unità politica o una visione comune di politica estera, anzi sosteneva che la difesa comune fosse la via maestra per costruire l’Europa politica. Infatti, se i popoli decidono di difendere i medesimi confini, significa che considerano quello che c’è all’interno come una cosa sola: la polis comune. Questo vale oggi come allora.

Il club al quale non mi iscrivo sostiene che in Europa non esiste per nulla una visione politica comune: il mio personale punto di vista è molto diverso, e si basa su almeno quattro esempi.

Il primo risale ormai a 23 anni fa. Ciò che ha sempre limitato il progetto europeo è stato il timore della “cessione di sovranità”. Ma come osserva acutamente Antonio Polito nel suo libro Il costruttore, De Gasperi non pensava a una cessione di sovranità, ma “… aveva capito che l’interesse nazionale si protegge meglio in un consesso di nazioni in cui la sovranità è condivisa, e per questo moltiplicata”.

L’euro è un esempio chiaro: i Paesi che vi hanno aderito hanno ceduto la propria sovranità monetaria, ma ne hanno ricevuto in cambio una sovranità molto rafforzata. Senza l’euro, soltanto il marco avrebbe forse potuto essere annoverato tra le valute di riserva, certamente non la lira, la dracma o la peseta.

Negli ultimi anni abbiamo, poi, avuto tre “sveglie”, quelle che gli americani chiamano wake-up calls: la pandemia, l’aggressione russa all’Ucraina e ora l’avvento al potere negli Stati Uniti dello strano trio Trump-Vance-Musk.

Alla pandemia, l’Unione Europea ha risposto facendo per la prima volta debito comune con il Next Generation Fund, del quale il nostro Paese ha abbondantemente beneficiato. Allora questo andava bene a tutti, anche se non ricordo grandi parole di approvazione per il coraggio di Ursula von der Leyen e delle vituperate istituzioni di Bruxelles.

Alla guerra russa l’UE ha risposto in modo unitario, non cedendo al ricatto del gas con il quale Putin contava di dividere l’Europa, anzi accettando di pagare un prezzo enorme in termini economici, perché il sostegno al popolo ucraino era più importante.

La terza sveglia è vista ora da molti (da alcuni persino con un certo sollievo) come quella che dovrebbe definitivamente distruggere il fragile progetto europeo. La risposta, per ora, è stata immediata: in un mondo ormai in guerra, e senza più la protezione americana, occorre che l’Europa si riarmi per ripristinare quella deterrenza che ha garantito ottant’anni di pace e che colpevolmente abbiamo lasciato cadere, fidandoci ingenuamente della buona fede di Mosca.

 

Dunque, scelte dove la politica ha prevalso.

È ovvio che il progetto europeo vada completato, a partire dall’eliminazione del principio di unanimità, perché in democrazia contano le maggioranze: ma la percezione che l’Europa sappia fare scelte politicamente impegnative, insieme alla sua potenza economica, la rende un soggetto che fa molto più paura di quanto noi possiamo immaginare. È questa la vera ragione per la quale i potenti del mondo vogliono distruggere l’Unione Europea, spartendosene le spoglie.

Andare avanti sul progetto di riarmo dell’Europa è fondamentale per fare un nuovo passo verso la completa unione politica, ed è giusto usare il termine riarmo perché siamo di fronte a interlocutori che non hanno mezze misure. De Gasperi, cattolico profondamente convinto e in odore di beatificazione, scriveva: “Le alleanze difensive, e soprattutto gli armamenti che ne sono la conseguenza, sono una dura necessità preliminare”. Forse anche molti cattolici dovrebbero rileggere oggi queste righe.

 

Anziché continuare a indebolire il modello europeo, spingendo l’opinione pubblica sempre più verso l’euro-scetticismo, dovremmo difenderlo, perché, pur con tutti i suoi limiti e con buona pace del vice-presidente americano Vance, esso poggia ancora su valori solidi.

(….)

https://www.ilsussidiario.net/news/lettera-difesa-comune-la-via-maestra-per-costruire-leuropa-politica/2813533/#:~:text=CRONACA-,LETTERA/%20%E2%80%9CDifesa%20comune%2C%20la%20via%20maestra%20per%20costruire%20l%E2%80%99Europa%20politica%E2%80%9D,Ma%20proprio%20per%20nulla.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94Ma proprio per nulla.


lunedì 17 marzo 2025

Una strada realistica per la pace

 


Caro direttore,

mi spinge a scriverle la drammaticità del momento storico nel quale ci troviamo a vivere. I conflitti armati aumentano in molte parti del mondo, fin dentro all’Europa, dando l’impressione che stiano crollando quei pilastri su cui poggia la convivenza civile, lo sviluppo economico-sociale e quindi la possibilità di uno sguardo positivo sul nostro futuro. Istituzioni, governi, soggetti sociali e culturali di ogni ordine e tipo, purtroppo anche alcuni esponenti della Chiesa, appaiono talvolta smarriti e contradditori nei loro giudizi (e nel manifestarli). Lo scenario pone diversi interrogativi. Non sono un esperto di geopolitica, tuttavia in quanto europeo e in quanto cristiano, sento la responsabilità di dare un contributo di riflessione, frutto di un confronto interno al Movimento di cui faccio parte, in merito alla discussione in corso sulla difesa comune europea. 

Al di là delle cifre che già oggi vengono spese dagli Stati dell’UE, una difesa veramente “comune” implicherebbe – come molti commentatori più autorevoli di me hanno già detto – una politica estera comune e quindi un soggetto politico unitario, cosa che l’UE non è. Dobbiamo infatti riconoscere che l’Europa come l’avevano immaginata De Gasperi e gli altri protagonisti di quella stagione politica – che nella difesa comune avevano intravisto il primo tassello di una vera unione federale –  non si è realizzata. L’UE è invece l’esito di un compromesso senz’altro virtuoso sotto molti punti di vista, ma che ha dato origine a un ibrido politico obiettivamente fragile, fondato sui precetti dell’individualismo liberale che, nel tempo, hanno portato il progetto sempre più lontano dai valori condivisi dagli ispiratori dell’idea originaria. Del resto, l’Europa si è configurata nella storia come un insieme di popoli diversi, spesso in conflitto tra loro ma uniti da una cultura comune radicata nella tradizione greco-romana e giudaico-cristiana. Poi nella modernità ci si è illusi di poter prescindere dal fondamento trascendente di questa tradizione, perdendo così la sua forza unificante. In questo senso, nel cercare soluzioni adeguate anche al problema urgente della sicurezza, credo si debba considerare l’Unione Europea per quello che è chiamata a essere: un luogo di incontro, uno spazio di dialogo dentro e fra le nazioni, capace di includere tutti gli attori coinvolti nei diversi scenari, con il lavoro paziente e lungimirante della diplomazia. Gli ostacoli politici ed economici vanno anzitutto affrontati anche con il coraggio di trovare forme nuove, senza accontentarsi di scorciatoie di carattere militare che non risolvono i problemi, casomai li aggravano. 

Il problema che l’Europa è chiamata ad affrontare oggi è fondamentalmente culturale: l’Unione deve decidere se essere fedele alla sua vocazione di luogo di incontro, di mediazione e quindi di costruzione della pace, promuovendo la centralità della persona e una cultura della sussidiarietà all’interno dei singoli Paesi, oppure contribuire all’atmosfera conflittuale che sembra prevalere su tutto. Per queste ragioni, la prospettiva di garantire la sicurezza comune mediante un investimento ingente in armamenti, a maggior ragione se affidato ai singoli Stati, mi pare davvero inadeguata, come peraltro ha sottolineato anche l’Arcivescovo di Mosca, monsignor Pezzi. E poiché il progetto politico europeo ha delle lacune a tutti evidenti, credo sia un errore pensare che il riarmo per far fronte a un aggressore pericoloso sia un buon modo per colmare il vuoto di identità che tutti percepiamo.

La condanna della Prima guerra mondiale come «inutile strage» da parte di Papa Benedetto XV assume nuovo valore a fronte delle potenzialità distruttrici delle armi di oggi. Papa Francesco non si stanca di ripetere che armarsi significa soltanto prepararsi alla guerra: mi auguro che questo monito sia tenuto presente da tutti i politici europei. Anni fa, don Giussani affermava: «La pace dipende dal fatto che l'uomo ammetta l'impossibilità di darsi la perfezione da se stesso, mentre indomabilmente riconosce il suo debito verso l'Essere» (la Repubblica, 24 dicembre 2000). Credo che anche oggi siano tanti, e non solo tra i cattolici, a condividere ciò che dice Giussani: solo la coscienza di non essere noi i padroni della storia può aprire uno spiraglio realistico e profondo alla vera pace.

Prof. Davide Prosperi, Presidente della Fraternità di CL


Da la Repubblica, 16 marzo 2025

martedì 11 marzo 2025


 

VESCOVO (OSTILE AL REGIME) ARRESTATO PER AVER CELEBRATO LA SANTA MESSA DI INIZIO GIUBILEO: RIESPLODE IN CINA IL CASO ZHUMIN

 

Cina arresta vescovo Wenzhou per aver celebrato Messa/ Mons. Zhumin non si trova: rifiutò adesione al regime

Nuove persecuzioni in Cina: il vescovo (sotterraneo) di Wenzhou è stato arrestato per aver celebrato la Santa Messa di inizio Giubileo. Ora è introvabile

Niccolò Magnani Pubblicato 10 Marzo 2025

 

Quando si ragiona sulla libertà di parola e sul diritto di critica (sacrosanto), occorre sempre ricordarsi che in alcune parti del mondo, come la Cina, un vescovo cattolico può venire arrestato per il solo fatto di aver celebrato la Santa Messa. È il caso di mons. Pietro Shao Zhumin, attuale vescovo “sotterraneo” di Wenzhou, città all’interno della maxi provincia dello Zhejiang: non è la prima volta che il suo nome torna in auge, almeno qui in Italia, visto che per il suo rifiuto di adeguarsi alla chiesa nazionale controllata dal regime comunista di Xi Jinping è stato spesso arrestato e perseguitato.

 

E così mentre sono passati appena pochi mesi dal rinnovo (di 4 anni) dell’accordo Cina-Vaticano sulla nomina dei vescovi, il problema delle persecuzioni religiose è tutt’altro che vicino alla “scomparsa”: come ha raccontato lo scorso 7 marzo 2025 l’agenzia di stampa AsiaNews, il vescovo Zhumin, non allineato al regime di Xi, è stato improvvisamente arrestato con l’accusa piuttosto insolita di cui sopra. Il 27 dicembre 2024 aveva celebrato la Santa Messa di inizio Giubileo 2025, come avvenuto in migliaia di diocesi e parrocchie sparse per il mondo: avevano partecipato circa 200 persone alla celebrazione, non approvata da Pechino proprio per il timore che nelle omelie il sacerdote potesse diffondere critiche e polemiche contro l’unica vera religione presente in Cina, il comunismo “popolare”.

 

Dopo una prima comunicazione inviata al vescovo, in cui si imponeva il pagamento di una multa dalla cifra abnorme di 200mila Yuan (circa 25mila euro), Shao Zhumin l’ha contestata pesantemente sottolineando che l’attività della Chiesa non viola la legge: secondo Pechino invece la Messa di inizio Giubileo viene valutata in palese «violazione dell’articolo 71 delle Norme sugli Affari Religiosi», aggiungendo che la scelta fuori ordinamento del prelato è da punire come un «crimine grave». Dopo qualche settimana di scontro a distanza, venerdì scorso scatta l’arresto con il vescovo che viene prelevato e al momento risulta irreperibile: contattati dalla stessa AsiaNews, i membri dell’Ufficio della Sicurezza Nazionale si limitano a riferire che Shao è stato portato in un posto segreto per garantire la “piena sicurezza del vescovo”.

 

NUOVO “INCIDENTE” DIPLOMATICO SULL’ASSE CINA-VATICANO: MONS. ZHUMIN NON SI TROVA E LA LIBERTÀ RELIGIOSA È ANCORA UN MIRAGGIO

Al netto della perfida “ironia” di un regime illiberale come quello cinese, sono i metodi usati in questi anni – non solo dunque con l’arresto per aver celebrato la Santa Messa del Giubileo – a sconvolgere (o almeno, così dovrebbe essere) l’opzione pubblica occidentale. Come raccontano ancora le fonti dirette di AsiaNews – che coraggiosamente non da oggi denunciano il trattamento subito da mons. Shao Zhumin e molti altri vescovi “sotterranei” in Cina – da tempo il regime prova ad impedire l’accesso alle celebrazioni per bambini e adolescenti, temendo che le loro giovani menti possano essere “plagiate”.

 

Di recente però, nonostante l’Accordo Cina-Vaticano siglato, l’Ufficio controllato da Pechino ha cambiato strategia, provando ad impedire che chiunque possa celebrare messa a Wenzhou, oltre che fermare sul nascere l’arrivo dei fedeli per le sacre funzioni. Anche se più volte “invitato” ad accettare, il vescovo Shao Zhumin ha sempre rifiutato di aderire all’ideologico organismo cattolico cinese e per questo la nomina di Benedetto XVI nel 2007 viene ritenuta non valida: la chiesa nazionale cinese ha nominato al suo posto un altro sacerdote “patriottico”, continuando ad arrestare in questi anni il vescovo “ribelle”, che pure permane fermo nella sua fede e obbedienza solo alla Chiesa Cattolica di Roma.

 

L’ultimo atto pubblico del vescovo, ora arrestato e purtroppo sparito in Cina, è stato lo scorso 25 febbraio con l’invio a tutta la diocesi di un’intenzione particolare di preghiera per la salute di Papa Francesco, ricoverato ormai da un mese all’ospedale Gemelli di Roma: la Santa Messa, la preghiera del Rosario e l’intercessione a Dio e alla Madonna per la piena guarigione. Ma tutte queste celebrazioni, in particolare quella per l’inizio del Giubileo, vengono considerate dal regime di Xi come profondamente «illegali», tanto da disporre un provvedimento abnorme rispetto a quanto commesso.

(…)

https://www.ilsussidiario.net/news/cina-arresta-vescovo-wenzhou-per-aver-celebrato-messa-mons-zhumin-non-si-trova-rifiuto-adesione-al-regime/2810636/#:~:text=Quando%20si%20ragiona,arrestato%20e%20perseguitato.


 

il presidente ucraino Volodymyr Zelensky incontra a Jeddah i diplomatici sauditi (Ansa)


TRA UCRAINA E GAZA/ Fattore Arabia, ecco perché Trump ha mollato Kiev

In Arabia Saudita oggi si incontrano la delegazione ucraina e quella americana. Ma quanto è importante l’Ucraina nella nuovo corso trumpiano?

Leonardo Tirabassi Pubblicato 11 Marzo 2025

 

Fatti, simboli, interpretazioni, opinioni, scelte e preferenze personali non sono la stessa merce. Non stanno sullo stesso piano. Tanto più in guerra, quando a far da padrona è la propaganda, ma a contare sul serio è la realtà.

 

Non è un lavoro facile analizzare qualcosa, perché il tifo, cioè le passioni personali sostenute da fede a riprova di smentita, rendono difficile qualsiasi interpretazione onesta. Tanto più quando sulla scena internazionale si muovono personaggi politici, attori consumati, che hanno fatto delle maschere la loro identità.

 

In Arabia Saudita, a Riyad, oggi si incontrano la delegazione ucraina e quella americana  dopo il drammatico scontro tra Zelensky e Trump alla Casa Bianca trasmesso in diretta su di un palcoscenico mondiale. Ecco, partiamo da qui, dalla sede scelta degli incontri tra i protagonisti della guerra, russi, ucraini e americani.

 

Se si vuole misurare tutta la differenza di peso e di considerazione, per gli Stati Uniti, tra i due conflitti maggiori oggi in corso, non si avrebbe dimostrazione più lampante. L’Arabia è assieme ad Israele e quindi al Medio Oriente il centro delle attenzioni di Washington. Riyad è la chiave di volta per lo sviluppo di una possibile pacificazione del conflitto israelo-palestinese. L’Arabia è al centro degli Accordi di Abramo, che devono ricominciare il più presto possibile.

 

È lo snodo fondamentale per lo sviluppo economico del grande Medio Oriente, terra di mezzo tra l’India e l’Europa, il luogo simbolico e reale per mettere con le spalle al muro l’Iran degli Ayatollah con la loro bomba atomica in costruzione e rendere le cose difficili alla Cina. Ma trovando un posto al tavolo da gioco anche a Putin. Questa è l’offerta.

 

Agli Stati Uniti oggi poco importa dell’Ucraina: è una faccenda russo-europea, non mette a rischio nessun loro posizionamento strategico. Kiev non è nella sfera d’influenza americana. Quello che gli Usa volevano se lo sono già preso. Russia ed Europa sono in difficoltà economica e politica, Svezia e Finlandia sono nella Nato.

 

Adesso viene la partita difficile e d’importanza strategica per gli Usa. La Russia è ridotta a cliente di Pechino, costretta a svendere il petrolio e il gas e quant’altro alla Cina, ma anche all’India; soffre di una guerra sanguinosa, lunga e che costa comunque troppo, che le impedisce di pensare ad altro, ad esempio a come muoversi nel Mediterraneo, a come far decollare la sua economia ormai di guerra.

 

In un’epoca di incertezza, dove l’economia è diventata (ma quando mai ha smesso di esserlo?) arma di guerra, le rotte, le vie di comunicazione da dove passano gli approvvigionamenti sono diventati un obiettivo primario.

 

Lo sapeva Roma, lo sapevano nel Medio Evo e Braudel ha scritto pagine memorabili sulle vie che dall’estremo Nord, dal Mar Baltico e poi lungo il Don e il Dniepr, arrivavano al Mar Nero, al Caspio, a Costantinopoli e poi fino a Bagdad.

 

E quindi al Mediterraneo, per ricollegarsi, in direzione dell’Estremo oriente, alle tante vie della Seta. Adesso non è certo un caso che lo scontro tra Israele e Hamas vede il coinvolgimento degli Houthi yemeniti.

 

La geografia e l’economia, se non tutto, dicono molto delle guerre. Se non spiegano certo i comportamenti dei protagonisti, per cui entrano in gioco fattori quali la storia, l’identità, la memoria, l’odio, molto ci dicono sulle azioni di chi può (o crede di poter) permettersi il lusso di scegliere da quale parte stare. In questo caso abbiamo un incrocio e scontro di interessi pauroso.

 

Ecco la cinese “Belt and Road Initiative” (BRI), il corridoio con capofila gli USA “India-Middle East-Europe Economic Corridor” (IMEC), il russo “International North-South Transport Corridor” (INSTC), ed il turco “Trans-Caspian International Transport Route” (TITR).

 

Progetti dai costi esorbitanti e durata decennale, che necessitano della collaborazione internazionale e della sicurezza delle zone attraversate. E tutti progetti non neutrali. Infatti su di essi si giocano alleanze e inimicizie come nelle guerre. Anzi sono essi stessi strumento di guerra. Impedire alla Cina il passaggio dall’Iran vuol dire costringerla a passare dal mare o spingerla a nord, comunque costringerla ad allungare il percorso per le sue merci.

 

Mentre il corridoio indoeuropeo aggira l’Iran, esclude la Cina, e trasforma Israele ed Haifa in un hub fondamentale per tutto il Medio oriente, per il Golfo e l’Arabia. Ma se la rotta iraniana si chiude, se il Caucaso diventa invalicabile, per la Russia significa che dal mar Baltico all’India l’unica rotta possibile è via mare attraverso Gibilterra!

 

https://www.ilsussidiario.net/news/tra-ucraina-e-gaza-fattore-arabia-ecco-perche-trump-ha-mollato-kiev/2810808/#:~:text=UCRAINA-,TRA%20UCRAINA%20E%20GAZA/%20Fattore%20Arabia%2C%20ecco%20perch%C3%A9%20Trump%20ha%20mollato,molte%20le%20carte%20che%20gli%20Stati%20Uniti%20hanno%20in%20mano.%20Poi,-%2C%20%C3%A8%20vero%20rimangono