Quattro anni di lavoro, tra fonti inedite
e nuove ricostruzioni. MARTA BUSANI, dottore di ricerca in Storia
contemporanea, ha studiato la vicenda di Gioventù Studentesca. E la sua
originalità
(www.tracce.it)
«Soprattutto un fenomeno sottende l’arco
vibrante della vita umana, un fenomeno soprattutto è l’anima comune di
ogni interesse umano, un fenomeno è la molla di ogni problema: è il
fenomeno del desiderio. Il desiderio che ci spinge alla soluzione dei
problemi, il desiderio che è l’espressione della nostra vita di uomini.
In ultima analisi, è l’attrattiva profonda con cui Dio ci chiama a sé».
Così
don Luigi Giussani parlava del desiderio nei primi anni della storia
del movimento. Era il 1955. La centralità, nella sua proposta educativa,
di quello che più tardi chiamerà senso religioso è uno degli aspetti
più singolari del fondatore di CL, che emerge dal volume Gioventù Studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione
(in uscita per i tipi di Studium). «Si tratta di un tentativo di
approfondire la vicenda storica di GS nel contesto sociale ed ecclesiale
di quegli anni, la cui conoscenza mi pare imprescindibile per
comprenderne i tratti fondamentali», spiega l’autrice, Marta Busani,
dottore di ricerca in Storia contemporanea all’Università Cattolica di
Milano.
Il libro è il frutto di quattro anni di lavoro, per mettere
in sinergia una mole poderosa di documentazione archivistica, per lo più
inedita, e di fonti a stampa come periodici, quotidiani e opuscoli. Non
è uno studio sul pensiero di Giussani, ma una ricerca che sorprende il
sacerdote e i giessini in azione.
Che cosa emerge dai documenti sull’origine di GS?
Spesso,
quando si parla di Gioventù Studentesca, si ha l’idea di una realtà che
fin dall’inizio si è concepita come un movimento ecclesiale tout court.
In realtà non sembra che questo rientri nell’orizzonte di don Giussani
quando GS inizia a muovere i primi passi. Semmai tra i suoi modelli di
riferimento ci sono i movimenti di ambiente dell’Azione Cattolica belga e
francese. In sostanza, senza voler mettere in discussione il modello
parrocchiale dell’AC italiana, don Giussani manifesta il desiderio di
incontrare gli uomini là dove sono. Si accorge infatti che, a fronte di
un’élite cattolica molto formata, c’è tutto un mondo giovanile non più toccato dalla Chiesa.
Come si sviluppa l’esperienza di GS?
Il primo dato fondamentale è proprio che si sviluppa,
nel tempo: GS si evolve. La mia impressione, infatti, è che Giussani
non abbia mai avuto uno sguardo programmatico sul suo movimento. A
differenza di alcuni tentativi fatti in precedenza da altri, lui non
progetta a tavolino un movimento cattolico. Certamente vuole animare una
presenza cristiana nella scuola, ma le forme e i modi in cui ciò
avviene si costruiscono nel dialogo tra lui e gli studenti. Avendo
sempre come orizzonte il contesto sociale e culturale dell’epoca, in
rapida evoluzione.
Che cos’altro caratterizza il suo tentativo?
Io
credo una certa discontinuità rispetto ad un’impostazione prevalente
nel cattolicesimo italiano degli anni Cinquanta, caratterizzata
dall’insistenza dell’associazionismo cattolico sulla dimensione
organizzativa, progettuale e numerica. La proposta di Giussani è,
invece, centrata sulla persona, sul soggetto. Il che, peraltro, è
all’origine delle critiche di quanti - sia nel clero sia nel laicato -
individuano in GS il rischio di una fede viziata da un certo
“esistenzialismo”.
Può farci un esempio?
Pensiamo
al tema del desiderio, per citare un caso significativo. Per Giussani
il desiderio è il motore che muove il soggetto, e che accomuna per
questo tutti gli uomini. Ne parla per la prima volta nel 1955, quando
scrive Risposte cristiane ai problemi dei giovani, un testo di
riferimento per i dirigenti dell’AC. Secondo lui, è il desiderio ciò che
fonda la possibilità di dialogo tra cristianesimo e modernità. Questa
tematica, che nella Chiesa di quegli anni viene spesso associata al
problema del modernismo condannato da Pio X nell’enciclica Pascendi
(1907), è uno degli aspetti del pensiero di Giussani che più modella la
vita di GS, rendendola un movimento che non rifiuta la modernità, ma si
confronta costantemente con essa sul terreno delle esigenze umane più
profonde. Don Giussani, benché sia stato a volte sbrigativamente
associato ai settori più tradizionalisti del mondo cattolico, si situa a
mio avviso nell’alveo dei più significativi fermenti di rinnovamento
della Chiesa negli anni che precedono il Concilio.
Come si traduce questo nella vita di GS?
Quando
inizia GS, Giussani si confronta a più riprese con il pensiero laico e
radicale, assai presente nelle scuole milanesi, in particolare con le
tesi del filosofo Guido Calogero, che mettono al centro il tema del
dialogo. «Dialogo» non è una parola molto in voga nel mondo cattolico di
quegli anni (anche se ci sono importanti eccezioni), perché non è stata
ancora “sdoganata” dal Concilio Vaticano II. Giussani invece la
utilizza molto, soprattutto all’inizio, tanto da arrivare a definire il
raggio (gli incontri settimanali dei giessini nelle scuole, ndr.) come «dialogo». È un tema che tornerà centrale nella GS degli anni Sessanta.
Cosa intende Giussani per dialogo?
In
un primo tentativo di chiarire che cos’è GS, Giussani dice che i
cardini del movimento sono la «carità» e il «dialogo». Il pensiero
laicista sostiene che il dialogo è dialettica, mentre lui gli dà
un’accezione nuova. In una lezione ai “capi-raggio” di GS dice: «Il
dialogo è vita. Non dialettica, scontro più o meno lucido di idee e di
misure mentali. È mutuo comunicare noi stessi. L’accento non è sulle
idee, ma sulla persona, come tale, sulla libertà. È vita, di cui le idee
sono una parte».
Ma a partire da quest’idea di dialogo come imposta il rapporto con il mondo della scuola?
Io
sono partita da un’immagine che mi arrivava da una parte della
storiografia italiana: GS come un movimento caratterizzato dalla ricerca
dell’egemonia. Dai documenti che ho potuto consultare emerge, tuttavia,
un quadro molto differente. Giussani ha sempre messo in guardia i
giessini dalla tentazione dell’egemonia. Non a caso, una delle critiche
più dure che gli rivolge la Gioventù femminile di Azione Cattolica a
Milano riguarda il rifiuto del sacerdote di far partecipare in massa gli
studenti di GS alle Associazioni di istituto, cosa che avrebbe permesso
ai cattolici di governarle.
Da cosa nasce questa decisione?
Giussani
sostiene che, in una scuola, non ci debba essere una sola associazione
di istituto a carattere formativo e ricreativo che pretenda di
rappresentare tutti gli studenti e di organizzarne il tempo libero.
Considera più costruttivo che a scuola possano vivere ed esprimersi
tutte le associazioni e i movimenti giovanili. È la difesa di uno spazio
di libertà e di espressione per tutti: una battaglia per il pluralismo.
Che in pochi, anche tra i cattolici, sembrano capire.
Diceva che il tema del dialogo ritorna negli anni Sessanta, anni decisivi anche per GS.
È
vero, e questo avviene soprattutto per effetto del Concilio. Ma GS si
trova in contrasto su questo tema con le posizioni espresse dalla Fuci
(Federazione Universitaria Cattolica Italiana) che, in nome della
collaborazione con le altre forze universitarie, a giudizio dei giessini
sembrano prefigurare un’idea di dialogo che annulla le differenze.
Negli stessi anni, all’interno di GS, l’insistenza sul dialogo si
traduce nell’apertura di prospettive missionarie e nel coinvolgimento in
iniziative ecumeniche. Non mancano tuttavia aspetti di criticità, che
Giussani rileva in più di un’occasione.
Quali?
A
partire dal 1962 Giussani inizia a denunciare la crisi di novità che
investe molti responsabili laici di GS, che a suo giudizio vivono ormai
il movimento solo come la riproposizione meccanica di un metodo. Nel
loro complesso i responsabili di GS, in forza dell’apertura a cui sono
stati educati, cominciano a fare proprie diverse istanze condivise dal
mondo giovanile cattolico: il desiderio di contribuire allo sviluppo del
mondo e al miglioramento sociale, e nello stesso tempo l’urgenza
percepita di inserirsi da protagonisti nel dibattito culturale in corso.
Da qui alcuni di loro, nel 1965, arrivano a proporre di trasformare GS,
partendo dalla constatazione che il movimento ha raggiunto dimensioni
tali da rendere necessaria l’elaborazione di un proprio discorso
culturale e di una conseguente piattaforma di azione sociale. Giussani
rifiuta questa idea, che a suo parere mina alle radici lo scopo stesso
per cui GS è nata: la personalizzazione della fede. Ribadisce che GS è
una comunità cristiana e non un movimento di idee.
Nel
libro riporta un passo in cui Giussani delinea le due condizioni
imprescindibili per la trasformazione della società: la «religiosità» e
l’«accettazione della legge dell’evoluzione», in quanto la vita
dell’uomo comporta un lento sviluppo nella storia.
Il passo
è tratto da una lezione del 1965. Quando don Giussani vede tanti
orientarsi verso l’attivismo sociale, inizia a parlare in modo più
sistematico della persona e dell’autocoscienza. Teniamo presente che
siamo alle soglie del ’68: le istanze rivoluzionarie si stanno
diffondendo anche tra i cattolici. Il giudizio di Giussani al riguardo è
particolarmente netto, lui riconosce dietro ogni ipotesi rivoluzionaria
una forma di violenza e un rifiuto della legge dello sviluppo umano,
che si dispiega nel tempo secondo una gradualità. Allo stesso tempo,
però, don Giussani re-inventa l’idea stessa di rivoluzione. Per la
Chiesa, sostiene, l’uomo ha un valore inalienabile: solo questo può
veramente trasformare il mondo. Dice nella stessa lezione: «Questa è la
vera rivoluzione, questa è la vera resistenza della storia, (...) questa
rivoluzione di voi stessi. Perché è la persona il valore assoluto.
(...) Non esiste l’umanità, non esiste la collettività, non esiste il
progresso e l’umanità, ma esisti tu, esiste l’uomo, l’uomo sei tu, è la
persona».