DA AVVENIRE.IT
Aleppo, la fede e il coraggio
di Andrea Avveduto
29/03/2016 - «Davvero è risorto». Gli auguri di Pasqua nella città siriana, dove tra le bombe e la speranza di una fragile tregua sono rimaste solo cinque chiese. E dove tra melchiti, latini, ortodossi e altri a messa c'erano oltre duemila persone...
«Cristo è risorto. Davvero è risorto». Ad Aleppo gli auguri di Pasqua si fanno così,
con questa formula antica e solenne. E la certezza di quel 'davvero'
sembra quasi sfidare la presunzione di chi – a pochi metri di distanza –
vorrebbe rubare a questa festa cristiana gioia e significato. La città
dei suq millenari devastata dalla guerra civile respira finalmente la
prima aria primaverile dopo un inverno freddo e violento. Sotto il
porticato della chiesa latina, la sera del sabato santo, si fatica a
camminare tra gli abbracci festosi della gente. Il giorno prima, durante la via Crucis, c’erano quasi tutti.
Alla veglia pasquale però la chiesa dedicata a san Francesco fatica a
tenere un popolo intero. Molti stanno in piedi, con la candela in mano,
assorti in preghiera, aspettano quella luce che sola può scaldare cuori e
menti. Il silenzio che si respira è quasi surreale.
I cristiani di Siria aspettano la Risurrezione, ultimo significato alle sofferenze interminabili, di chi sembra chiamato a «vivere sempre il Venerdì Santo». «Io proteggo coloro che credono in me e mi amano», forse solo il salmo recitato prima della Messa da padre Eduardo riesce a spiegare cosa sta accadendo sotto i nostri occhi. La gioia, la festa, i canti. Aleppo guarda con cauto ottimismo alle notizie di questi giorni. «Questa maledetta guerra finirà. Inshallah». «Se Dio vuole», ripetono. Solo il giorno prima nessuno poteva nemmeno immaginarselo. A Messa ci sono quasi 2.000 persone, di tutti i riti e confessioni. «Mai vista una chiesa così», si mormora tra i banchi. Latini, melchiti, ortodossi, maroniti. Qui lo chiamano "ecumenismo di sangue", un’unione dettata un tempo dalle circostanze e divenuta nel tempo amicizia sincera. E sarà forse merito della fragile tregua in vigore da qualche settimana, ma anche di una città che vuole tornare a vivere. E in fretta. Neanche questo però riesce a spiegare quel fiume in piena che in ordine scorre lentamente tra le navate della basilica ottocentesca. Perché il coraggio e la fede dei cristiani aleppini sono difficili da spiegare
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29/03/2016 - «Davvero è risorto». Gli auguri di Pasqua nella città siriana, dove tra le bombe e la speranza di una fragile tregua sono rimaste solo cinque chiese. E dove tra melchiti, latini, ortodossi e altri a messa c'erano oltre duemila persone...
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Una strada di Aleppo.
I cristiani di Siria aspettano la Risurrezione, ultimo significato alle sofferenze interminabili, di chi sembra chiamato a «vivere sempre il Venerdì Santo». «Io proteggo coloro che credono in me e mi amano», forse solo il salmo recitato prima della Messa da padre Eduardo riesce a spiegare cosa sta accadendo sotto i nostri occhi. La gioia, la festa, i canti. Aleppo guarda con cauto ottimismo alle notizie di questi giorni. «Questa maledetta guerra finirà. Inshallah». «Se Dio vuole», ripetono. Solo il giorno prima nessuno poteva nemmeno immaginarselo. A Messa ci sono quasi 2.000 persone, di tutti i riti e confessioni. «Mai vista una chiesa così», si mormora tra i banchi. Latini, melchiti, ortodossi, maroniti. Qui lo chiamano "ecumenismo di sangue", un’unione dettata un tempo dalle circostanze e divenuta nel tempo amicizia sincera. E sarà forse merito della fragile tregua in vigore da qualche settimana, ma anche di una città che vuole tornare a vivere. E in fretta. Neanche questo però riesce a spiegare quel fiume in piena che in ordine scorre lentamente tra le navate della basilica ottocentesca. Perché il coraggio e la fede dei cristiani aleppini sono difficili da spiegare
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