Omelia di Papa Francesco alla Messa della Domenica delle Palme
MAGISTERO
La Sua sorprendente tenerezza
(www.tracce.it)
21/03/2016 - Omelia di papa Francesco alla messa della Domenica
delle Palme e della Passione del Signore (Piazza San Pietro, 20 marzo
2016)
«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (cfr Lc
19,38), gridava festante la folla di Gerusalemme accogliendo Gesù.
Abbiamo fatto nostro quell'entusiasmo: agitando le palme e i rami di
ulivo abbiamo espresso la lode e la gioia, il desiderio di ricevere Gesù
che viene a noi. Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera
entrare nelle nostre città e nelle nostre vite. Come fece nel Vangelo,
cavalcando un asino, viene a noi umilmente, ma viene «nel nome del
Signore»: con la potenza del suo amore divino perdona i nostri peccati e
ci riconcilia col Padre e con noi stessi. Gesù è contento della
manifestazione popolare di affetto della gente, e quando i farisei lo
invitano a far tacere i bambini e gli altri che lo acclamano risponde:
«Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40). Niente
poté fermare l'entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di
trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e
dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della
morte, della paura e della tristezza. Ma la Liturgia di oggi ci insegna
che il Signore non ci ha salvati con un ingresso trionfale o mediante
potenti miracoli. L'apostolo Paolo, nella seconda Lettura, sintetizza
con due verbi il percorso della redenzione: «svuotò» e «umiliò» sé
stesso (Fil 2,7.8). Questi due verbi ci dicono fino a quale
estremo è giunto l’amore di Dio per noi. Gesù svuotò sé stesso: rinunciò
alla gloria di Figlio di Dio e divenne Figlio dell’uomo, per essere in
tutto solidale con noi peccatori, Lui che è senza peccato. Non solo: ha
vissuto tra noi in una «condizione di servo» (v. 7): non di re, né di
principe, ma di servo. Quindi si è umiliato, e l’abisso della sua
umiliazione, che la Settimana Santa ci mostra, sembra non avere fondo...
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