Ucraina, il film
del
GENOCIDIO
Cinema
Con “Bitter harvest” Mendeluk porta sul grande schermo lo sterminio dei
contadini per la carestia provocata da Stalin negli anni 30
Fino a una ventina d’anni
fa, in pochi avevano sentito parlare del cosiddetto Holodomor, il
genocidio per fame che sterminò milioni di contadini ucraini causato
dalla collettivizzazione forzata decisa da Stalin all’inizio degli anni
’30. Mosca era riuscita a nascondere all’opinione pubblica
internazionale un crimine spaventoso anche grazie all’insospettabile
complicità di intellettuali prestigiosi. Persino il più famoso
accusatore degli orrori del regime staliniano, il premio Nobel russo
Aleksandr Solženicyn, aveva negato che gli ucraini fossero stati
vittime di un genocidio, sostenendo che le loro rivendicazioni
rappresentavano un atto di revisionismo storico. La congiura del
silenzio era proseguita anche con la “destalinizzazione” poiché
Chrušcëv, nell’elencare i crimini di Stalin, si limitò a denunciare le
purghe all’interno del partito comunista e non fece menzione del
dramma ucraino. Rendere di dominio pubblico la pagina più nera del
comunismo sovietico avrebbe seriamente rischiato di compromettere il
mito dell’Urss in Occidente. A lungo occultate per interessi
politico-nazionali, le dimensioni e le cause di quella gigantesca
ecatombe rimasero quindi confuse nei meandri della tragica storia del
XX secolo almeno fino al 1991. La verità su quegli anni iniziò a
emergere solo con la dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina e
l’apertura degli archivi sovietici, con la conseguente scoperta dei
documenti celati per oltre mezzo secolo dalle autorità di Mosca. Nel
2003 le Nazioni Unite hanno riconosciuto in una dichiarazione congiunta
che l’Holodomor uccise tra i sette e i dieci milioni di persone, ma
la strenua opposizione della Russia ha finora impedito di riconoscerlo
in via ufficiale come genocidio.
Non può quindi sorprendere che il grande cinema internazionale non si
fosse finora interessato a quell’immane tragedia che rappresenta il
simbolo doloroso dell’identità nazionale ucraina ed è ancora oggi alla
radice del risentimento di Kiev nei confronti di Mosca. A colmare
finalmente questa lacuna, raccontando per la prima volta la terribile
carestia che si verificò tra il 1929 e il 1933, è il film Bitter harvest
del regista canadese di origini ucraine George Mendeluk. I due temi
centrali attraverso i quali lo sceneggiatore Richard Bachyncky
ha cercato di denunciare l’Holodomor sono l’amore e il potere
dell’arte, intesa come tentativo di risvegliare le coscienze. La trama
poggia principalmente sulla storia d’amore tra il giovane artista Yuri
(interpretato da Max Irons) e Natalka (Samantha Barks), le cui vite
finiscono ben presto travolte dal furore staliniano e dalla
collettivizzazione dei terreni agricoli che priva i contadini di ogni
mezzo di sostentamento, con le truppe
bolsceviche che reprimono senza pietà qualsiasi tentativo di
ribellione. Uscito alcuni mesi fa negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna, il film non ha raccolto grandi consensi da parte della
critica, che non ha apprezzato i suoi toni eccessivamente melodrammatici
e didascalici. Eppure Bitter harvest
– che arriverà nelle sale italiane entro la fine dell’anno – ha tutte
le carte in regola per ottenere quel successo che sarebbe auspicabile
per far conoscere al mondo un genocidio la cui portata storica è
senz’altro paragonabile a quella del Metz Yeghern, il genocidio armeno.
A partire da un cast importante nel quale, oltre ai citati Irons e
Barks, figurano anche Terence Stamp, Barry Pepper, Richard Brake e
Aneurin Barnard. Da segnalare anche una
scenografia suggestiva, capace di far entrare lo spettatore in
un’Ucraina quasi fiabesca che fa da contraltare alla tragedia che sta
per abbattersi sulla regione. Non manca inoltre un opportuno tributo a
un personaggio che ha avuto un ruolo fondamentale nel far conoscere
quella storia, prima di essere dimenticato. In un passaggio del film,
su un treno diretto a Kiev, il protagonista incontra infatti Gareth
Jones, il giovane reporter gallese che per primo documentò le
dimensioni della carestia, individuandone le cause nelle politiche
criminali del regime di Mosca. Screditato e denigrato dai colleghi
più anziani e potenti, Jones fu infine ritrovato ucciso qualche anno
dopo in circostanze misteriose, con ogni probabilità per mano del
Nkvd, la polizia segreta di Mosca. Un’altra scena del film mostra Stalin
che eloquentemente si domanda, «come farà il mondo a sapere quello
che sta accadendo?». Il dittatore non si sbagliava: all’epoca, nel 1933,
gli allarmanti resoconti sulla carestia ucraina ebbero un po’ di spazio
sulla stampa britannica ma furono invece ignorati del tutto negli
Stati Uniti, e quello stesso anno Washington riconobbe ufficialmente l’Unione Sovietica.
Oggi, a oltre ottant’anni di distanza, esiste tra gli storici un
consenso pressoché diffuso sulle cause e i contorni di quel dramma. Non
vi sono dubbi sul fatto che fu un genocidio sociale, ovvero un
tentativo di sterminare buona parte del mondo contadino sovietico,
quindi non soltanto ucraini ma anche russi. Ma per molti studiosi di
spicco – tra cui lo storico italiano Ettore Cinnella – vi fu anche il
tentativo, da parte di Stalin, di distruggere il carattere nazionale del
popolo ucraino attraverso le persecuzioni antireligiose, la
sconsacrazione e la distruzione delle chiese, nonché la lotta allo
scampanio che rappresentava l’identità dei villaggi, come si vede anche
nel film di Mendeluk. Sia il mondo contadino ucraino che
l’intellighenzia del paese furono colpiti per cercare di cancellare la
loro memoria storica, a cominciare dai maestri di scuola e dalla chiesa
autocefala che era allora indipendente da Mosca. Bitter harvest
è dedicato a tutte le vittime di quella tragedia ma contrariamente a
ciò che si potrebbe pensare, non è stato spinto in alcun modo dal
governo ucraino.
La
realizzazione del film è stata possibile solo grazie ai cospicui
finanziamenti offerti da Ian Ihnatowycz, un magnate canadese con
antenati ucraini che ha voluto a tutti i costi impegnarsi per far
conoscere l’Holodomor al mondo occidentale.