martedì 30 gennaio 2007

Solo lo stupore conosce: primo appuntamento con... la letteratura europea moderna

Un giorno Alberto Moravia rispose ad un amico che gli chiedeva: ”Perché scrivi?” - “Per sapere perchè scrivo!”… Mah!?!
Il prof. Enzo Arnone, docente di letteratura contemporanea a Torino, ha spiegato questa curiosa risposta a più di 250 persone fra studenti e docenti delle scuole superiori e universitari, convenuti in gran numero nell’Aula Magna della Facoltà di Giurisprudenza al primo appuntamento del ciclo di incontri “Solo lo stupore conosce”. Titolo: “La metamorfosi del Romanzo tra Ottocento e Novecento” .
Il professore ci ha introdotti al cambiamento delle forme e della struttura di questo particolare genere letterario citando numerosi scrittori: dal classico Alessandro Manzoni (I Promessi Sposi) a Fedor Dostoevskij (I fratelli Karamazov) a Oscar Wilde (Il ritratto di Dorian Grey), passando per Marcel Proust (Alla ricerca del tempo perduto), citando G. Flaubert, soffermandosi su J. Joyce (Ulisse), F. Kafka (Il processo) e infine I. Svevo (La coscienza di Zeno).

Ma qual è il punto di svolta? In cosa consiste questa metamorfosi?
La dissoluzione della struttura tradizionale del romanzo corrisponde ad una mutata coscienza di sé da parte dell’artista, del significato del mondo e del significato dell’esistenza.
“Il romanzo dell’800 è denotativo, si costituisce attorno ad una precisa definizione della realtà, espressa esaurientemente. L’autore intrattiene con la sua opera un rapporto consapevole delle strutture del mondo, del ruolo degli eventi e ne offre la sua personale interpretazione. Il romanziere si comporta come il proprietario che va in giro a perlustrare la sua tenuta, a inventariare, a dettagliare, a prendere atto del mondo che gli appartiene magari svelandone le contraddizioni. Il romanzo, quindi, è l’offerta di un sapere già posseduto, già conosciuto.
Ad un certo punto in una parte lontana dell’Europa, la Russia, questo sereno rapporto tra romanziere e romanzo si incrina e l’opera d’arte si ribella al suo creatore. Il primo a farne esperienza è Dostoevskij. Il romanzo diventa allusivo, non è esaurito da ciò che dice, bensì nasconde, sotto la superficie del linguaggio, un contenuto inesplorato. Vuole dirci ciò che il mondo nasconde e ciò che si cela negli aspetti più segreti e più profondi della personalità umana: le sue angosce, le sue paure, il suo bisogno di vita che, per affermarsi, deve fare i conti con le misteriose e infinite irradiazioni di significati che provengono dalle cose. E’ il presentimento che l’essere umano è definito da una potenzialità senza fine, che è un’apertura all’infinito. C’è una domanda forte. Di senso. Lo scrittore non spiega più la realtà al lettore, ma con lui ne ricerca il senso”.
A questa fase della letteratura ne subentrerà un’altra: quella della risalita dell’uomo da questa estraneità rispetto a se stesso e al mondo portata avanti dal romanzo neorealista.
Ma noi ci fermiamo qui… con dentro la certezza che aveva Ludwig Wittgenstein nel dire: "A cosa servono i libri, se non per rimandarci con più gusto alla vita?”

Paola Lepore