sabato 9 gennaio 2016

Lettera di Naima

La lettera di Naima
Mio Dio, ricordaci ancora una volta che siamo tutti fratelli

Ho 18 anni, frequento un liceo in provincia di Milano, nella stessa città dove sono nata e cresciuta.
Sono una ragazza musulmana.
Venerdi 13 novembre, l’attacco terroristico a Parigi rivendicato dall'Isis ha scosso molte persone per varie cause: per la brutalità dell’atto, perché è stata colpita quella che da tutto il mondo è considerata la città simbolo d’Europa, per la vicinanza fisica e ideologica al mondo occidentale. È crudele che siano morte persone innocenti e ignare, ma era prevedibile, seppur triste, che una forza armata e in preda al delirio come l’Isis mettesse in atto altra violenza contro un Paese che rifiuta di rinunciare alle proprie libertà.


La cosa che però più ha turbato me è stata la reazione che il popolo ha avuto, l’improvvisa ondata di rabbia e, in alcuni casi, di odio riversata su cittadini extracomunitari e musulmani. Soffro perché tanti non si accorgono che ciò che gli integralisti dell’islam desiderano sta accadendo. Siamo spaventati, diffidenti, divisi, privati delle nostre libertà: quelli che chiamiamo jihadisti ci impediscono di giudicare da noi ciò che ci sta intorno, utilizzando il filtro del terrore che ci hanno imposto. Soprattutto ci inducono ad etichettare il prossimo e ad averne paura, rendendoci deboli, poiché l’unione fa la forza, ma un popolo dilaniato dall’interno non ha nessun potere. Così il vicino, la donna delle pulizie, il ristoratore e l’autista diventano nemici, ci distraiamo nel tentar di mantenere alta la guardia contro colui che da sempre ci è stato a fianco, si è nutrito alla nostra stessa tavola, ha lavorato e dato fiducia allo stesso Paese al quale l’abbiamo data noi, e ancora una volta scordiamo che coloro che ci vogliono male sono fin troppo furbi e lontani per risentire della rabbia che cerchiamo di comunicare loro.
Basta così poco per saper qualcosa in più sul vero islam, e per liberarsi dallo stereotipo e dalle idee di altri: una parola scambiata con un conoscente musulmano, con il “kebabbaro”, con il pizzaiolo, con la domestica…

Io non mi sento italiana, e non mi sento marocchina, ma mi sento umana. Sento di poter amare anche colui che mi crede una minaccia, e non sento rancore, poiché conosco la paura. Tutti abbiamo paura e coloro che la fomentano attraverso l’ignoranza e parole vuote la conoscono anche più di me, ma io rifiuto di smettere di vivere per questo. Non voglio arrendermi al pessimismo, non voglio essere ciò che chi non conosce l’islam si aspetta, bollando i musulmani come persone incattivite e malvagie. Voglio essere me stessa senza che nessuno mi giudichi solo perché chiamo Dio Allah, solo perché prima di mangiare invoco il nome di Dio invece che dire un Padre Nostro, solo perché il segno di pace non lo faccio solo a messa ma lo faccio ogni volta che saluto un fratello musulmano dicendogli : salam aleykom, pace su di te.
I miei amici sono cristiani, atei, agnostici e musulmani, ma prima di tutto sono amici e fratelli. Il terrorismo non vince, poichè noi siamo i primi a dimostrare che il loro “terrore” non ha attecchito in Italia. Ma noi non bastiamo, perché seppur forti siamo pochi. Allora io prego Allah, e chiedo a tutti di resistere con noi alla politica della diffidenza, chiedo di aprire gli occhi e il cuore ed amare così come insegna la religione di tutti e la Costituzione, senza distinzioni di sesso, razza, età e religione.
Io ho fede, Dio è con me e con tutti noi, non siamo soli.

Naima