San Giuseppe, il lavoro costruisce l’anima
Giuseppe era falegname, ma imparò da Maria una cura per il
lavoro altrimenti sconosciuta. Il lavoro ci aiuta a scoprire l’utilità del
vivere
Simone Riva Pubblicato 1 Maggio 2025
La giornata iniziava molto presto. Giuseppe usciva di casa,
senza fare rumore, alle prime luci dell’alba, quando il caldo non mostrava
ancora tutta la sua irruenza, per raggiungere la bottega. Analizzando il
termine che usano gli evangelisti per descrivere il suo lavoro, “carpentiere”,
possiamo ipotizzare che facesse parte di un gruppo di operai dediti alle
costruzioni commerciali, ben retribuiti e con la possibilità di mantenere la
famiglia.
Di giorno si dedicava al lavoro che gli veniva chiesto,
mentre alla sera, quando la stanchezza glielo consentiva, si dilettava nel
creare qualcosa di nuovo, di diverso dal solito, di più bello del solito. Aveva
iniziato a dedicare del tempo all’inventiva, e non solo all’esecuzione,
guardando il modo con cui Maria faceva le solite cose di tutti i giorni.
Erano sempre le solite cose, le noiose cose di ogni casa,
eppure le faceva come se ogni giorno fosse la prima volta. Per esempio al
mattino, quando lui si alzava, Maria era già al lavoro da tempo per preparare
il pranzo che lui avrebbe portato con sé per affrontare la giornata. Non
passava giorno che i suoi amici non si accorgessero della bellezza e del
profumo del suo pasto. E lui, stupito, non poteva abituarsi a quella cura di
sua moglie, tanto che, nel tempo, divenne anche la sua cura nel fare tutte le cose.
Imparò a lavorare gustando il suo pasto ogni giorno. Come
scrive Jan Dobraczyński nel suo romanzo L’ombra del Padre: “Il lavoro delle sue
mani era preghiera. Ogni colpo d’ascia, ogni truciolo che cadeva, era offerto
in silenzio. Così Giuseppe costruiva non solo mobili, ma anche la sua anima”.
Già, perché se il lavoro non ci aiuta a costruire l’anima, a
scoprire l’utilità del vivere, a rivelare il motivo del nostro esistere,
diventerà il disperato tentativo di affermare noi stessi e i nostri diritti,
corrompendo persino lo strumento che il Creatore ha messo nelle nostre mani per
collaborare alla Sua opera, corresponsabili della creazione.
Don Giussani, spiazzando come sempre, in Si può vivere così?
spiega il termine “corresponsabilità”, spesso sbandierato di qua e di là, in
modo commovente: “Corresponsabilità, responsabilità cosciente, risposta
cosciente alla morte di Cristo: ‘Tu, Cristo, muori per me. Io aderisco a te nel
tuo morire’. Come? Attraverso i sacrifici che mi fa fare. ‘La mia vita accetta
i sacrifici che mi fai compiere come adesione alla tua morte’. Per questo si
chiama anche offerta: offerta a Cristo del proprio vivere, come partecipazione
alla sua morte. Allora, anche il mio sacrificio di alzarmi al mattino, di
tollerare mio padre, mia madre, mia moglie, mio marito, i figli… anche quello,
diventa bene”.
La bottega di Giuseppe vedrà presto il giovane figlio
imparare il mestiere del padre. Quel ragazzo, che aveva addosso una
misteriosità indecifrabile, deve imparare come tutti, vuole imparare come
tutti. Una vita famigliare con il legno, dalla mangiatoia alla croce, passando
attraverso l’arte di saperlo lavorare. Il Figlio di Dio, non a caso, ha voluto
essere riconosciuto come il figlio del carpentiere: “Non è egli forse il figlio
del carpentiere?” (Mt 13, 55).
(…) https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2025/5/1/san-giuseppe-il-lavoro-costruisce-lanima/2829233/#:~:text=LAVORO-,San%20Giuseppe%2C%20il%20lavoro%20costruisce%20l%E2%80%99anima,attimo%2C%20il%20tocco%20delle%20nostre%20mani.%20Torniamo%20a%20guardarle%20con%20stupore.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94