mercoledì 13 agosto 2014

Corea: il Papa nella terra dei martiri

Corea, il Papa nella terra dei martiri
 

Papa Francesco è partito alle 16.10 dall'aeroporto di Fiumicino con destinazione Seul. A bordo dell'aereo ha portato solo la consueta valigetta di pelle nera. Bergoglio, sorridente, è stato accolto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, con il quale si è intrattenuto cordialmente per un paio di minuti. Nel suo viaggio il Pontefice è accompagnato dal segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin. L'arrivo all'aeroporto militare di Seul è previsto domani, giovedì, alle 10.30 ora locale.

Il programma
I santuari coreani hanno nomi evocativi. Solmoe, 'la collina dei pini', a motivo della vegetazione. Mirinae, 'via lattea', perché di notte le luci delle case che vi sorgevano accanto sembravano tante stelle. Ma al di là delle belle parole, la storia che raccontano fa venire i brividi. Torture efferate, decapitazioni, annegamenti, a volte persino la sepoltura di persone vive. Una storia di persecuzione e di martirio dei cristiani, che trova un fulgido esempio in Paul Yun Ji-Chung e nei suoi 123 compagni (la loro beatificazione è in programma sabato a Seul) e che il Pontefice ripercorrerà, toccando molti luoghi simbolo della estrema testimonianza di fede dei coreani.

Il terzo viaggio internazionale di Francesco inizia oggi alle 16 con la partenza dall’aeroporto di Fiumicino. In un tweet il Papa ha rivolto ai fedeli di tutto il mondo una richiesta: "Nel giorno della mia partenza, vi invito ad unirvi a me in preghiera per la Corea e l’Asia tutta". Ancora un altro gesto consueto, quasi un appuntamento fisso prima e dopo ogni viaggio: l'omaggio alla Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore. L'ultima visita, in forma privata, è stata il 27 maggio al rientro dalla Terra Santa e quella di oggi sarà la decima dalla sua elezione al Soglio di Pietro.
Il Papa atterrerà a Seul quando in Italia saranno le 3.30 del mattino, c’è la visita a tre santuari (Solmoe, Haemi e Seo So-mun) e a uno dei luoghi di condanna (la porta di Gwanghwanum, dove si svolgerà la beatificazione), oltre che al castello di Haemi dove avvenivano le esecuzioni. Un viaggio nella memoria, dunque. Ma non solo. Perché la vicenda dei martiri ha una straordinaria attualità.

La Chiesa coreana ne è una dimostrazione. Fondata nel 1784 da un gruppo di giovani laici e senza l’apporto di missionari stranieri (caso unico nella storia), la piccola comunità ecclesiale ha subito grandi tribolazioni, ma oggi è la comunità cattolica a più alto tasso di crescita in Asia. Alla fine del XVIII secolo entrò subito in rotta di collisione con la cultura confuciana, poiché per molti versi era agli antipodi. Soprattutto, però, i cristiani furono accusati di attentare alla stabilità e alla sicurezza dello Stato perché, considerando tutti gli uomini uguali e fratelli, mettevano in crisi la stratificazione classista della società.

Paul Yun Ji-Chung fu martirizzato, con suo cugino, per aver violato i rituali confuciani organizzando funerali cattolici per sua madre. Molti altri trovarono la morte per aver rifiutato il culto degli antenati, proprio del confucianesimo. La beatificazione torna, dunque, a rendere omaggio al sacrificio di quanti non ebbero paura di pagare con la vita il rifiuto di abiurare la fede. Non è la prima volta che la Chiesa coreana celebra la beatificazione di alcuni suoi martiri. È già accaduto nel 1925 (79 persone) e nel 1968 (24). Questi 103 martiri furono poi canonizzati da Giovanni Paolo II a Seul durante il suo primo viaggio in Corea. La differenza è che i 124 nuovi beati appartengono alla primissima generazione di cattolici coreani, quelli che trovarono la morte all’inizio del XIX secolo. Sono in alcuni casi i nonni e i trisavoli dei già santi. Nella famiglia di Andrea Kim Daegeon, primo sacerdote coreano,
ucciso nel 1846 e canonizzato nel 1984, si contano almeno altre tre martiri. Il bisnonno Pio Kim Jinhu, che fa parte del gruppo dei prossimi beati, lo zio di suo padre Andrew Kim Jong-han, e lo stesso padre, Ignatius Kim Je-Jun.

Le persecuzioni principali furono quattro - 1801, 1839, 1846 e 1866 e secondo alcune stime causarono la morte di oltre 10mila cattolici. Morte che quasi sempre arrivava al termine di torture da lager nazista. Al santuario di Mirinae, figure a grandezza naturale ricostruiscono questa galleria degli orrori che comprendeva percosse sulla schiena con mazze di legno, ferite inferte agli arti inferiori con corde strofinate sulla pelle, lunghe ore di agonia in pesanti gogne.

Nel castello di Haemi (che il Papa visiterà il 17 agosto, celebrandovi la Messa), è ancora visibile un grande albero al quale i prigionieri venivano appesi per i capelli, prima di essere uccisi, in modo che i loro compagni, dalle celle della vicina prigione, potessero assistere alla dolorosa agonia. In un secondo momento i condannati venivano decapitati o portati sugli spalti e buttati in un canale che lambiva la fortezza con una pietra legata ai piedi.

Sabato prossimo Francesco, prima di celebrare la Messa davanti al luogo simbolo del potere dell’antica dinastia Chosun, responsabile delle persecuzioni, compirà a ritroso la strada che i martiri della capitale percorrevano prima dell’esecuzione. Dal santuario di Seo So-mun, dove trovarono la morte 27 dei 124 nuovi beati, e dove si fermerà brevemente in preghiera, si recherà nel cuore della capitale. Due secoli dopo, quella strada di dolore e di morte diventerà un percorso festoso.