domenica 10 agosto 2014

La guerra in Irak e il giudizio della Chiesa locale

«Una nuova guerra significa nuova distruzione. Bombarderanno case, strade, infrastrutture. L’Isis non si farà trovare tanto facilmente». Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre una fonte irachena che per motivi di sicurezza preferisce mantenere l’anonimato.


Al telefono da Erbil, la fonte racconta ad ACS come è stato accolto nel capoluogo del Kurdistan iracheno il discorso di ieri notte in cui il presidente Barack Obama autorizzava raid Usa contro lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). In realtà secondo la fonte «un attacco aereo da parte dell’aeronautica statunitense e turca potrebbe essere avvenuto già questa notte, dal momento che tutti i voli notturni in partenza dall’aeroporto internazionale di Erbil sono stati cancellati».
Secondo la fonte ACS, in seguito alla conquista da parte di Isis della Piana delle Ninive, decine di migliaia cristiani sono fuggiti a Duhok e ad Erbil, nel Kurdistan iracheno. «Quanti vivevano tra Alqosh e Tall Kayf si sono diretti a Duhok, mentre chi si trovava nei villaggi tra Qaraqosh e Bashiqa è venuto ad Erbil». Nel capoluogo del Kurdistan la Chiesa accoglie i rifugiati nella cattedrale caldea di San Giuseppe, nel quartiere cristiano di Ankawa, e nelle altre chiese della città. «La Chiesa fa tutto il possibile, ma le risorse non sono sufficienti ad aiutare tante persone – tra cui anche donne e bambini – che hanno dovuto lasciare tutto: le loro case, i loro averi, le loro storie».




Migliaia di persone hanno abbandonato rapidamente le proprie abitazioni senza avere il tempo di portar nulla con sé. Molti sono arrivati ad Erbil a piedi ed in pigiama. Con i rifugiati sono giunte anche tante tragiche storie: a Qaraqosh una donna è stata uccisa assieme a sua madre ed ai suoi due bambini, mentre a Tall Keyf un giovane è morto in seguito ad un bombardamento. Accanto al loro dramma vi è la sofferenza e la paura dei 100mila cristiani che vivevano già in Kurdistan, principalmente nelle città di Erbil, Duhok, Zahko, Sulaymaniyah e Amadiya. Secondo la fonte ACS la percentuale che possa verificarsi un attacco nella regione autonoma è piuttosto bassa, «perché la zona è ben protetta militarmente e l’Isis non ha possibilità di penetrare». Tuttavia, i cristiani del Kurdistan sono terrorizzati a causa di quanto accaduto ai loro fratelli nella fede e temono per il futuro del loro paese. «Molte famiglie sono qui da decine di anni e nessuno pensava ad emigrare prima di questi ultimi avvenimenti». A differenza di altre aree dell’Iraq, in Kurdistan i cristiani godevano di una certa tranquillità e avevano un discreto tenore di vita. «In molti possiedono abbastanza denaro e hanno l’opportunità di partire e probabilmente lo faranno perché sono stanchi di soffrire. Pensano all’avvenire dei propri figli e sanno dai loro parenti emigrati che all’estero potranno trovare finalmente serenità».


«L’attuale situazione e l’eventualità di una nuova guerra rischiano di cancellare definitivamente la presenza cristiana in Iraq. Un attacco significherà dover attendere altri dieci anni per un futuro migliore. Resteranno soltanto rovine e per ricostruire serviranno tempo e fatica. Gli iracheni sono stanchi e si chiedono se non sia meglio aspettare tempi migliori in un altro paese».