Secondo la fonte ACS, in seguito alla conquista da parte di Isis della Piana delle Ninive, decine di migliaia cristiani sono fuggiti a Duhok e ad Erbil, nel Kurdistan iracheno. «Quanti vivevano tra Alqosh e Tall Kayf si sono diretti a Duhok, mentre chi si trovava nei villaggi tra Qaraqosh e Bashiqa è venuto ad Erbil». Nel capoluogo del Kurdistan la Chiesa accoglie i rifugiati nella cattedrale caldea di San Giuseppe, nel quartiere cristiano di Ankawa, e nelle altre chiese della città. «La Chiesa fa tutto il possibile, ma le risorse non sono sufficienti ad aiutare tante persone – tra cui anche donne e bambini – che hanno dovuto lasciare tutto: le loro case, i loro averi, le loro storie».
Migliaia di persone hanno abbandonato rapidamente le proprie abitazioni senza avere il tempo di portar nulla con sé. Molti sono arrivati ad Erbil a piedi ed in pigiama. Con i rifugiati sono giunte anche tante tragiche storie: a Qaraqosh una donna è stata uccisa assieme a sua madre ed ai suoi due bambini, mentre a Tall Keyf un giovane è morto in seguito ad un bombardamento. Accanto al loro dramma vi è la sofferenza e la paura dei 100mila cristiani che vivevano già in Kurdistan, principalmente nelle città di Erbil, Duhok, Zahko, Sulaymaniyah e Amadiya. Secondo la fonte ACS la percentuale che possa verificarsi un attacco nella regione autonoma è piuttosto bassa, «perché la zona è ben protetta militarmente e l’Isis non ha possibilità di penetrare». Tuttavia, i cristiani del Kurdistan sono terrorizzati a causa di quanto accaduto ai loro fratelli nella fede e temono per il futuro del loro paese. «Molte famiglie sono qui da decine di anni e nessuno pensava ad emigrare prima di questi ultimi avvenimenti». A differenza di altre aree dell’Iraq, in Kurdistan i cristiani godevano di una certa tranquillità e avevano un discreto tenore di vita. «In molti possiedono abbastanza denaro e hanno l’opportunità di partire e probabilmente lo faranno perché sono stanchi di soffrire. Pensano all’avvenire dei propri figli e sanno dai loro parenti emigrati che all’estero potranno trovare finalmente serenità».
«L’attuale situazione e l’eventualità di una nuova guerra rischiano di cancellare definitivamente la presenza cristiana in Iraq. Un attacco significherà dover attendere altri dieci anni per un futuro migliore. Resteranno soltanto rovine e per ricostruire serviranno tempo e fatica. Gli iracheni sono stanchi e si chiedono se non sia meglio aspettare tempi migliori in un altro paese».