Pellegrinaggio Czestochowa 2014
Messaggio di Julián Carrón
Cari amici, questo è il dramma
dell’uomo: desiderare qualcosa che non si può dare da sé, perché il nostro
bisogno è incommensurabile a tutto ciò che possiamo fare o generare con le
nostre forze. Quale sia il nostro bisogno non lo decidiamo noi, ma ce lo troviamo
addosso come esperienza di una «sproporzione strutturale» − dice don Giussani −
che ci rende desiderio di infinito, di totalità. Possiamo avere più o meno
coscienza che questa è la questione, ma è impossibile che il desiderio
della totalità non sia presente in tutto quello che facciamo. Per questo
diciamo con Cesare Pavese che «ciò che un uomo cerca nei piaceri è un infinito,
e nessuno rinuncerebbe mai alla speranza di conseguire questa infinità» (Il
mestiere di vivere).
Se con tutto quello che generiamo
e facciamo non siamo in grado di rispondere, l’unica possibilità è che la
risposta venga da fuori di noi. Senza aprirsi a qualcosa d’altro l’uomo non può
compiersi. Ma come può
avvenire questa apertura, se tante volte si pensa di perdere se stessi aprendosi a un altro? Solo sperimentando un’attrattiva tale (pensiamo nell’amore) che riesce ad aprire il proprio “fortino”; solo se l’attrattiva di una presenza è così potente da vincere la tentazione di chiuderci nel nostro cerchio, l’uomo potrà aprirsi. Per questo il Mistero è entrato nella storia, ponendosi con un’attrattiva tale da rendere possibile all’uomo il rapporto con una presenza, che lo apre – diciamo −, che lo disarma dallo stare sulle barricate, sulla difensiva, per aprirsi a qualcosa che lo compie.
avvenire questa apertura, se tante volte si pensa di perdere se stessi aprendosi a un altro? Solo sperimentando un’attrattiva tale (pensiamo nell’amore) che riesce ad aprire il proprio “fortino”; solo se l’attrattiva di una presenza è così potente da vincere la tentazione di chiuderci nel nostro cerchio, l’uomo potrà aprirsi. Per questo il Mistero è entrato nella storia, ponendosi con un’attrattiva tale da rendere possibile all’uomo il rapporto con una presenza, che lo apre – diciamo −, che lo disarma dallo stare sulle barricate, sulla difensiva, per aprirsi a qualcosa che lo compie.
Noi andiamo a Czestochowa a
chiedere che questa Presenza sia talmente reale nella nostra vita che ci
consenta di aprirci alla sua attrattiva. Perché è inevitabile che ciascuno, se
non trova questo Altro, cercherà di compiere la propria vita con il suo fare,
dal momento che il desiderio permane comunque, come gigante «in solitario
campo» (G. Leopardi, «Il pensiero dominante»). Tutta la pretesa di Gesù è
questa – non nel senso che voglia imporre qualcosa, ma perché porta una
promessa –: soltanto se l’uomo lascia entrare nella propria vita la Sua
presenza, si può compiere. Ma chi è disponibile a questo? Come vediamo nel
Vangelo, davanti a una simile pretesa sono sorte tante resistenze, al punto
tale che quasi tutti l’hanno rifiutato. Ci vuole un amore per riconoscerlo, è
un problema di affezione. Il problema della vita non è la riuscita, ma è un
amore; capire bene questo dall’interno della propria esperienza è cruciale.
Il pellegrinaggio è un momento
privilegiato perché, per la dinamica stessa del gesto, per la stanchezza, per
lo sforzo, per la durezza del cammino, ciascuno si rende più facilmente conto
della natura del proprio bisogno, è facilitato a prendere consapevolezza di sé,
e quindi a domandare qualcosa d’Altro.
«La vita è mia,
irriducibilmente mia» («Movimento, “regola” di libertà», 1978), diceva don
Giussani, e niente è così serio come la vita, perché è in gioco la felicità,
cioè la ragione del vivere. Andare a Czestochowa per chiedere questa
consapevolezza che ci è stata data fin dal primo momento in cui abbiamo avuto
un’esperienza seria del vivere, per cui ci siamo trovati addosso un desiderio
di essere felici, domandare che non venga meno questo desiderio, è la cosa che
urge di più.
Vi domando di camminare verso
la Madonna di Czestochowa aggiungendo a tutte le vostre intenzioni questa: che
il movimento di Comunione e Liberazione, nel sessantesimo del suo inizio,
rimanga fedele al carisma ricevuto, perché noi abbiamo visto con i nostri occhi
la fecondità del carisma, l’abbiamo visto incarnato in don Giussani, che ci ha
affascinato tutti.
Potremo dare
il contributo a cui papa Francesco ci chiama – portare Cristo nelle periferie
dell’esistenza, nei luoghi in cui si svolge la vita di tutti – solo se noi per
primi siamo testimoni del carisma ora, di un cristianesimo vissuto con questa
attrattiva.