L’avanzata dell’Is e le ragioni del dialogo
Il Califfato si batte isolando i complici
Andrea Lavazza
8 ottobre 2014
Allo
sguardo di un osservatore superficiale, c’è qualcosa di profondamente
misterioso nei successi militari dello Stato islamico (Is). I miliziani
fondamentalisti, quasi spuntati dal nulla, in pochi mesi hanno
sbaragliato l’esercito iracheno, sono avanzati in Siria, hanno poi retto
ai bombardamenti di una coalizione capitanata dagli Stati Uniti e
comprendente una decina di Paesi, per proseguire quindi nella loro
conquista non impensieriti dai peshmerga curdi armati dall’Occidente.
Come hanno potuto farlo? Ovviamente, di misterioso vi è in realtà assai
poco, come d’altra parte si è resa evidente la loro fanatica crudeltà
con le decapitazioni di ostaggi inermi.
Quanto ai loro successi militari – oltre che mediatici, testimoniati dal reclutamento di giovani musulmani nelle città europee e americane –, è stato detto che il vicepresidente Usa negli ultimi giorni abbia ribadito verità lapalissiane sotto forma di gaffes internazionali. Joe Biden ha infatti riferito di presunte ammissioni del presidente turco Erdogan sulla porosità delle frontiere di Ankara ai membri del Califfato e ha imputato ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi di avere sostenuto attivamente tutte le formazioni che combattono il regime di Assad. Di fronte alle proteste degli interessati, sono arrivate pronte smentite. Senza voler pensare a un gioco delle parti alla Casa Bianca, le responsabilità passate sono ormai piuttosto chiare.
Quello che deve preoccupare sono invece le inerzie attuali. Perché le adesioni al blocco anti-Is non hanno per ora portato sul campo ai risultati che ragionevolmente ci si poteva attendere. Gli uomini del Califfato hanno alzato la propria sinistra bandiera nella città di Kobane, al confine con la Turchia, e ieri in Siria miliziani jihadisti hanno sequestrato un gruppo di cristiani con il loro parroco, un francescano della Custodia di Terra Santa. Una stima recente del dipartimento del Tesoro americano ha definito l’Is «il gruppo meglio finanziato che si sia mai visto», capace di incassare un milione di dollari al giorno.
E gli introiti dell’organizzazione arrivano principalmente attraverso il contrabbando del petrolio: operazioni che coinvolgono milioni di barili provenienti dalle raffinerie nel nord dell’Iraq e della Siria. Non manciate di diamanti che possono stare in qualche tasca interna ben nascosta, ma decine o centinaia di mezzi impossibili da mimetizzare che portano il greggio ad acquirenti ormai ben consapevoli di che cosa acquistano e da chi lo acquistano. Ma gli esperti dell’intelligence statunitense affermano con certezza che il Califfato riceve anche consistenti donazioni da facoltosi simpatizzanti di Qatar e Kuwait, tra gli altri. Quando si dice che i bombardamenti non fermeranno né tantomeno elimineranno lo Stato islamico ci si limita allora a una doppia constatazione. La prima è militare.
Dopo i primi giorni, in cui i principali bersagli scoperti sono stati distrutti – rallentando la pulizia etnico-religiosa a danno di cristiani e yazidi –, i raid aerei ben poco possono contro piccoli nuclei di combattenti spesso acquartierati in centri urbani. La seconda, più importante, è politica. Finché i sunniti – Stati ma anche singole personalità – non cesseranno di flirtare con un un gruppo radicale con cui hanno affinità religiose e che serve i loro interessi anti-sciiti, anti-siriani e anti-iraniani, sarà molto, molto difficile ottenere una vittoria bellica. Affidarsi soltanto alla potenza americana, divisa tra la necessità di non inimicarsi troppo il blocco sunnita e il rischio di favorire eccessivamente il "nemico" di Teheran, non porterà che temporanei benefici, spesso seguiti da pesanti contraccolpi.
Il Concistoro sul Medio Oriente, convocato per il 20 ottobre e dedicato alla minaccia del terrorismo e alle persecuzioni contro i cristiani a opera degli estremisti, è invece un ulteriore passo di quel dialogo nella fermezza che il Papa e la diplomazia vaticana stanno cercando di perseguire. Non si tratta con il califfo, ma si può e si deve discutere urgentemente e pubblicamente con il mondo musulmano, per realizzare una convergenza sulla tolleranza e il rispetto dell’uomo radicata nella retta interpretazione del messaggio religioso, che mai può essere di sopraffazione e di morte.
Le piazze che cominciano a riempirsi di fedeli islamici contrari alla barbarie delle decapitazioni sono la principale speranza di asciugare il brodo di coltura in cui prospera il fondamentalismo violento. L’Is potrà essere soffocato solo da una progressivo isolamento, alimentato anche da opinioni pubbliche occidentali e orientali schierate senza ambiguità a favore della pacifica convivenza.
Quanto ai loro successi militari – oltre che mediatici, testimoniati dal reclutamento di giovani musulmani nelle città europee e americane –, è stato detto che il vicepresidente Usa negli ultimi giorni abbia ribadito verità lapalissiane sotto forma di gaffes internazionali. Joe Biden ha infatti riferito di presunte ammissioni del presidente turco Erdogan sulla porosità delle frontiere di Ankara ai membri del Califfato e ha imputato ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi di avere sostenuto attivamente tutte le formazioni che combattono il regime di Assad. Di fronte alle proteste degli interessati, sono arrivate pronte smentite. Senza voler pensare a un gioco delle parti alla Casa Bianca, le responsabilità passate sono ormai piuttosto chiare.
Quello che deve preoccupare sono invece le inerzie attuali. Perché le adesioni al blocco anti-Is non hanno per ora portato sul campo ai risultati che ragionevolmente ci si poteva attendere. Gli uomini del Califfato hanno alzato la propria sinistra bandiera nella città di Kobane, al confine con la Turchia, e ieri in Siria miliziani jihadisti hanno sequestrato un gruppo di cristiani con il loro parroco, un francescano della Custodia di Terra Santa. Una stima recente del dipartimento del Tesoro americano ha definito l’Is «il gruppo meglio finanziato che si sia mai visto», capace di incassare un milione di dollari al giorno.
E gli introiti dell’organizzazione arrivano principalmente attraverso il contrabbando del petrolio: operazioni che coinvolgono milioni di barili provenienti dalle raffinerie nel nord dell’Iraq e della Siria. Non manciate di diamanti che possono stare in qualche tasca interna ben nascosta, ma decine o centinaia di mezzi impossibili da mimetizzare che portano il greggio ad acquirenti ormai ben consapevoli di che cosa acquistano e da chi lo acquistano. Ma gli esperti dell’intelligence statunitense affermano con certezza che il Califfato riceve anche consistenti donazioni da facoltosi simpatizzanti di Qatar e Kuwait, tra gli altri. Quando si dice che i bombardamenti non fermeranno né tantomeno elimineranno lo Stato islamico ci si limita allora a una doppia constatazione. La prima è militare.
Dopo i primi giorni, in cui i principali bersagli scoperti sono stati distrutti – rallentando la pulizia etnico-religiosa a danno di cristiani e yazidi –, i raid aerei ben poco possono contro piccoli nuclei di combattenti spesso acquartierati in centri urbani. La seconda, più importante, è politica. Finché i sunniti – Stati ma anche singole personalità – non cesseranno di flirtare con un un gruppo radicale con cui hanno affinità religiose e che serve i loro interessi anti-sciiti, anti-siriani e anti-iraniani, sarà molto, molto difficile ottenere una vittoria bellica. Affidarsi soltanto alla potenza americana, divisa tra la necessità di non inimicarsi troppo il blocco sunnita e il rischio di favorire eccessivamente il "nemico" di Teheran, non porterà che temporanei benefici, spesso seguiti da pesanti contraccolpi.
Il Concistoro sul Medio Oriente, convocato per il 20 ottobre e dedicato alla minaccia del terrorismo e alle persecuzioni contro i cristiani a opera degli estremisti, è invece un ulteriore passo di quel dialogo nella fermezza che il Papa e la diplomazia vaticana stanno cercando di perseguire. Non si tratta con il califfo, ma si può e si deve discutere urgentemente e pubblicamente con il mondo musulmano, per realizzare una convergenza sulla tolleranza e il rispetto dell’uomo radicata nella retta interpretazione del messaggio religioso, che mai può essere di sopraffazione e di morte.
Le piazze che cominciano a riempirsi di fedeli islamici contrari alla barbarie delle decapitazioni sono la principale speranza di asciugare il brodo di coltura in cui prospera il fondamentalismo violento. L’Is potrà essere soffocato solo da una progressivo isolamento, alimentato anche da opinioni pubbliche occidentali e orientali schierate senza ambiguità a favore della pacifica convivenza.