ALLUVIONE LIVORNO/ La lettera di Comunione e Liberazione: “per chi si può morire?” (www.sussidiario.net)
Alluvione Livorno, la lettera della comunità di Comunione e
Liberazione dopo la tragedia tra il 9 e il 10 settembre. "Per chi si può
morire? Nel dramma una evidenza, siamo fatti per il bene"
13 settembre 2017
Redazione
Alluvione Livorno, "per chi si può morire?" (LaPresse)
Pubblichiamo la lettera che la
comunità di Comunione e Liberazione di Livorno ha inviato al sito
Clonline.org dopo la tragedia dell’alluvione tra sabato e domenica. “Nel
dramma una evidenza, siamo fatti per il bene”
Al di là di ogni all’erta meteo. Nessuno
poteva immaginare quello che è successo. Nel cuore della notte tra il 9 e
il 10 settembre si è abbattuta sulle nostre case una furia incredibile,
che ha causato il disastro che tante immagini televisive hanno
raccontato. Solo al mattino, dopo aver affrontato e risolto le nostre
urgenze, ci siamo resi conto di tutto. I soccorsi stavano lavorando già
da ore e affioravano qua e là tutte le devastazioni. E già molta gente
si era mobilitata per aiutare. Non era una generosità fine a se
stessa. Ho visto la gente muoversi per il bene dell’altro. Chi aveva
subìto danni e chi no, uno a fianco dell’altro a spalare, rimuovere le
auto, soccorrere le persone. L’abbiamo capito anche davanti
al sacrificio di chi ha dato la vita per la sua famiglia. Come quel
nonno che, mentre l’acqua saliva dentro casa, è riuscito a passare la
nipotina a un vicino. Poi l’acqua è salita ancora, fino al soffitto. E
lui è tornato là sotto, con il figlio, la nuora e un altro nipotino. È
rimasto imprigionato con loro. Quando uno dà la vita per un altro è
qualcosa che non possiamo ridurre solo a un affetto, neppure per
parentela. Poche ore prima, nel giardino di quella casa, avevano
festeggiato il compleanno del bambino. C’erano anche alcuni nostri amici
che erano stati alla vacanza della nostra comunità a Cervinia per la
prima volta, neppure un mese prima. Sono tornati a casa appena qualche
ora prima del disastro.
Al mattino, erano pieni di stupore,
sgomento e domande. Con loro a Cervinia si era parlato tanto del
“desiderio della salvezza”. Ora con forza abbiamo pregato: «Signore,
vieni a salvarci». Dalla morte di questi uomini, dal sacrificio e dalla
dedizione che ho visto in tanti è sorta in me e in altri proprio questa
consapevolezza: si può morire per amore di un altro, per il bene di un
altro. È una cosa inscritta in noi, dentro il nostro cuore: di fronte
all’imprevisto grave non ci sono pensieri o ragionamenti. La tua vita è
per l’altro. C’è qualcosa che spinge a dare la vita per un altro. Non ce
ne accorgiamo. Talvolta lo diciamo solo a parole, ma quando accade,
allora ci rendiamo conto che «siamo fatti per il bene». Questa
impercettibile consapevolezza, ridestata da questo fatto e dalla
circostanza drammatica, ha spinto me e tanti altri, a Livorno, a dare se
stessi. Nella serata di domenica l’ho visto, sotto l’acqua battente,
vicino a casa mia, quando sono andato per dare una mano: volontari,
uomini e donne di tutte le età, ragazzi che spalavano e portavano via
oggetti. Non dicevano niente. Non prevaleva nessuna polemica. Non c’era
una colpa da attribuire in quei momenti. Magari nei giorni successivi
saranno anche da ricercare le cause, le responsabilità. Ma in quel
momento così vero, l’unico sentimento di sé era descritto da un silenzio
irreale nel portare soccorso.
Livorno è solitamente una città ribelle,
chiassosa, urlona. Generosa e buona, ma istintiva. In quel momento c’era
qualcosa di strano che ha ricomposto tutti. Sguardi confusi, spesso
attoniti, alcuni rivolti al cielo: non era solo un caso o una colpa di
uomini. Sembravano occhi che supplicavano. I disastri più grandi si sono
verificati all’inizio della salita che porta al Santuario della Beata
Vergine delle Grazie di Montenero e nelle zone vicine. Avevo lo sguardo
rivolto alla Madonna, e certo molti altri accanto a me hanno fatto la
stessa cosa. Tutti di fronte a quella Madonna che in passato aveva
salvato Livorno da un terribile maremoto e dal terremoto, e per questo
ancora oggi le viene tributata una devozione infinita da un popolo che,
nonostante tante apparenze, ha una fede profonda. La Vergine era lì con
noi. Ha vegliato sul dolore, sulla morte e sull’impotenza. E sulla
nostra umanità ferita.
Riccardo e gli amici della comunità di CL di Livorno