L’URAGANO FRANCESCO SULLA COLOMBIA. Ingrid Betancourt, per oltre 6 anni sequestrata delle FARC: “Ci ha ricordati che non possiamo restare aggrappati alla vendetta e all’odio per il nemico” (www.terredamerica.com)
Ingrid Betancourt oggi. Nel riquadro una immagine degli anni del sequestro (2002-2008)
“In questi ultimi giorni
abbiamo visto molti uragani come Irma. Papa Francesco allo stesso modo è
stato un uragano che è passato per la Colombia muovendo le strutture e
interpellato intimamente i colombiani”. Lo ha detto l’ex candidata alle
presidenziali colombiane, Ingrid Betancourt, ospite dello speciale del
‘Diario di Papa Francesco’ sulla televisione italiana Tv2000 commentando
il viaggio del Papa in Colombia. “Francesco – ha aggiunto la Betancourt
– ha toccato i nostri cuori. Ci ha obbligati a guardare noi stessi come
vorremmo essere e come dovremmo guardare chi ci ha fatto del male. E’
come fare un auto analisi e guardare in faccia la nostra umanità a
livello individuale e collettivo. Come colombiana vedendo da lontano ciò
che sta succedendo in Colombia è stato veramente commovente vedere come
si sia accesa una luce di speranza e gioia nei volti sofferenti e
mutilati del popolo colombiano”.
“La visita di Papa Francesco – ha
proseguito la Betancourt – ci sta ricordando le altre opzioni che
abbiamo. Possiamo vivere aggrappati alle nostre vendette, ai valori
della guerra o all’idea di uccidere il nemico ma questo è un errore. E’
sbagliato mantenere l’essere umano incatenato ai suoi istinti e non alla
sua umanità. Credo che quello che Papa Francesco ci sta portando è
un’altra immagine di quello che possiamo essere. Possiamo essere liberi,
capire che la riconciliazione non dipende dal fatto che l’altro venga a
chiedermi perdono ma dal fatto che noi stessi dobbiamo cercare il modo
di liberarci dai nostri peccati e dal danno che ci è stato creato. In
questo senso tutti noi colombiani, non solo i guerriglieri, siamo
chiamati a cambiare”.
“La fede è stata la mia salvezza” ha
raccontato la Betancourt al canale televisivo dei vescovi italiani.
“Sono stata prigioniera insieme ad altre persone e ho visto il danno che
ha fatto l’esperienza della prigionia nell’anima dei prigionieri e dei
rapitori. La disumanizzazione è un cammino molto rapido in cui l’essere
umano trova sempre delle giustificazioni”. “Per me Dio – ha aggiunto la
Betancourt – è stata la voce, la parola, la testimonianza, l’immagine di
ciò che mi ha permesso di conservare la dignità in una situazione
umanamente denigrante. Tutti sentivamo di non aver valore ma sentivamo
che Gesù era lì presente in un modo particolare, molto reale. Non era
una cosa astratta, un semplice ricordo delle scritture. Erano situazioni
e dialoghi molto reali con domande e risposte reali e immediate. Questa
presenza mi ha fatto capire che c’era un valore in ognuno di noi e che
questo era quello che bisognava conservare. Questo mi ha permesso di
aprire un dialogo con i miei compagni di prigionia e con coloro che mi
tenevano prigioniera”.
La prigionia, ha ricordato la Betancourt,
è stato “un momento drammatico della mia vita ma anche di immensa luce
in mezzo alle tenebre. Ero incatenata ad un albero per il collo, alcuni
giorni prima ero riuscita a scappare ma poi sono riusciti a catturarmi
di nuovo. L’odio della guerriglia contro di me era alla sua massima
espressione. Quel giorno stava piovendo, c’era una tormenta tropicale e
tutto il gruppo sia i prigionieri che i guerriglieri erano nelle loro
tende. Per me il castigo per la fuga era stare fuori alle intemperie.
Non ero protetta come gli altri. L’acqua non uccide ma stare esposta per
ore sotto la pioggia implica un dolore fisico, un’umiliazione morale,
una depressione dell’anima. Mi sentivo trattata come un animale. Accanto
a me c’era una guardia, gli chiesi di liberarmi per poter andare in
bagno. La guardia mi rispose: ‘Quello che deve fare lo faccia qui
davanti a me’. Non so perché ma in quel momento la risposta di quell’
uomo così piena di odio ha provocato in me una reazione molto violenta.
Avevo deciso che lo volevo uccidere. E’ stata una decisione molto fredda
che mi ha dato una forza che mi ha riempito di un’emozione che mi ha
quasi affogata. E’ diventata come una ossessione. Per giorni ho pensato
come potevo uccidere quell’uomo. Fino al momento in cui mi sono come
risvegliata e ho detto che non era quello che volevo fare realmente. Non
volevo trasformarmi in un essere che odia, assetata della morte
dell’altro. Non volevo convertirmi in quello che erano i miei rapitori.
Questo pensiero è stato liberatore perché ho capito che anche con le
catene dell’umiliazione, dell’abuso e del dolore avevo ancora la più
importante delle libertà cioè essere quello che volevo essere”.
“Credo l’elemento fondamentale – ha
aggiunto la Betancourt – la cosa più importante e il nostro tesoro è la
speranza che ci dà la fede. La fede è quella che ci dice ‘non importa
quello che ti sta succedendo adesso, dopo capirai e arriverai alla
luce’. Se noi crediamo che le cose sono così e basta allora moriamo
perché ci finisce l’ossigeno spirituale. La speranza è invece il motore
della trasformazione”.