Delpini apre il processo
«Fratel Ettore, sintesi di preghiera e carità»
INVIATO A SEVESO (MONZA)
«Noi vogliamo che la Chiesa accerti le virtù di fratel Ettore: non
per metterlo su un piedistallo, ma perché la sua storia sia una di
quelle che ci sveglia e ci dice: guarda, il bene è praticabile. Per me,
per te, per tutti c’è la possibilità di compiere buone azioni che
rendono più vivibile la terra. Fratel Ettore ce lo ricorda, ma con una
particolare sottolineatura che, mi sembra, è un appello a convertirci:
ci ricorda che la sorgente della carità è l’amore di Dio. E che la
necessità della preghiera è assoluta per chi vuole fare veramente del
bene». Parla a braccio, incalzante,
l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Ad ascoltarlo – nella cappella,
gremita, di Casa Betania delle Beatitudini di Seveso, dove riposa il
camilliano che il cardinale Carlo Maria Martini chiamò «gigante della
carità», e dove continua a battere il cuore della sua opera – c’è il
'popolo' di fratel Ettore. Nelle sue molteplici espressioni. Volti
segnati dalla vita. I patimenti affrontati. La letizia di scoprirsi
accolti e amati.
L’occasione è solenne: è il processo diocesano di beatificazione e di
canonizzazione di fratel Ettore Boschini, quello che si è aperto ieri
pomeriggio con Delpini, in questa chiesa
senza muri, dove le pareti sono tutte una vetrata e la luce del sole
d’inverno non trova ostacoli. Ma quel che poteva essere formale ed
esteriore, è vissuto da tutti con commozione e coinvolgimento. La
prima a prendere la parola è sorella Teresa Martino, successore di
fratel Ettore alla guida dell’opera, che riesce a malapena a
ringraziare tutti, con la voce che si spezza per l’emozione. Così è
anche per il sindaco di Seveso, Paolo Butti – a ricordare come fratel
Ettore e Casa Betania «ci aiutano ogni giorno a capire cosa è davvero
importante per la vita di una comunità e per il bene comune» – e
Antonella Annibaletti, sindaco di Roverbella, Mantova, dove Ettore
Boschini vide la luce il 25 marzo 1928 in una famiglia contadina. Fin
dall’infanzia: una vita di povertà, fame, duro lavoro. Che lo porta
lontano dalla fede. Fino alla conversione.
All’incontro decisivo con Maria, durante un pellegrinaggio. E alla
decisione di entrare nei Chierici Regolari Ministri degli Infermi.
Prima un quarto di secolo al servizio dei malati a Venezia. Poi, nel
1976, lo mandano a Milano. Dove scopre le piaghe nascoste della
metropoli. E sceglie di dedicarsi tutto agli ultimi fra gli ultimi:
clochard, drogati, alcolizzati, prostitute, malati di Aids, malati di
mente, anziani soli, immigrati. Questo è il suo popolo, fino alla morte,
per tumore, avvenuta a Milano, il 20 agosto 2004.
È quel popolo, e chi se ne prende cura, a riempire la cappella di
Seveso. È dentro quell’abbraccio che si celebra l’apertura del
processo, alla presenza di monsignor Ennio Apeciti, responsabile del
Servizio diocesano per le cause dei santi, di Francesca Consolini,
la postulatrice, di padre Bruno Nespoli, provinciale dei Camilliani
per il Nord Italia, e di padre Vittorio Paleari, il provinciale che
avviò il cammino della causa. Si prega. Si leggono alcuni pensieri
di fratel Ettore. Si ascolta ilVangelo. La parabola del buon
samaritano. «Una pagina vissuta tutti i giorni da moltissime persone,
nella storia dell’umanità e oggi, sotto i nostri occhi», annota
Delpini. «Ai bambini si raccontano storie a lieto fine per farli
addormentare sereni. Le storie dei santi, invece, si raccontano agli
adulti per farli svegliare, per destare in loro meraviglia e stupore
nel constatare quello che Dio può fare servendosi di uomini e donne
come noi». Così è accaduto con fratel Ettore, col suo «saper congiungere
preghiera e carità, devozione alla Madonna e soccorso ai poveri,
adorazione eucaristica e generosità nel fare il bene». In questa
«sintesi» c’è la sua «genialità». Un carisma fecondo e contagioso, come
dimostrano le molte persone e le molte energie coinvolte nella sua
opera, con lui e dopo di lui. L’importante, insiste Delpini, è
custodire «il radicamento nella preghiera», perché non si spenga la
«naturale inclinazione a fare il bene» che «c’è nel cuore di ogni uomo e
di ogni donna». Come fare, basta chiederlo a quel mistico in azione
che fu – che è – fratel Ettore.
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L’arcivescovo di Milano dà avvio alla fase diocesana della causa di beatificazione «Lui ci ricorda che il bene è praticabile»