mercoledì 20 dicembre 2017

Delpini apre il processo di beatificazione di fratel Ettore a Milano

Delpini apre il processo
«Fratel Ettore, sintesi di preghiera e carità»
INVIATO A SEVESO (MONZA)
«Noi vogliamo che la Chiesa accerti le virtù di fratel Ettore: non per metterlo su un piedistallo, ma perché la sua storia sia una di quelle che ci sveglia e ci dice: guarda, il bene è praticabile. Per me, per te, per tutti c’è la possibilità di compiere buone azioni che rendono più vivibile la terra. Fratel Ettore ce lo ricorda, ma con una particolare sottolineatura che, mi sembra, è un appello a convertirci: ci ricorda che la sorgente della carità è l’amore di Dio. E che la necessità della preghiera è assoluta per chi vuole fare veramente del bene». Parla a braccio, incalzante, l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Ad ascoltarlo – nella cappella, gremita, di Casa Betania delle Beatitudini di Seveso, dove riposa il camilliano che il cardinale Carlo Maria Martini chiamò «gigante della carità», e dove continua a battere il cuore della sua opera – c’è il 'popolo' di fratel Ettore. Nelle sue molteplici espressioni. Volti segnati dalla vita. I patimenti affrontati. La letizia di scoprirsi accolti e amati.
L’occasione è solenne: è il processo diocesano di beatificazione e di canonizzazione di fratel Ettore Boschini, quello che si è aperto ieri pomeriggio con Delpini, in questa chiesa senza muri, dove le pareti sono tutte una vetrata e la luce del sole d’inverno non trova ostacoli. Ma quel che poteva essere formale ed esteriore, è vissuto da tutti con commozione e coinvolgimento. La prima a prendere la parola è sorella Teresa Martino, successore di fratel Ettore alla guida dell’opera, che riesce a malapena a ringraziare tutti, con la voce che si spezza per l’emozione. Così è anche per il sindaco di Seveso, Paolo Butti – a ricordare come fratel Ettore e Casa Betania «ci aiutano ogni giorno a capire cosa è davvero importante per la vita di una comunità e per il bene comune» – e Antonella Annibaletti, sindaco di Roverbella, Mantova, dove Ettore Boschini vide la luce il 25 marzo 1928 in una famiglia contadina. Fin dall’infanzia: una vita di povertà, fame, duro lavoro. Che lo porta lontano dalla fede. Fino alla conversione. All’incontro decisivo con Maria, durante un pellegrinaggio. E alla decisione di entrare nei Chierici Regolari Ministri degli Infermi. Prima un quarto di secolo al servizio dei malati a Venezia. Poi, nel 1976, lo mandano a Milano. Dove scopre le piaghe nascoste della metropoli. E sceglie di dedicarsi tutto agli ultimi fra gli ultimi: clochard, drogati, alcolizzati, prostitute, malati di Aids, malati di mente, anziani soli, immigrati. Questo è il suo popolo, fino alla morte, per tumore, avvenuta a Milano, il 20 agosto 2004.
È quel popolo, e chi se ne prende cura, a riempire la cappella di Seveso. È dentro quell’abbraccio che si celebra l’apertura del processo, alla presenza di monsignor Ennio Apeciti, responsabile del Servizio diocesano per le cause dei santi, di Francesca Consolini, la postulatrice, di padre Bruno Nespoli, provinciale dei Camilliani per il Nord Italia, e di padre Vittorio Paleari, il provinciale che avviò il cammino della causa. Si prega. Si leggono alcuni pensieri di fratel Ettore. Si ascolta ilVangelo. La parabola del buon samaritano. «Una pagina vissuta tutti i giorni da moltissime persone, nella storia dell’umanità e oggi, sotto i nostri occhi», annota Delpini. «Ai bambini si raccontano storie a lieto fine per farli addormentare sereni. Le storie dei santi, invece, si raccontano agli adulti per farli svegliare, per destare in loro meraviglia e stupore nel constatare quello che Dio può fare servendosi di uomini e donne come noi». Così è accaduto con fratel Ettore, col suo «saper congiungere preghiera e carità, devozione alla Madonna e soccorso ai poveri, adorazione eucaristica e generosità nel fare il bene». In questa «sintesi» c’è la sua «genialità». Un carisma fecondo e contagioso, come dimostrano le molte persone e le molte energie coinvolte nella sua opera, con lui e dopo di lui. L’importante, insiste Delpini, è custodire «il radicamento nella preghiera», perché non si spenga la «naturale inclinazione a fare il bene» che «c’è nel cuore di ogni uomo e di ogni donna». Come fare, basta chiederlo a quel mistico in azione che fu – che è – fratel Ettore.
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L’arcivescovo di Milano dà avvio alla fase diocesana della causa di beatificazione «Lui ci ricorda che il bene è praticabile»