Wyszynski, eroe della Polonia Il cardinale ora è venerabile
Riconosciute le virtù eroiche. Amico e modello di Wojtyla
ROMA
La celebre frase rivolta a Karol Wojtyla durante il secondo conclave
del 1978 è diventata profezia. «Se ti eleggeranno, non rifiutare,
perché sarai tu a introdurre la Chiesa nel terzo millennio». La calma
fermezza con cui si oppose al regime comunista in Polonia, difendendo
la nazione e scontando anche tre anni di prigionia, è ormai senza più
ombre. Ma è soprattutto la profonda spiritualità mariana (tra l’altro
ispiratrice del Totus tuus
wojtyliano) il tratto distintivo, ignoto ai più, che sta venendo
fuori nella causa di beatificazione del cardinale Stefan Wyszynski,
giunta ieri a una svolta importante dell’iter. Del grande cardinale,
primate polacco dal 1948 fino alla morte avvenuta nel 1981 (15 giorni
dopo l’attentato a Giovanni Paolo II), è stato infatti autorizzato
ieri il decreto che ne attesta le virtù eroiche. Il che in pratica
significa che alla beatificazione manca solo
il riconoscimento del miracolo attribuito alla sua intercessione (e
già sotto esame il caso della guarigione di una giovane ventenne malata
di cancro alla tiroide). Torna così in primo piano una figura
fondamentale della Chiesa perseguitata dalle ideologie del XX secolo.
Wyszynski, infatti, dovette prima nascondersi dalla Gestapo – che
nonostante fosse allora un semplice sacerdote
(era nato nel 1901, ordinato nel 1924 e sarebbe divenuto vescovo solo
nel 1946) lo aveva inserito nell’elenco dei ricercati più 'pericolosi'
–; e poi da arcivescovo di Gniezno e Varsavia si erse a difesa del suo
popolo in un confronto con il regime teso da un lato ad assicurare la
sopravvivenza della nazione e della Chiesa (entrambe uscite decimate
dal II conflitto mondiale), dall’altro teso a mantenere un difficile
equilibrio rispetto alle mire imperialistiche di Mosca, la cui costante
minaccia di una invasione della Polonia pendeva come una spada di
Damocle sulla testa dei suoi connazionali.
L’accusa, che talvolta gli fu mossa in vita, di una linea troppo
morbida (nel 1957, quando finalmente potè venire a Roma per vedere Pio
XII, dovette fare alcuni giorni di anticamera) si scontra ormai con il
dato storico acquisito. Il governo polacco si era infatti rimangiato
l’accordo del 1950 con il quale si impegnava a rispettare la libertà
religiosa e l’autonomia della Chiesa. Così
nel 1952 impedì al primate di recarsi a Roma per ricevere da Pio XII la
berretta cardinalizia e l’anno seguente promulgò una legge che
prevedeva il controllo delle nomine ecclesiastiche, al pari di quanto
già avveniva in Urss. La lettera con cui Wyszynski e tutti i vescovi polacchi protestarono contro questa decisione – conosciuta con il nome di Non possumus
e in cui si affermava: «Non possiamo sacrificare le cose di Dio
sull’altare di Cesare» – segnò l’inizio della vera e propria
repressione. Lo stesso cardinale fu arrestato la notte del 25
settembre 1953. Uscendo dal palazzo episcopale disse a una religiosa
che stava preparandogli un bagaglio: «Sorella non porterò nulla. Sono
entrato povero in questa casa e povero vi uscirò». Fu l’inizio di una
prigionia che durerà tre anni, durante i quali sarà trasferito in
diversi luoghi al fine di mantenere segreto il suo nascondiglio. Ma fu
anche il periodo in cui con più forza emerse la sua fede mariana, dal
momento che egli stesso impostò le proprie giornate in carcere sul
ritmo della vita monastica: sveglia molto presto, orazione, studio e
meditazione. «Oggi non posso servire la Chiesa e la patria col mio
lavoro di sacerdote nel tempio, ma posso servirle con la preghiera»,
scrisse nei suoi Appunti dalla prigione.
Determinante fu anche la scelta, una volta liberato in seguito alla
Rivolta di Poznan del 1956, di chiedere al nuovo leader polacco Gomulka
il ritiro del decreto sulle nomine dei vescovi, la garanzia della
libertà di culto e l’indipendenza tra Stato e Chiesa, condizioni che gli
furono concesse con un nuovo accordo firmato l’8 dicembre 1956. Fu
proprio questa linea – che negli anni seguenti sarebbe stata sposata
anche dall’arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla, suo figlio spirituale
– a garantire alla Polonia margini di libertà per la Chiesa del tutto
sconosciuti negli altri territori del blocco sovietico. Alla sua morte,
avvenuta il 28 maggio 1981, Giovanni Paolo II, ancora ricoverato al
Gemelli, scrisse una lettera ai polacchi in cui definì Wyszynski «la
chiave di volta della Chiesa in Polonia ». E sicuramente lo fu, chiave
di volta, in quel conclave del 1978 che portò per la prima volta un
figlio della sua terra sulla Cattedra di Pietro. Con tutto ciò che
accadde dopo, profezia inclusa.
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Ricercato dalla Gestapo durante la Seconda guerra mondiale, fu difensore della Chiesa durante il regime comunista