Intervista.
«Proporre i comandamenti non come
divieti, ma come la strada della felicità. La natura è più attrattiva
del web». A colloquio col vescovo Camisasca
BAMBINI
Torniamo a educarli
Un vescovo nei panni di un
bambino per spiegare i dieci comandamenti. L’ultimo libro di Massimo
Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, fondatore della
Fraternità missionaria San Carlo e scrittore, è Le dieci parole di Tullio. I 10 comandamenti raccontati da un bambino (ElectaJunior, pagine 78, euro 14,90).
Come è nata l’idea?
«Me l’ha chiesto l’editore, Mondadori, e volevano che fosse proprio un
libro diretto ai bambini. Sembra che ci sia una grande domanda di libri
che educano, infatti ne sto già scrivendo un secondo sulle Parabole. Ho
cominciato a scrivere in terza persona, poi ho capito che non bastava,
che dovevo calarmi nel protagonista. Il bambino Tullio è in parte ciò
che io sono stato, e ciò che avrei voluto o potuto essere. Ma è anche
uno di quei ragazzi che incontro ogni giorno nelle scuole e nelle
parrocchie. I dieci comandamenti nel testo non sono esplicitati, ma si
ritrovano nelle pieghe dell’esperienza quotidiana: in ogni momento
della nostra giornata c’è la voce di Dio, occorre saperla scoprire. Poi
ho pensato di accompagnare il testo con delle citazioni bibliche, che
accompagnino il lettore come i sassolini di Pollicino».
Questo Tullio che legge i libri al nonno dunque somiglia al bambino
che lei è stato. Ma non pensa che i ragazzi di oggi siano molto
cambiati?
«È vero, e
proprio per questo non ho voluto fare un libro irenico. Nel libro c’è
il bambino che trema al litigio violento fra i genitori, e addirittura
il papà che fa le valigie. Questa non è la mia esperienza, ma è un
trauma che ritrovo in tanti. Se il papà se ne va, nella vita del figlio
si crea un buco senza fine. Un giorno in un incontro pubblico un
ragazzino ha alzato la mano e mi ha chiesto: 'Lei cosa ha da dirmi su
questa mia tragedia, che mio papà e mia mamma non vivono più insieme?
Io cosa posso fare, e chi devo scegliere?' Io ho risposto: tu non devi
assolutamente scegliere, tutti e due ti amano. Ti è chiesto un
passaggio di maturità molto difficile, e devi cercare qualcuno che ti
aiuti. Il tema della divisone dei genitori è il più drammaticamente
sentito fra i ragazzi che incontro».
Che idea si è fatto di questa generazione?
«Ho un giudizio molto positivo sui ragazzi di oggi. Li vedo, sì,
disorientati e incapaci di prendere decisioni, soggiogati dal web e dai
social network. Ma sono la prima generazione dopo il ’68 che non
rifiuta il padre: anzi lo cerca, un padre che li guidi, e lo vorrebbe».
I dieci comandamenti sono qualcosa di ancora attuale per i ragazzi dell’era digitale?
«Io credo di sì. Quella voce interiore che ci parla non è una voce
repressiva, cerco di spiegare, ma invece indica la strada per la
felicità. “Non rubare” è prima di tutto una indicazione di felicità,
perché il male fa male. Ai genitori però dico sempre che non ci si può
limitare a vietare: occorre passare tempo con i figli e proporre loro
qualcosa di più bello che stare davanti a uno
schermo. Occorre fare proposte più attrattive della realtà virtuale.
Quest’ultima, poi, deve essere un ampliamento del reale. Prima si va
insieme a guardare le piante e gli animali veri, poi si può fare una ricerca sul web su ciò che si è visto».
I bambini oggi sono ancora disposti a credere in Dio?
«Crescendo si accodano al pensiero dominante, e la sensibilità
religiosa spesso si spegne. Ma originariamente questa sensibilità c’è.
Abbiamo dei bei figli, siamo noi adulti che spesso manchiamo».
La bellezza del creato, lei scrive, è il primo libro.
«Io sono cresciuto nella bellezza dei boschi e dei prati. Per me
questi sono stati davvero il primo 'libro' in cui scorgere Dio. Sento
fortemente la Laudato sì’,
e infatti concludo con un richiamo in questo senso: andiamo insieme a
ripulire i greti del fiume, riportiamoli alla loro bellezza».
Nel libro lei cita Agostino: i bambini non sono completamente buoni...
«Non sono un seguace di Rousseau, un partigiano dell’innocenza pura. Il
cuore dell’uomo è fin dall’inizio un campo di battaglia, e prima di
quanto pensino gli adulti percepiamo il male, fuori di noi e in noi.
Non credo al bambino angelicato, il pensare i bambini come angeli è una
visione menzognera. Il punto è, nonostante la percezione del male,
imparare a riconoscere quella voce che c’è in tutti noi, fatti a
immagine e somiglianza di Dio: cioè, educare ».
Che anche i bambini siano capaci del male è un’evidenza chiara guardando al fenomeno del bullismo.
«Il bullo è uno che ha un’identità personale debolissima e che si fa
forte del gruppo per cercare di dimostrare di essere ciò che non è. È
un poveraccio, è egli stesso una vittima. Questo cerco di spiegare ai
ragazzi che incontro».
La sorpresa finale del libro: un indirizzo web.
«Sì, è un’idea per aprire un dialogo con i lettori. La pagina di Tullio, che risponderà a chi gli scrive». Un vescovo che parla di Dio con i ragazzi, sul web. Esperimento inedito. Chissà cosa ne verrà.
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Antoon van Dijck, “Lasciate
che i bambini vengano a me” (1618-1620 circa) Ottawa, National Gallery
Sotto, monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla
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