sabato 5 aprile 2025

LETTURE/ Adrien Candiard, il bello di accettare la grazia e tornare alla semplicità della Salvezza

 


LETTURE/ Adrien Candiard, il bello di accettare la grazia e tornare alla semplicità della Salvezza

L'ultimo, agile ma denso lavoro del domenicano Adrien Candiard, "La grazia è un incontro", è un ritorno all'essenzialità della fede. E una proposta

Gianni Varani Pubblicato 5 Aprile 2025

 

Padre Adrien Candiard, domenicano francese di 43 anni, è già da qualche anno un’autorevole figura di riferimento in molti ambiti del mondo cattolico e anche fuori da esso. Lo è sia per i contenuti che per la testimonianza che offre. E che viva da una dozzina di anni al Cairo, nel cuore di una capitale dell’islam, accresce l’interesse per le riflessioni che condivide in molti campi, non solo teologici. C’è tuttavia un aspetto non secondario ed evidentemente voluto, delle sue intense e diffuse attività editoriali, che val la pena portare ad esempio.  Ed è l’efficace “sinteticità” di molti suoi libri.

La maggior parte delle sue non poche pubblicazioni oscillano tra le 70 e le 140 pagine. E lo stile che lo caratterizza è brillante, stimolante e non disdegna l’intelligente ironia. Il francese, sua lingua madre, riesce altrettanto bene nella traduzione italiana, lingua che Candiard maneggia con notevole padronanza, avendola studiata fin dalle medie. Una delle sue ultime fatiche, La grazia è un incontro (LEV, 2024; in francese il titolo è Sur la Montagne. L’aspérité et la grâce), arriva a ”sole” 109 pagine. Si leggono con assoluta scioltezza e accessibilità. Ciò non significa affatto che i contenuti siano “leggeri”.

È stato chiesto a Candiard – che ogni tanto partecipa a incontri molto affollati in Italia, Francia e in altri Paesi – perché di questa sua “cifra” comunicativa. Scherzando ha sostenuto che l’editore non ne sarebbe in realtà felicissimo, perché con così poche pagine non farebbe abbastanza profitto. Ma la risposta di merito è un’altra: i lettori e gli ascoltatori in genere faticano a trattenere e rammentare più di un argomento fondamentale. Occorre proporre un solo tema centrale, articolarlo e renderlo comprensibile e tale da poter essere meditato e ricordato. Candiard non lo dice, ma verrebbe da imporre questa filosofia comunicativa sintetica come standard per le omelie e i saggi di tanti pulpiti cattolici.

Il citato La grazia è un incontro è, da questo punto di vista, un esempio perfetto. Il filo conduttore del testo è già ben sintetizzato nel sottotitolo: Se Dio ci ama gratis, perché i comandamenti?. La domanda ha ulteriori sviluppi, in varie parabole ed episodi, così sintetizzabili: Cristo sembra di manica molta larga col perdono, basti pensare all’adultera, al pubblicano o al figliol prodigo, ma nel contempo sembra alzare enormemente l’asticella della “pretesa morale”, vedi la richiesta al giovane ricco di lasciare tutti i beni. Oppure l’invito a porgere l’altra guancia (tema che stimola diverse simpatiche riflessioni dell’autore), la richiesta di essere perfetti “come il Padre”, il rischio adulterio anche solo col pensiero.

A prima vista, è un’asticella morale fuori portata per noi umani. Come conciliare questi diversi messaggi, apparentemente antitetici, del Cristo? Ovvero una salvezza offerta gratis ma poi con un prezzo apparentemente smisurato da pagare?

La lettura di Candiard, ricca di aneddoti e spiegazioni insolite, è antimoralista, ma nel contempo non avvalla un’indolenza fatalista. La proposta cristiana non è una condizione morale apriori, “sine qua non”, ma una direzione ed una tensione alla quale tendere, grazie a un nuovo e straordinario compagno di viaggio. Si diventa figli, con Lui, grazie a Lui. Del resto lo stesso Candiard confessa, in un passaggio del libretto, che anziché padre, preferirebbe essere chiamato fratello o figlio. Tuttavia, essendo anche priore di una comunità monastica, alla fin fine ha dovuto ben accettare l’appellativo di padre che gli compete.

La “porta stretta” dell’esempio evangelico, attraverso la quale siamo invitati a passare, non è il segno di una particolare “rigorosa selettività del portinaio”, ma è una porta su misura per ciascuno. Ad ognuno la sua porta stretta, sembra dirci l’autore. Il suo significato è portarci a liberarci di ciò che è superfluo, inutile, dannoso o ingombrante verso la nostra realizzazione. Ovvero la salvezza, per usare il linguaggio evangelico.

Tra i molti esempi usati da Candiard, uno probabilmente ha colpito molti ascoltatori e lettori, perché verosimilmente ignorato dai più. Ed è quello del pranzo di nozze, dove il padrone – deluso dal rifiuto degli invitati prescelti – va a raccattare per strada pezzenti, barboni, passanti casuali. Perché dunque ne caccia via con assoluta severità uno che non risulta adeguatamente vestito per le nozze? Non era un poveraccio come tutti gli invitati dell’ultima ora?

La tradizione del tempo, ha spiegato, è che l’abito festivo per le nozze era offerto da chi invitava. Non c’era bisogno di presentarsi con alcun particolare “smoking” per l’occasione. Quindi l’ospite intruso poi cacciato – questo il senso della vicenda così rispiegata – non aveva accolto e accettato il dono, cioè la veste, la grazia della quale sono oggetto i credenti, gli invitati a una festa esistenziale straordinaria. La salvezza è accogliere, accettare la grazia, un tema teologico – spiega Candiard – oggi un po’ dimenticato, pur avendo goduto nei secoli una vasta fortuna. La santità, come via per la felicità, inizia dunque con una sorta di passività.

 

Questa narrazione essenziale sembra derivare anche da altre considerazioni di vasta portata su un cristianesimo vissuto in un contesto del tutto post-cristiano. Tema oggetto non di questo ma di altri testi di Candiard, che deve quindi essersi da tempo convinto della profonda necessità di tornare ad una narrazione basilare, essenziale, sui fondamenti della fede cristiana e sulla sua dinamica di incontro con un annuncio umanamente straordinario. Del resto, la sua stessa personale vocazione da adulto è maturata in un contesto post-cattolico, in una società altamente secolarizzata, oramai diffusamente ignara anche dei contenuti cristiani più elementari.

(…) https://www.ilsussidiario.net/news/letture-adrien-candiard-il-bello-di-accettare-la-grazia-e-tornare-alla-semplicita-della-salvezza/2819671/#:~:text=CHIESA-,LETTURE/%20Adrien%20Candiard%2C%20il%20bello%20di%20accettare%20la%20grazia%20e%20tornare,altamente%20secolarizzata%2C%20oramai%20diffusamente%20ignara%20anche%20dei%20contenuti%20cristiani%20pi%C3%B9%20elementari.,-Ci%C3%B2%20non%20porta


Road to Meeting aprile 2025 | Adrien Candiard

venerdì 4 aprile 2025

L’occasione che viene dal disagio (Cesare Maria Cornaggia)

 


L’occasione che viene dal disagio

La scorsa settimana a Seveso c'è stato un interessante dibattito sui temi del della crisi dell'io nella nostra società

Cesare Maria Cornaggia Pubblicato 4 Aprile 2025

 

Le opere sociali e i professionisti che cercano di rispondere ai disagi e alle malattie delle persone per essere efficaci non possono semplicemente muoversi in nome di una capacità pratica e di un volontarismo generico. Occorre un’adeguata concezione dell’uomo, La discussione avvenuta a Seveso nel fine settimana va in questa direzione.

Nel corso dell’ultimo fine settimana si sono riuniti a Seveso, presso il Centro Pastorale Ambrosiano, studiosi e professionisti provenienti da estrazioni culturali differenti (filosofi, teologi, psicologi, psichiatri, educatori della scuola e del sociale) per riflettere assieme sui temi del della crisi dell’io nella nostra società e del conseguente disagio psichico, sociale, individuale, educativo, psicologico che ne deriva. Quali domande e quali suggerimenti operativi provoca questa situazione in generale e in un’ottica multidisciplinare?

La prima constatazione è stata che il cuore della questione non è il disagio psicologico, o educativo e neppure sociale. In altre parole il disagio psichico è stato considerato non soltanto nell’ottica di un problema immediatamente da risolvere, ma come fornitore di domanda e occasione di approfondire la stessa dimensione ontologica dell’uomo. Infatti, ciò che sottostà e origina questi problemi e produce patologie è il fatto che oggi la cosa che è più negata, ancor più della realtà, è la verità, come afferma Byung-chul Hanma.

Ne è testimonianza il dibattito sul nichilismo attuale: non basta analizzare come sia fonte di perdita e di buio della persona e delle istituzioni, ma occorre chiedersi in che misura possa essere occasione di presa di coscienza e quindi occasione per una ripresa.

Non a caso sin dall’inizio è stato messo in luce come la crisi possa fare grande l’uomo, perché essa in sé può servire soltanto a farlo crescere, non a farlo morire, e proprio per questo la crisi attuale va vista con uno sguardo di occasione e di speranza. Questo perché vi è la tentazione che il momento di crisi, come scritto da Victor Frankl riprendendo la sua esperienza nei lager, venga vista come la fine, non come il fine, cioè un punto di limite che può essere luogo di incontro.

Un tale approccio genera una sintonia profonda tra i “pensatori” e chi opera in realtà sociali attive nelle dipendenze, nella lotta al disagio psichico e di comunità educative o sociali, come a confermare questa possibilità e necessità di dialogo. Dialogo che è stato colto con lo stupore di tutti, soprattutto dai giovani presenti, evidentemente perché desiderosi di un sapere che andasse oltre le accademie.

Non a caso, in una serata dedicata al mettere in scena proprio tutto questo, i giovani della redazione del Teatro del Lunedì, rassegna del Teatro Oscar di Milano, hanno mostrato tutto il loro entusiasmo, traducendo in opera teatrale i diversi discorsi e mostrando come tanti giovani oggi sono portatori di una grande speranza e di una grande capacità di attenzione e di intrapresa. In conclusione si è convenuto che la crisi dell’io, e la mancanza, il malessere, il disagio che tante volte vediamo attorno a noi devono essere primariamente intesi come espressione di un’ontologia più che di una patologia.

Ne deriva che, nelle diverse discipline e in generale, la risposta necessaria alla crisi deve fondare la propria radice non su possibili tecniche e strategie, ma sulla ripresa di un significato profondo di quel che si fa. Ognuno deve mettere in gioco la propria posizione umana dinanzi al disagio e innervarne le professionalità e le tecniche attraverso le quali articola le risposte.

(….) https://www.ilsussidiario.net/editoriale/2025/4/4/loccasione-che-viene-dal-disagio/2819508/#:~:text=Nel%20corso%20dell%E2%80%99ultimo,in%20un%E2%80%99ottica%20multidisciplinare%3F


giovedì 3 aprile 2025

“600 giorni nel campo KZ Mittelbau-Dora” di Lucia Araldi racconta la storia degli internati militari italiani (Imi) nei campi nazisti


 

STORIA/ Gli Internati militari italiani in Germania 1943-45, i patrioti della sofferenza e del perdono

“600 giorni nel campo KZ Mittelbau-Dora” di Lucia Araldi racconta la storia degli internati militari italiani (Imi) nei campi nazisti

Antonio Besana Pubblicato 3 Aprile 2025

Civili tedeschi di Nordhausen seppelliscono in una fossa comune i prigionieri trovati morti nel campo. Aprile 1945 (foto da Wikipedia, credit USHMM)

 

L’8 settembre 1943 l’Italia firma l’armistizio con gli Alleati. I militari appartenenti al Regio Esercito, alla Regia Marina e alla Regia Aeronautica sono lasciati senza precise direttive. Lo stesso giorno inizia la Resistenza: il primo caduto italiano è il generale Ferrante Gonzaga del Vodice (medaglia d’oro al valor militare), ucciso dai tedeschi nei pressi di Salerno.

Il giorno successivo, il 9 settembre 1943, i tedeschi disarmano e catturano circa un milione di militari italiani. Di questi, quasi 200mila riescono a fuggire e ad evitare la cattura. Molti di loro andranno ad unirsi alle forze dei partigiani. Gli altri, prigionieri dei tedeschi, sono trasferiti con viaggi interminabili in vagoni bestiame piombati nei campi per prigionieri di guerra della Wehrmacht.

I soldati vengono separati dagli ufficiali, e divisi nei lager sparsi in 21 distretti militari in Germania e nei territori ancora occupati. Dopo poco più di un mese, i nazisti offrono agli internati la libertà in cambio dell’arruolamento nelle SS o nelle forze di Salò. L’offerta, ripetuta più volte nei mesi successivi, è allettante, soprattutto tra i più giovani.

Sono circa 100mila quelli che accettano di continuare a combattere al fianco dei tedeschi, arruolandosi nelle fila della Repubblica Sociale Italiana o nei reparti SS. I restanti 700mila finiscono nei lager tedeschi in Germania e Polonia, dove per ordine di Hitler perdono il loro status di prigionieri di guerra e diventano IMI, “Internati militari italiani”, privi di ogni diritto e tutela, in balia dei tedeschi che li considerano soltanto traditori.

 

Lucia Araldi, insegnante e dirigente scolastica, nel suo libro 600 giorni nel campo KZ Mittelbau-Dora. L’esperienza vissuta da Gianni Araldi internato militare e uomo di pace (Edizioni Archivio Storia, Mattioli 1885, 2024) narra la storia del padre Gianni, internato militare italiano in Germania. Contrariamente a tanti altri IMI, che al ritorno a casa dopo la prigionia hanno spesso evitato di raccontare la loro storia, Gianni ha sempre accettato gli inviti della figlia per raccontare ai ragazzi delle scuole la sua terribile esperienza.

 

L’8 settembre 1943 Gianni è rientrato dalla Jugoslavia e si trova alla Compagnia deposito dell’11esimo Reggimento Genio, caserma Spaccamela, a Udine. Il 9 settembre i tedeschi entrano nella caserma e disarmano gli italiani. Il 14 settembre l’intero reparto è caricato su carri bestiame e trasferito in Germania.

Con l’avanzata degli Alleati la Germania è costretta a intensificare lo sforzo bellico e a decentrare gli impianti di produzione in località isolate. I militari di truppa italiani prigionieri vengono quindi inseriti nell’apparato produttivo del Reich, sfruttati nelle fattorie, nelle fabbriche, in miniera e in altri tipi di attività produttive come operai, braccianti, manovali. Sono impiegati nello scavo delle trincee, nella rimozione delle macerie, nella ricostruzione dei nodi ferroviari bombardati. Trattati come schiavi, sono sottoposti turni di lavoro massacranti, malnutriti, falcidiati dalle malattie, violenza, minaccia delle armi e al lavoro forzato. Oltre 40mila IMI internati nei diversi campi di lavoro perdono la vita a causa delle dure condizioni di prigionia a cui sono sottoposti.

Anche Gianni, avendo rifiutato di combattere con la Repubblica Sociale, viene inviato al campo di prigionia KZ Mittlebau-Dora in Turingia, a circa cinque chilometri da Nordhausen. Si tratta di un sottocampo di Buchenwald, aperto il 28 agosto 1943 alle pendici del monte Kohnstain. Questo campo ha una caratteristica peculiare: nei tunnel sotterranei, i prigionieri sono impiegati nella costruzione delle nuove armi segrete tedesche, i missili V1 e V2.

Sono gli stessi prigionieri a dover effettuare i lavori di ampliamento dei tunnel sotterranei. Per parecchi mesi gli internati prigionieri restano segregati nelle gallerie sotterranee, dormendo in letti a castello a cinque piani, in condizioni ambientali terribili. Solo nella primavera del 1944 viene costruito un campo di baracche all’esterno. Oltre 5mila moriranno di fame a causa di condizioni di lavoro micidiali, per i maltrattamenti, il freddo, la fame, la sete.

Nel campo non ci sono solo gli italiani: il 90 per cento degli internati è costituito da prigionieri provenienti dai Paesi occupati dai nazisti, principalmente russi, polacchi e francesi. Quando i prigionieri a causa degli stenti non sono più in grado di lavorare vengono semplicemente eliminati. Chi si rifiuta di lavorare, o si lamenta del trattamento inumano, viene accusato di sabotaggio o resistenza e fucilato. Le sue tracce cancellate per sempre nel forno crematorio del campo. Tra l’agosto 1943 e l’aprile 1945 le SS deportano a Mittelbau-Dora oltre 60mila prigionieri, di cui oltre un terzo non è sopravvissuto.

L’odissea di Gianni e dei suoi compagni si protrae per due anni, fino al termine della Seconda guerra mondiale. Dalla quarta di copertina del volume: “Gianni visse il lavoro forzato, la fame, la tortura, vide la morte di tanti compagni, ma sperimentò anche la solidarietà fra commilitoni, l’amicizia fino al sacrificio personale per il bene dell’altro, la speranza comune di uscirne vivi”.

Per molto tempo questi uomini non sono neanche stati considerati dalla storiografia, attribuendo ai soli partigiani la “patente” di partecipazione alla Resistenza. Il loro ruolo, insieme a quello dei militari italiani che hanno combattuto nel Corpo Italiano di Liberazione nel 1944-45, verrà rivalutato soltanto negli anni 80 del XX secolo, quando la storiografia riconoscerà che anche loro, gli internati militari, rifiutando qualsiasi forma di collaborazione con la Repubblica Sociale Italiana e con il Terzo Reich, pur senza l’uso delle armi, avevano scelto per una forma di resistenza.

…..https://www.ilsussidiario.net/news/storia-gli-internati-militari-italiani-in-germania-1943-45-i-patrioti-della-sofferenza-e-del-perdono/2819164/#:~:text=e%20del%20perdono-,STORIA,importante%20della%20nostra%20storia%2C%20troppo%20spesso%20volutamente%20dimenticato%20per%20motivi%20ideologici.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94

 


sabato 29 marzo 2025

Come l’idolatria dello Stato tedesco portò alla rottura tra Pio XI e Hitler


 

STORIA/ Come l’idolatria dello Stato tedesco portò alla rottura tra Pio XI e Hitler

L'enciclica di PioXI "Mit brennender Sorge" sancì la rottura definitiva tra Chiesa Cattolica e regime nazista. Lo Stato si era fatto idolo persecutore

Silvana Rapposelli Pubblicato 29 Marzo 2025

 

La vicenda di Franz Jägerstätter, “il mite eroe contadino che disse no a Hitler” – la definizione è di Claudio Magris – condannato a morte nel 1943, su cui queste pagine sono tornate più volte, diviene ancor più comprensibile alla luce dei rapporti tra il Terzo Reich e la Chiesa cattolica.

Le idee cui Hitler si ispirerà una volta al potere sono delineate già nel Mein Kampf, che egli scrive durante la prigionia seguita al fallimento del putsch di Monaco del 1923. Come ben documenta Francesco Agnoli nel suo libro Novecento: il secolo senza croce (Sugarco, 2011), notevole è stata l’influenza esercitata sul futuro dittatore dal nazionalismo pangermanista, diffuso nel mondo tedesco ma anche in quello austriaco. La teoria della superiorità della razza ariana con le sue nefaste conseguenze (antisemitismo, eutanasia, ecc.) rappresenta – come è ben noto – il concetto base di quella miscela esplosiva che è l’ideologia hitleriana.

Vi è poi una forte avversione alla religione cattolica, accusata di intolleranza, di opposizione alla scienza e alla ragione, in quanto si nutrirebbe di superstizioni, e quindi destinata a morire presto di morte naturale, un destino che comunque vale la pena accelerare.

Nella nuova Germania unificata, centralizzata (fin dai primi mesi ogni autonomia territoriale viene eliminata) e arianizzata, in breve si assiste alla nazificazione della cultura, al rigido controllo della stampa, della radio e del cinema, inediti strumenti di propaganda per l’edificazione di uno Stato totalitario. Particolare cura il Reich dedica a modellare le nuove generazioni secondo i suoi dettami, attraverso un’educazione controllata fin nei minimi particolari.

Le scuole, dalle elementari fino all’università, vengono rapidamente nazificate: i libri di testo riscritti, i programmi di studio cambiati. La storia subisce una falsificazione ridicola, così come le scienze naturali che diventano “scienze razziali”. Il fatto è che per Hitler hanno importanza non tanto le scuole, da lui stesso poco frequentate, quanto le organizzazioni della Gioventù hitleriana.

I cristiani della più numerosa confessione cristiana presente in Germania, quella protestante, che raccoglieva i due terzi della popolazione, presto avrebbero sperimentato di persona il pugno di ferro di Hitler, sebbene la maggior parte dei pastori protestanti appoggiassero i nazionalisti e perfino i nazisti. Alla fine del 1935 vengono tratti in arresto settecento pastori della Chiesa confessionale, altri 807 pastori e personalità della stessa Chiesa nel 1937 e diverse centinaia nei due anni successivi. Nel 1938 il vescovo di Hannover, August Marahrens, ordina a tutti i pastori della sua diocesi di prestare giuramento di fedeltà al Fuhrer, cosa che sarà fatta dalla maggior parte di loro.

Per quanto riguarda i cattolici, il Concordato firmato con la Santa Sede nel luglio 1933, ossia nei primi mesi di avvio della macchina nazista, non era stato che una mossa politica per avere il favore della Chiesa. In realtà, eliminato il partito dei cattolici, il Centro, soppressi i conventi e imprigionati sacerdoti, suore e laici con le accuse più diverse o anche senza, ben presto si apre per la Chiesa cattolica un periodo di gravi difficoltà, di vera e propria persecuzione. Continuamente sorvegliati sono la predicazione e l’insegnamento religioso, come pure i pochi giornali cattolici non soppressi, costretti a pubblicare articoli tendenziosi.

Nonostante la rassicurazione contenuta nel Concordato circa la continuazione indisturbata dell’associazione della gioventù cattolica, pochi giorni dopo la sua ratifica si compiono i primi atti per sciogliere la Lega dei giovani cattolici. Nel 1936 poi Hitler dichiara fuori legge tutte le organizzazioni giovanili non naziste.

Dai sei ai diciotto anni, età della coscrizione al lavoro obbligatorio o nell’esercito, i giovani sono organizzati nella Gioventù hitleriana. In essa viene data una formazione sistematica basata sullo sport, sulla vita all’aria aperta, nello spirito dell’ideologia nazista e per i maschi come preparazione all’arte militare. A dieci anni, superato uno speciale esame di atletica, campeggio e storia, i bambini devono prestare un giuramento “al salvatore del nostro Paese, Adolf Hitler” che si concludeva con la formula “Sono disposto e pronto a dare la mia vita per lui” (citato in William Shirer, Hitler e il Terzo Reich, Vol. I, pag. 396).

L’addestramento delle ragazze è molto simile. A 18 anni molte vanno a lavorare per un anno nelle aziende agricole e le ragazze di campagna si spostano in città, sempre con l’obiettivo di facilitare il loro coinvolgimento e il loro contributo alla vita del Paese. Vivendo in promiscuità, senza controlli, si verificano molti casi di gravidanze non previste, cosa che allarma i genitori ma che non costituisce un problema per i più convinti nazisti, in quanto il compito primario delle donne è dare figli al Reich.

Pio XI (Achille Ratti, nato a Desio nel 1857 e papa dal 1922 al 1939) negli ultimi anni della sua vita manifesta un acuto e crescente rifiuto dei totalitarismi. Si radicalizza la sua condanna per gli aspetti anticristiani e disumani del nazismo e del fascismo: le discriminazioni su base razziale, l’esasperazione dei nazionalismi, la persecuzione degli ebrei, diventano per l’anziano e malato pontefice assolutamente inaccettabili.

Si arriva così alla stesura e alla pubblicazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione) il 14 marzo 1937, pubblicata in tedesco per abbreviare i tempi della sua diffusione in terra germanica. L’enciclica sancisce la rottura tra il Papa e Hitler. Il nocciolo della lettera è volto a contrastare il carattere “religioso”, idolatrico del nazismo.

La reazione tedesca sarà durissima, Hitler è furioso. Si verificano diversi episodi di ritorsioni non solo nei confronti di singoli: le tipografie che hanno stampato il documento vengono chiuse, sono perquisiti gli archivi diocesani per scovare episodi di immoralità di cui accusare religiosi e preti.

L’enciclica si articola in undici punti in cui si documenta l’ansia e l’afflizione del pontefice perché “molti abbandonano il cammino della verità”. Innanzitutto egli lamenta il fatto che il Concordato, voluto a suo tempo dal governo del Reich, non abbia impedito che l’avversione profonda contro Cristo e la Chiesa si esprimesse in lotta aperta contro le scuole confessionali e l’educazione cattolica.

Sempre riferendosi alle Sacre Scritture (le cui citazioni sono ben 37), il Papa raccomanda ai vescovi di vigilare che la fede in Dio rimanga pura e integra, contro quella indeterminatezza panteistica che identifica Dio con l’universo secondo la concezione precristiana dell’antico germanesimo. Si tratta in realtà di neopaganesimo, fatto di perniciosi errori e numerose bestemmie. Non è lecito porre accanto a Cristo, o – peggio ancora – sopra di Lui o contro di Lui un semplice mortale, fosse egli anche il più grande di tutti i tempi. In modo altrettanto stringente è necessaria la fede nella Chiesa, colonna e fondamento della verità. Parlare di una “chiesa tedesca nazionale” è rinnegare l’unica Chiesa.

Non basta però essere annoverati nella Chiesa, bisogna esserne membri vivi, dice il testo, e costituire così “esempio e guida al mondo profondamente infermo, che cerca sostegno e direzione”. Al credente non resta che la via dell’eroismo, anche a costo di gravi sacrifici. Coloro che pensano si possa impunemente separare la morale dalla religione spalancano le porte alle forze dissolvitrici, compiendo in realtà contro l’avvenire del popolo un attentato i cui tristi frutti peseranno sulle generazioni future.

Ulteriore caratteristica nefasta del tempo presente è il voler distaccare le fondamenta del diritto dalla vera fede in Dio. Al contrario, è imprescindibile il riconoscimento del diritto naturale che lo stesso Creatore ha impresso nel cuore umano: alla luce di questo devono essere valutate le leggi positive. Tra i diritti dati all’uomo da Dio per lo sviluppo del bene comune vi è il diritto essenziale dei genitori all’educazione dei figli. Leggi emanate nel recente passato che non ne tengono conto sono in contraddizione col diritto naturale, quindi immorali e non valide per la Chiesa.

La lettera si rivolge poi a quei giovani, che in un contesto inondato di contenuti avversi al cristianesimo e alla Chiesa, hanno sopportato vituperio, disprezzo e accuse a causa della loro fede. Ai giovani ricorda che la vera libertà è la libertà dei figli di Dio e che c’è un eroismo anche nella lotta morale; raccomanda di non dimenticare le grandi gesta e i molti santi che la Chiesa ha sempre prodotto. In concreto, per esempio, non è da trascurare il comandamento di santificare la domenica che lo Stato vuole dedicata a infiniti esercizi ginnici e sportivi.

Ai sacerdoti e ai religiosi viene inviato un particolare riconoscimento, specie a quelli che hanno sofferto il carcere e i campi di concentramento. Tutti loro sono esortati a “mostrare i retti sentieri” con la dottrina e con l’esempio, con la dedizione e con la pazienza. Il loro compito è servire la verità e confutare l’errore in tutte le sue forme.

(…)

https://www.ilsussidiario.net/news/storia-come-lidolatria-dello-stato-tedesco-porto-alla-rottura-tra-pio-xi-e-hitler/2817650/#:~:text=CHIESA-,STORIA/%20Come%20l%E2%80%99idolatria%20dello%20Stato%20tedesco%20port%C3%B2%20alla%20rottura%20tra%20Pio,il%20clero%20tedeschi%20che%20vi%20trovano%20autorevolmente%20indicate%20strada%20e%20direzione.,-%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20

Pasqua 2025 - Comunione e Liberazione

mercoledì 26 marzo 2025