L’ansia della pace da Pio IX a Francesco (p.Occhetta, 2023)
La Chiesa davanti alle guerre del Novecento, che hanno
provocato un numero di morti tre volte superiore a quelli che si erano avuti
dal I al XIX secolo. Quali tappe caratterizzano l’evoluzione della «teologia
della pace» nei pontificati dall’Ottocento a oggi?
Quale posizione ha assunto la Chiesa davanti alle guerre del
Novecento, che hanno provocato un numero di morti tre volte superiori a quelli
che si erano avuti dal I al XIX secolo? Quali tappe caratterizzano l’evoluzione
della «teologia della pace» nei pontificati compresi tra Pio IX e Francesco?
A partire dalla metà del secolo scorso la guerra
tradizionale si è trasforma in «guerra moderna», quella dell’era nucleare. Dopo
la caduta del Muro di Berlino (1989), invece, è cresciuto il numero dei
conflitti all’interno degli Stati, come quello in Kosovo, le «guerre
dimenticate» dell’Africa, le interminabili «guerre civili» dell’America Latina,
le rivolte del Medio Oriente.
Evolve la natura della guerra: la guerra non è più
combattuta da Stati, negli ultimi anni del secolo XX è emersa la guerra dal
«volto religioso», causata dai conflitti etnici o dal terrorismo
internazionale.
Ma non solo. I conflitti maggiori provengono dagli interessi
privati, basti pensare ai conflitti finanziari con i conseguenti mutamenti
internazionali e l’estensione del dominio privato al di là della politica
democratica. Poi, per la prima volta nella storia dei Parlamenti, non ci si è
limitati a ratificare la decisione dei propri governi (democratici o
autoritari) sulle guerre. Da Obama a Cameron e Hollande hanno dovuto fare i
conti con i loro Parlamenti. Infine il ruolo dei media diviene sempre più importante
come condizione di pace e di guerra. Insomma una prima breve conclusione ci
porta a dire che il futuro della pace passerà sempre di più attraverso il
controllo dell’opinione pubblica perchè nella società civile è cresciuta la
coscienza della pace.
La guerra come inutile strage
La riflessione sulla pace, durante il pontificato di Pio IX
(1846-78), avvicinò cattolici e protestanti che promossero insieme una scuola a
Roma per lo studio del diritto internazionale e la formazione di arbitri
internazionali indipendenti per la risoluzione dei conflitti tra Nazioni.
In questi anni uno dei contributi di maggior rilievo è stato
quello del gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio, tra i fondatori della Civiltà
Cattolica, i cui studi sulla pace e la guerra diventeranno il punto di
riferimento per il pensiero dei Papi fino a Giovanni XXIII, di giuristi e
politici. Taparelli riteneva immorale che gli Stati sovrani potessero ritenere
legittimo entrare in guerra, se un’organizzazione internazionale, che chiamò
etnarchia, avesse impedito ogni ricorso alle violenze tra Stati.
Leone XIII (1878-1903), erede di questa tradizione, iniziò a
sistematizzare una proposta di «pace politica» e nella conferenza sul disarmo
dell’Aja del 18 maggio 1899, a cui parteciparono 26 Stati, il Pontefice venne
riconosciuto da alcune Nazioni come garante dei conflitti in forza della sua
«paternità universale».
In questo periodo la Santa Sede inizia ad avere credibilità
nel campo internazionale proprio grazie al tema della pace.
La Nota ai belligeranti del 1° agosto 1917, in cui Benedetto
XV definì la guerra una «inutile strage», è stata la proposta di uno schema
dettagliato e pratico che nessun Capo di Stato riuscì a proporre per negoziare
la pace. Nonostante la sua proposta sia stata ostacolata dalle grandi potenze,
ancora oggi in campo diplomatico Benedetto XV viene considerato «il Papa della
pace».
Durante la seconda guerra mondiale, Pio XII sarà il primo
Papa ad esporre organicamente «i presupposti essenziali di un ordine
internazionale», riproponendo il pensiero di Taparelli nel radiomessaggio del
Natale del 1942.
Si calcola che durante la guerra la Chiesa guidata da Pio
XII salvò la vita a circa 800.000 ebrei. Basterebbe questo dato per rispondere
alle accuse di silenzio davanti al genocidio e di un suo presunto appoggio ai
regimi totalitari.
L’idea positiva di pace
Con Giovanni XXIII l’idea di pace diventa «positiva», il suo
significato si amplia e include i diritti umani, una nuova idea di democrazia,
la volontà di creare strutture internazionali di governo che la garantiscano.
Nell’archivio di Civiltà Cattolica è custodita una lettera
di Giovanni XIII al direttore, l’attuale card. Tucci, in cui si sottolinea la
volontà di porre le basi per un’etica civile che ricerchi la pace che non fosse
né religiosa né antireligiosa, ma «laica», fondata su una razionalità etica
condivisa dalla maggioranza che crede nella costruzione di una società
democratica. Era il sogno di Taparelli.
Con Paolo VI (1963-1978) la Chiesa introduce una vera
rivoluzione epistemologica nella dottrina sulla pace distinguendo, nel campo
della morale sociale, una doppia natura della pace: «la pace interiore» e la
«pace esteriore». I gesuiti vennero incaricati dal Papa di scrivere i più
importanti discorsi sul tema. Per studiare l’evoluzione della teologia della
pace, oltre al suo messaggio alle Nazioni Unite nel 1965 in cui gridò «mai più
la guerra» ne ricordiamo altri due ancora poco conosciuti: il radiomessaggio
del 1967: «Il cammino della pace tra i popoli passa per la “pace del cuore”» e
l’omelia del 1° gennaio 1969 nella chiesa dell’Ara Caeli a Roma. La pace, per
Paolo VI, è nutrita da una radice spirituale, è un dono che si accoglie e la
possono costruire e mantenere coloro che scoprono la pace del cuore.
Al suo pontificato dobbiamo anche l’inizio dell’«educazione
alla pace», con gli undici messaggi della Giornata mondiale della pace
(1968-1978), da lui inaugurate.
La pace come azione politica e profezia
Giovanni Paolo II difese la «pace ad ogni costo» anche
davanti a una possibile guerra totale e di religione, che molti politologi
prevedevano in seguito all’attacco di Al Quaeda alle torri gemelle. Bastava che
Giovanni Paolo II entrasse in quella trappola infernale, attaccasse
genericamente l’Islam… e il mondo si sarebbe trovato diviso e schierato in base
alla confessione religiosa. Non andò così per una scelta profetica.
In due encicliche, la Sollicitudo rei socialis (1987) e la
Centesimus Annus (1991), Giovanni Paolo II aveva posto le sue idee sulla pace
ma è nella Giornata di Assisi del 27 ottobre 1986 che presentò la sua proposta
profetica di pace. Cristiani, ebrei e musulmani si riunirono per la prima volta
per chiedere insieme il dono della pace. Il messaggio era allo stesso tempo
semplice e chiaro: l’uomo credente deve vivere e insegnare la riconciliazione,
la mediazione pacifica nei conflitti sociali, la possibilità di una vita
comunitaria autentica. Queste sono le «armi» in mano alle religioni per
costruire la pace.
Nel 1991 i gesuiti di Civiltà Cattolica scrissero un
articolo affermando che con l’avvento della «guerra totale» la guerra non è in
alcun modo permessa ed è sempre un intrinsece malum. L’articolo fu voluto e
difeso da Giovanni Paolo II. Ma il mondo cattolico si divise. Viene così
superata la dottrina tradizionale della guerra giusta.
Per i gesuiti, si legge negli archivi ancora segreti della
Civiltà Cattolica, la questione, oltre ad essere di natura epistemologica, è
anche semantica. Cambiando la sua natura, la guerra deve cambiare anche il
linguaggio che la spieghi. La Chiesa di Giovanni Paolo II chiede di abbandonare
l’uso della parola «guerra» e parla di «conflitti armati», che giustifica nei
casi di legittima difesa e di ingerenza umanitaria.
Benedetto XVI ha consolidato la prassi e la dottrina
precedente. Durante il suo pontificato gli sforzi della Chiesa in campo
diplomatico hanno puntato sulla prevenzione della pace, chiamata anche
transitional justice. Durante il suo discorso alle Nazioni Unite del 18 ottobre
2008, ha accolto il principio di «responsabilità di proteggere» (The
responsibility to protect). Ma l’impegno della Chiesa è anche sullo ius
prae-bellum. La dottrina sociale della Chiesa chiede di investire nella
formazione, nello sviluppo economico, nelle buone governances, nelle
organizzazioni internazionali, nell’impegno a sottoscrivere patti regionali.
Concretamente si stanno appoggiando le politiche di riduzione degli armamenti
nucleari e la riforma del Consiglio di Sicurezza, che tenga in debito conto i
mutati equilibri geopolitici.
La pace da costruire nelle periferie sociali
In questa “nuova” situazione sociale ed ecclesiale papa
Francesco ha assunto un atteggiamento peculiare di fronte alla grande missione
della Chiesa sul tema della Pace. Certo si rivolge alla politica, ma i suoi
rappresentanti non sono i suoi interlocutori privilegiati. Innanzitutto il Papa
ha compreso che il problema oggi non si pone più in termini «nazionali» come
per i suoi predecessori; anche quando i conflitti sono apparentemente limitati,
in realtà sono conflitti globali in quanto anche nel piccolo sono coinvolti gli
stessi attori che gestiscono le scene internazionali. La soluzione che papa
Francesco sta proponendo è quella del bottom up, dal basso, dai corpi
intermedi, dalle associazioni, Ong, sindacati ecc., il mondo del terzo settore,
quello del welfare state.
Per questo il Papa parla sempre più di portare la pace dove
c’è violenza. E lo fa con la preghiera. Una veglia di pace davanti al
Santissimo per chiedere di evitare un attacco della Siria è stata una «bomba di
pace» a cui hanno aderito tutti gli uomini di buona volontà.
Una forma di guerra secondo il Pontefice è ciò che anima la
tratta delle persone, le ingiustizie sociali ecc. Sono dunque le “periferie” da
ri-pacificare! Il modo per farlo è quello studiato negli ultimi anni del
Novecento. Rompere, attraverso la cultura e l’educazione, il duopolio di Hobbes
dove l’altro è il possibile nemico, e favorire, attraverso processi di
riconciliazione civile, l’amicizia civica in cui l’altro è concittadino.
Portare pace alle «guerre sociali» comporterà una nuova ricollocazione della
natura delle guerre: l’impegno a portare la pace nell’economia e nella scuola,
fino alla ricerca scientifica per preparare non «individui egoisti», ma
«persone in relazione e interconnesse» l’una con l’altra per cooperare insieme.
La parola d’ordine sulla pace di papa Francesco è
“pacificazione”. E questa grazie sia alla misericordia di un dono, che è quello
del perdono, che fa cambiare le sorti della storia e sia all’ascolto maturo
della voce della propria coscienza che aiuta a rispettare un principio antico:
bonum faciendum et male vitandum.
Da più di un secolo la Chiesa è ritornata a parlare in forma
esplicita e radicale del «Vangelo di pace» (At 10,36) davanti alla guerra, e lo
fa senza assumere posizioni “ideologicamente pacifiste”, ma realiste, possibili
nella contingenza della storia. I Pontefici si sono mossi con una
preoccupazione comune: proteggendo i più deboli nei conflitti, limitando i
danni delle guerre, costruendo coscienze e comunità di pace.
Per noi questo insegnamento è un’eredità da vivere.
(….)
https://www.sussidiarieta.net/cn1583/l-ansia-per-la-pace-da-pio-ix-a-papa-francesco.html#:~:text=La%20Chiesa%20davanti,un%E2%80%99eredit%C3%A0%20da%20vivere.