«La Chiesa, un luogo per tutti»
Oggi in Vaticano la testimonianza di Camilo Conejeros e
Margarita Sillano all’incontro annuale dei moderatori delle associazioni
internazionali di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. Su
Tracce di novembre la storia di questa giovane coppia e di come accompagnano i
ragazzi “irrecuperabili” di El Duraznal a Santiago del Cile
Santiago, capitale del Cile. Sorge in un’antica e florida
vallata sulle sponde del fiume Mapocho ed è circondata dalle maestose cime
della Cordigliera delle Ande. L’architettura disordinata, i quartieri vivaci,
le colline con i punti panoramici sponsorizzati dalle guide turistiche: sono
tante le bellezze di questa città sudamericana fondata nel giorno di Santa
Lucia, il 13 dicembre 1541. Solo che chi ci abita, spesso, non ha l’opportunità
di vederle perché la durezza della vita quotidiana impedisce anche solo di
alzare lo sguardo. Basti pensare alla gente di El Duraznal, un’area vulnerabile
della periferia di Puente Alto, un sobborgo della capitale. Omicidi, spaccio,
regolamenti di conti tra bande, abbandono scolastico, famiglie disfunzionali
sono la norma in questo angolo di mondo.
In quelle strade e in quelle case, affacciati alle finestre
o rincorrendo un pallone, vivono moltissimi bambini e adolescenti. Spesso senza
genitori – perché sono morti o in carcere oppure non in grado di provvedere
loro – né figure adulte di riferimento. La nostra storia inizia qui, in queste
vie caotiche dove alcuni giovani universitari, seguendo le orme degli amici
sacerdoti della Fraternità San Carlo Borromeo, cominciano nel 2017 ad andare a
cercare questi ragazzi. Semplicemente per fare loro compagnia. Tra loro ci sono
Camilo e Margarita. «Ho conosciuto il movimento a 14 anni frequentando la
parrocchia dove alcuni preti della San Carlo erano arrivati in missione», dice
lui. «Nel 2014, per un ritiro quaresimale, ho incontrato Margarita». I due
cominciano a uscire insieme, si fidanzano e nel 2022 si sposano. Iniziano a
lavorare: lui come maestro di matematica, lei come terapeuta occupazionale,
dedita alla riabilitazione e al reinserimento sociale di soggetti fragili, con
problemi di droga.
Racconta Camilo: «Nel 2017 andavamo all’università ed
eravamo diventati molto amici di don Lorenzo Locatelli, uno dei missionari di
Puente Alto. Quell’anno avevo molto tempo libero perché ormai seguivo solo due
corsi. Sapevo che don Lorenzo andava nel Duraznal durante la settimana e decisi
di aiutarlo. Mi lanciai proponendo un laboratorio di basket per i ragazzi. Dopo
un’ora mi fu chiaro che non avrebbe funzionato: a loro interessava solo il
calcio. Non ci siamo scoraggiati e, insieme a Margarita e altri amici, abbiamo
continuato ad andare: è nata una caritativa che dura ancora oggi».
«La caritativa a El Duraznal ci ha insegnato un metodo, ci
ha consegnato la forma con la quale vogliamo vivere. Al servizio degli altri,
disponibili ad accogliere ma sempre seguendo qualcuno»
Il gesto è semplice: si va nelle case e per le strade a
chiamare i bambini e gli adolescenti, li si invita all’oratorio per giocare, si
fa merenda con pane e cioccolato e poi, per chi vuole, verso sera c’è la Messa.
«Da qualche tempo c’è anche un piccolo momento di dialogo, che noi chiamiamo
“raggio”, che dura una ventina di minuti. Un giorno», ricorda ancora Camilo,
«un ragazzo venne da me dicendomi di avere tantissime domande sulla vita. Gli
proposi di trovarci per parlarne, lui lo disse ai suoi amici, e così è nato il
raggio. Un luogo dove parliamo di tutto: della solitudine, del dolore, dei
primi innamoramenti».
Margarita ascolta Camilo sorridendo. Non lo interrompe mai,
si lasciano la parola l’uno con l’altro. «Ci siamo resi conto, con il passare
dei mesi, che la caritativa nel Duraznal ci insegnava un metodo, ci consegnava
la forma con la quale volevamo vivere. Cioè al servizio degli altri,
disponibili ad accogliere ma sempre seguendo qualcuno. Volevamo servire la vita
della Chiesa, costruirla anche noi». Non sono parole vuote. E infatti ricordano
a uno a uno i nomi e i volti di questi giovani, anche di quelli che se ne sono
andati. «Il primo fu Brando. Viveva con la zia, senza genitori perché erano nel
mondo della droga. Ricordo ancora quando si fermò a Messa per la prima volta.
Davanti a noi il Crocifisso e due statue: la Madonna e san Giuseppe. Mi chiese
chi fossero. Non li aveva mai visti. Iniziò a fare il chierichetto finché un
giorno mi chiese se poteva vivere con me. Risposi di no, perché all’epoca ero
solo un povero universitario spiantato che abitava ancora con la mamma».
Quel giorno, il Vangelo della Messa raccontava l’episodio in
cui Gesù diceva che chi accoglie i bambini accoglie Lui. «Rimasi di sasso»,
racconta Camilo. «Qualche tempo dopo, Brando se ne andò. Ero triste, raccontai
a casa quello che era successo e mia madre disse che lei avrebbe desiderato
accogliere in casa un bambino bisognoso». Le cose non vanno sempre come
sperato. «La sera stessa Margarita mi chiamò per dirmi che una sua amica voleva
abortire. Le parole di mia mamma e quanto vissuto con Brando ci fecero
accorgere che saremmo stati disposti ad accogliere noi quel bambino se la
gravidanza fosse proseguita». Il piccolo non nacque, Brando non è mai tornato.
Ma Dio ha donato a questa giovane coppia, negli anni a venire, molto più di
quanto potesse immaginare.
La caritativa infatti prosegue, passano tre anni, e
Margarita si accorge che pallone e corda per saltare non bastano più. «I
bambini iniziavano a diventare grandi e in noi maturava la preoccupazione: cosa
proponiamo a loro? Prima o poi dovremo parlare di Gesù, di questo Amico che ha
preso la nostra vita e l’ha resa così bella». La parrocchia della San Carlo
conta infatti sette cappelle, tutte erette da gente del posto, e le attività
sono tante: catechismo, oratorio, Messa, momenti di convivenza detti campamentos.
Perché non proporre anche al “gruppo del Duraznal” una vacanza insieme? Il
rischio, si dicono, è elevato perché non sono soggetti semplici. Ma vale la
pena tentare.
«Due anni fa abbiamo fatto il primo campo fuori Santiago.
Insieme a don Lorenzo, abbiamo deciso in quei giorni di dire loro finalmente
chi è Gesù, chi è l’Amico cui consegniamo la nostra vita. Li abbiamo portati
davanti a una cascata imponente, siamo stati tutti in silenzio e poi abbiamo
spiegato che quella cascata è stata fatta da qualcuno che ci ama e ci ha
chiamato per nome. Poi abbiamo letto insieme il Vangelo su Giovanni e Andrea.
C’era un’attenzione in ciascuno di quei ragazzi… inimmaginabile». Quella prima
vacanza, dicono, è stata uno spartiacque. «Loro stavano aspettando qualcosa di
grande per la loro vita», dice Margarita. «È stato commovente assistere al
risveglio del desiderio del loro cuore. E nelle cinque ore di auto che da
Santiago ci portavano alla vacanza, l’altra cosa commovente è stata che hanno
cominciato a chiamare me e Camilo mamma e papà».
«Tanti anni fa, pensavo che la Chiesa non potesse arrivare
dappertutto: la povertà, le famiglie distrutte, la disperazione nera. Come
poteva Dio abitare lì? Ora ho visto che non è così. Il Signore risponde»
Mentre parla, Margarita mostra il disegno di una cascata,
con la scritta «Finalmente libero». Lo ha fatto uno di quei ragazzi, due anni
dopo quella prima esperienza. Anche la vacanza successiva è un passo di
maturazione. Camilo apre infatti il suo cuore durante una serata insieme,
raccontando di suo padre alcolizzato e abbandonato da tutti. «Continuo a
stargli vicino perché nella Chiesa e nel movimento ho imparato che le ferite si
possono guardare e mettere davanti a Dio. Il giorno dopo abbiamo tenuto un’assemblea
e i ragazzi hanno cominciato a condividere i dolori delle loro vite».
Tutti parlano, raccontano, piangono nello scoprire che le
difficoltà che vivono sono storia comune. E che ora hanno un luogo dove poterle
consegnare. Tutti. Tranne uno. Se ne sta sprofondato nel divano, cappuccio ben
calato in testa, silenzioso. Durante il tragitto per rientrare a Santiago, quel
ragazzo ombroso è in auto proprio con i due giovani sposi. Improvvisamente
inizia a vuotare il sacco. Un mese dopo quell’episodio, durante un raggio alla
caritativa, dirà davanti a tutti: «Ho scoperto qui che la mia vita è amata, ho
lasciato la marijuana perché ho incontrato qualcuno che mi ama». Camilo e
Margarita, con don Lorenzo e gli altri amici del movimento, capiscono che è il
momento di parlare seriamente del cammino cristiano a quei ragazzi. Camilo: «Ho
semplicemente spiegato loro che nella mia vita la felicità coincide con
l’incontro cristiano, che è sperimentare il centuplo. Perché ora ho dieci
padri, molti amici, una moglie stupenda e una bella famiglia. “Vi interessa?”.
Hanno risposto tutti di sì e così è iniziato il catechismo del sabato».
Molti giovani del Duraznal hanno chiesto il Battesimo, hanno
iniziato il cammino dei Sacramenti e in alcuni casi anche le loro famiglie li
hanno seguiti.
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