venerdì 6 giugno 2025


 

«La Chiesa, un luogo per tutti»

Oggi in Vaticano la testimonianza di Camilo Conejeros e Margarita Sillano all’incontro annuale dei moderatori delle associazioni internazionali di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. Su Tracce di novembre la storia di questa giovane coppia e di come accompagnano i ragazzi “irrecuperabili” di El Duraznal a Santiago del Cile

 

Santiago, capitale del Cile. Sorge in un’antica e florida vallata sulle sponde del fiume Mapocho ed è circondata dalle maestose cime della Cordigliera delle Ande. L’architettura disordinata, i quartieri vivaci, le colline con i punti panoramici sponsorizzati dalle guide turistiche: sono tante le bellezze di questa città sudamericana fondata nel giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre 1541. Solo che chi ci abita, spesso, non ha l’opportunità di vederle perché la durezza della vita quotidiana impedisce anche solo di alzare lo sguardo. Basti pensare alla gente di El Duraznal, un’area vulnerabile della periferia di Puente Alto, un sobborgo della capitale. Omicidi, spaccio, regolamenti di conti tra bande, abbandono scolastico, famiglie disfunzionali sono la norma in questo angolo di mondo.

In quelle strade e in quelle case, affacciati alle finestre o rincorrendo un pallone, vivono moltissimi bambini e adolescenti. Spesso senza genitori – perché sono morti o in carcere oppure non in grado di provvedere loro – né figure adulte di riferimento. La nostra storia inizia qui, in queste vie caotiche dove alcuni giovani universitari, seguendo le orme degli amici sacerdoti della Fraternità San Carlo Borromeo, cominciano nel 2017 ad andare a cercare questi ragazzi. Semplicemente per fare loro compagnia. Tra loro ci sono Camilo e Margarita. «Ho conosciuto il movimento a 14 anni frequentando la parrocchia dove alcuni preti della San Carlo erano arrivati in missione», dice lui. «Nel 2014, per un ritiro quaresimale, ho incontrato Margarita». I due cominciano a uscire insieme, si fidanzano e nel 2022 si sposano. Iniziano a lavorare: lui come maestro di matematica, lei come terapeuta occupazionale, dedita alla riabilitazione e al reinserimento sociale di soggetti fragili, con problemi di droga.

Racconta Camilo: «Nel 2017 andavamo all’università ed eravamo diventati molto amici di don Lorenzo Locatelli, uno dei missionari di Puente Alto. Quell’anno avevo molto tempo libero perché ormai seguivo solo due corsi. Sapevo che don Lorenzo andava nel Duraznal durante la settimana e decisi di aiutarlo. Mi lanciai proponendo un laboratorio di basket per i ragazzi. Dopo un’ora mi fu chiaro che non avrebbe funzionato: a loro interessava solo il calcio. Non ci siamo scoraggiati e, insieme a Margarita e altri amici, abbiamo continuato ad andare: è nata una caritativa che dura ancora oggi».

«La caritativa a El Duraznal ci ha insegnato un metodo, ci ha consegnato la forma con la quale vogliamo vivere. Al servizio degli altri, disponibili ad accogliere ma sempre seguendo qualcuno»

Il gesto è semplice: si va nelle case e per le strade a chiamare i bambini e gli adolescenti, li si invita all’oratorio per giocare, si fa merenda con pane e cioccolato e poi, per chi vuole, verso sera c’è la Messa. «Da qualche tempo c’è anche un piccolo momento di dialogo, che noi chiamiamo “raggio”, che dura una ventina di minuti. Un giorno», ricorda ancora Camilo, «un ragazzo venne da me dicendomi di avere tantissime domande sulla vita. Gli proposi di trovarci per parlarne, lui lo disse ai suoi amici, e così è nato il raggio. Un luogo dove parliamo di tutto: della solitudine, del dolore, dei primi innamoramenti».

Margarita ascolta Camilo sorridendo. Non lo interrompe mai, si lasciano la parola l’uno con l’altro. «Ci siamo resi conto, con il passare dei mesi, che la caritativa nel Duraznal ci insegnava un metodo, ci consegnava la forma con la quale volevamo vivere. Cioè al servizio degli altri, disponibili ad accogliere ma sempre seguendo qualcuno. Volevamo servire la vita della Chiesa, costruirla anche noi». Non sono parole vuote. E infatti ricordano a uno a uno i nomi e i volti di questi giovani, anche di quelli che se ne sono andati. «Il primo fu Brando. Viveva con la zia, senza genitori perché erano nel mondo della droga. Ricordo ancora quando si fermò a Messa per la prima volta. Davanti a noi il Crocifisso e due statue: la Madonna e san Giuseppe. Mi chiese chi fossero. Non li aveva mai visti. Iniziò a fare il chierichetto finché un giorno mi chiese se poteva vivere con me. Risposi di no, perché all’epoca ero solo un povero universitario spiantato che abitava ancora con la mamma».

Quel giorno, il Vangelo della Messa raccontava l’episodio in cui Gesù diceva che chi accoglie i bambini accoglie Lui. «Rimasi di sasso», racconta Camilo. «Qualche tempo dopo, Brando se ne andò. Ero triste, raccontai a casa quello che era successo e mia madre disse che lei avrebbe desiderato accogliere in casa un bambino bisognoso». Le cose non vanno sempre come sperato. «La sera stessa Margarita mi chiamò per dirmi che una sua amica voleva abortire. Le parole di mia mamma e quanto vissuto con Brando ci fecero accorgere che saremmo stati disposti ad accogliere noi quel bambino se la gravidanza fosse proseguita». Il piccolo non nacque, Brando non è mai tornato. Ma Dio ha donato a questa giovane coppia, negli anni a venire, molto più di quanto potesse immaginare.

La caritativa infatti prosegue, passano tre anni, e Margarita si accorge che pallone e corda per saltare non bastano più. «I bambini iniziavano a diventare grandi e in noi maturava la preoccupazione: cosa proponiamo a loro? Prima o poi dovremo parlare di Gesù, di questo Amico che ha preso la nostra vita e l’ha resa così bella». La parrocchia della San Carlo conta infatti sette cappelle, tutte erette da gente del posto, e le attività sono tante: catechismo, oratorio, Messa, momenti di convivenza detti campamentos. Perché non proporre anche al “gruppo del Duraznal” una vacanza insieme? Il rischio, si dicono, è elevato perché non sono soggetti semplici. Ma vale la pena tentare.

«Due anni fa abbiamo fatto il primo campo fuori Santiago. Insieme a don Lorenzo, abbiamo deciso in quei giorni di dire loro finalmente chi è Gesù, chi è l’Amico cui consegniamo la nostra vita. Li abbiamo portati davanti a una cascata imponente, siamo stati tutti in silenzio e poi abbiamo spiegato che quella cascata è stata fatta da qualcuno che ci ama e ci ha chiamato per nome. Poi abbiamo letto insieme il Vangelo su Giovanni e Andrea. C’era un’attenzione in ciascuno di quei ragazzi… inimmaginabile». Quella prima vacanza, dicono, è stata uno spartiacque. «Loro stavano aspettando qualcosa di grande per la loro vita», dice Margarita. «È stato commovente assistere al risveglio del desiderio del loro cuore. E nelle cinque ore di auto che da Santiago ci portavano alla vacanza, l’altra cosa commovente è stata che hanno cominciato a chiamare me e Camilo mamma e papà».

«Tanti anni fa, pensavo che la Chiesa non potesse arrivare dappertutto: la povertà, le famiglie distrutte, la disperazione nera. Come poteva Dio abitare lì? Ora ho visto che non è così. Il Signore risponde»

Mentre parla, Margarita mostra il disegno di una cascata, con la scritta «Finalmente libero». Lo ha fatto uno di quei ragazzi, due anni dopo quella prima esperienza. Anche la vacanza successiva è un passo di maturazione. Camilo apre infatti il suo cuore durante una serata insieme, raccontando di suo padre alcolizzato e abbandonato da tutti. «Continuo a stargli vicino perché nella Chiesa e nel movimento ho imparato che le ferite si possono guardare e mettere davanti a Dio. Il giorno dopo abbiamo tenuto un’assemblea e i ragazzi hanno cominciato a condividere i dolori delle loro vite».

Tutti parlano, raccontano, piangono nello scoprire che le difficoltà che vivono sono storia comune. E che ora hanno un luogo dove poterle consegnare. Tutti. Tranne uno. Se ne sta sprofondato nel divano, cappuccio ben calato in testa, silenzioso. Durante il tragitto per rientrare a Santiago, quel ragazzo ombroso è in auto proprio con i due giovani sposi. Improvvisamente inizia a vuotare il sacco. Un mese dopo quell’episodio, durante un raggio alla caritativa, dirà davanti a tutti: «Ho scoperto qui che la mia vita è amata, ho lasciato la marijuana perché ho incontrato qualcuno che mi ama». Camilo e Margarita, con don Lorenzo e gli altri amici del movimento, capiscono che è il momento di parlare seriamente del cammino cristiano a quei ragazzi. Camilo: «Ho semplicemente spiegato loro che nella mia vita la felicità coincide con l’incontro cristiano, che è sperimentare il centuplo. Perché ora ho dieci padri, molti amici, una moglie stupenda e una bella famiglia. “Vi interessa?”. Hanno risposto tutti di sì e così è iniziato il catechismo del sabato».

Molti giovani del Duraznal hanno chiesto il Battesimo, hanno iniziato il cammino dei Sacramenti e in alcuni casi anche le loro famiglie li hanno seguiti.

 

(…) https://www.clonline.org/it/attualita/articoli/camilo-margarita-el-duraznal-cile#:~:text=Il%20gesto%20%C3%A8,Iscriviti