Ucraina, la protesta
è questione di fede
di Cristofaro Sola
14 marzo 2014ESTERI
Inoltre, tra le diverse confessioni corre una linea di faglia che le separa in due distinti universi: da una parte le Chiese ortodosse che hanno nel Patriarcato di Mosca la realtà più consistente, dall’altra quelle che, ispirate inzialmente alla Chiesa di Bisanzio, nel corso dei secoli si sono ricollegate a Roma riconoscendo la suprema autorità del soglio pontificio. L’avvento del comunismo nell’area dell’Est europeo, tollerando l’esistenza del rito ortodosso e agendo con ferocia nella repressione e nella distruzione di ogni altra espressione di fede, ha contribuito a fomentarne l’acredine e il reciproco sospetto. Il fatto che le gerarchie del Patriarcato di Mosca non mossero un dito per difendere “i fratelli separati” provocò nei rapporti interreligiosi un vulnus di cui ancora oggi si scorgono i segni. La fine del totalitarismo comunista, per una sorta di contrappasso, ha dato fiato alla moltiplicazione delle comunità ecclesiali, al punto che anche la granitica Chiesa ortodossa del patriarco di Mosca, proprio in Ucraina, ha conosciuto due scissioni con la nascita, nel 1992, del Patriarcato Ortodosso di Kiev e, prima ancora nel 1990, della Chiesa ortodossa ucraina autocefala (Coua).
Ma allo stato dei fatti quella che desta maggiore interesse è la posizione della Chiesa Uniate apertamente accusata, dalla frazione filorussa, di essere stata parte del motore della rivolta. Secondo il deposto governo i suoi sacerdoti sarebbero stati sempre accanto ai manifestanti pro- europei per protestare contro il governo legittimo di Janukovyč e contro la sua scelta di non firmare l’accordo di associazione all’Unione europea. La Chiesa Uniate di Ucraina, definita anche greco-cattolica, si richiama nei suoi fondamenti al cattolicesimo, ma dalla Chiesa di Roma mantiene un’autonomia funzionale e organizzativa. Il rituale liturgico è quello bizantino della Chiesa d’Oriente. Fondata nel 1596, quando un gruppo di fedeli e di clero scelse di non seguire la Chiesa ortodossa per restare fedele al Magistero pontificale, attualmente è retta dal primate arcivescovo maggiore Svjatoslav Ševčuk, dalla sede di Kiev. Fino al 2005 l’arcieparchia era insediata nella città di Leopoli, nell’estremo Ovest dell’Ucraina.
Il termine Uniate deriva dal russo “Uniat” e dal latino “unum”. Gli uniati non hanno mai avuto vita facile, essi hanno per secoli subito il potere sia dei polacchi che dei russi. Con la dittatura comunista vi è un conto ancora aperto a causa della durezza con la quale i sovietici li trattarono. Vi furono anni di violenze e deportazioni giustificate come rappresaglia per l’appoggio offerto dagli uniati all’occupazione tedesca durante il Secondo conflitto mondiale. Nel 1946, Stalin costrinse al silenzio l’episcopato ucraino mediante l’autoscioglimento della Chiesa Uniate e l’incorporazione della sua comunità ecclesiale nella Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Mosca. Con il Sinodo di Leopoli tutti i suoi beni vennero trasferiti alla Chiesa ortodossa. Soltanto alla fine della “guerra fredda”, nel 1989, per intercessione di Giovanni Paolo II, l’allora presidente dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, consentì alla Chiesa Uniate ucraina di staccarsi da quella russa, recuperando i beni che le erano stati portati via nel 1946.
Questi precedenti storici aiutano a comprendere l’attualità. La Chiesa greco-cattolica ucraina si presenta forte di oltre 4 milioni di fedeli, distribuiti tra la patria d’origine, in prevalenza nella parte occidentale del Paese, e altri Stati tra cui la Germania, la Francia, la Polonia e gli Stati Uniti. Il suo clero è impegnato in prima linea a sostenere le ragioni della popolazione autoctona in opposizione alla frazione russofona che abita le regione orientali e meridionali del Paese. D’altro canto l’episcopato uniate, schierato per la difesa dell’indipendenza del Paese, non è nuovo nell’assunzione di posizioni politiche contro l’establishment, al potere fino alla cacciata di Janukovyč. Gli uniati hanno sempre giudicato il governo dei leader-fantoccio messi al vertice del Paese dai “burattinai” del Cremlino, alla stregua di una satrapia. Essi hanno denunciato gli interessi privati che un amalgama di politici e di oligarchi della finanza, dediti alla corruzione e al latrocinio, ha perseguito con avidità ai danni del popolo.
Anche durante la Rivoluzione arancione della metà dello scorso decennio i vescovi uniati non mancarono di far sentire la loro voce a sostegno delle rivendicazioni di libertà e di riscatto nazionale. “Quando il popolo scende in piazza pacificamente per difendere i propri diritti costituzionali, non è una massa oscura “fuori strada”. Sono persone coraggiose, responsabili e con spirito di sacrificio, che dovrebbero essere onorati e la voce dei quali deve essere ascoltata, giacché “la voce del popolo è la voce di Dio” fu l’esortazione del Sinodo dei Vescovi della Metropolia di Kyiv-Halyc della Chiesa greco-cattolica Ucraina ai fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà in occasione dei moti di piazza del novembre 2004.
L’ostilità della Chiesa Uniate di Ucraina per ciò che è influenzato dal Cremlino ha funzionato da propellente, in queste giornate, per la rivolta di piazza Majdan e per il ritorno di uno spirito ultranazionalista che solleva dubbi sulle prospettive di dialogo. Sebbene il primate Ševčuk, nei suoi appelli, abbia deprecato il ricorso alla violenza e abbia parlato di pace, il suo clero ha piantato le tende in piazza durante la rivolta e ha celebrato messa, dando sostegno religioso all’azione dei manifestanti. Lo spirito di Giovanni Paolo II, che aveva sperato di fare della risorta Chiesa greco- cattolica di Ucraina un ponte verso la riconciliazione con il mondo delle Chiese ortodosse d’Oriente, è stato ancora una volta disatteso.
Le informazioni che provengono da quella realtà confermano che tra i partiti principali a cui è oggi affidata la responabilità di sostenere il governo d’emergenza, cioè tra il nuovo partito “Unione Pan-Ucraina Patria”di Julija Tymošenko, quello dell’Udar dell’ex pugile Vitalij Volodymyrovyč Klyčko, e l’estrema destra di Svoboda, permane un forte sentimento di reciproca diffidenza, solo lievemente placato dal precipitare degli avvenimenti. In realtà, è prevedibile che presto la piazza torni a farsi sentire per chiedere conto anche alle forze tradizionali filoccidentali i trascorsi dei loro leader, non proprio limpidi dal punto di vista della morale pubblica. Ciò darebbe un ulteriore vantaggio alle correnti ultranazionalistiche che non fanno mistero di voler prendere la guida del Paese. L’attuale primo ministro ad interim, Arseniy Yatseniuk, nel corso della recente visita alla Casa Bianca ha dichiarato con notevole enfasi che il futuro dell’Ucraina è nel mondo occidentale: “Lottiamo per la libertà e non ci arrenderemo mai”. Tradotto: non ci piegheremo ai diktat di Mosca.
Quale sarà allora la posizione della Chiesa Uniate? Agirà da forza moderatrice per sostenere il dialogo e il negoziato pacifico o funzionerà ancora da catalizzatrice della protesta per spingere la situazione fino alle estreme conseguenze? Solo le prossime giornate potranno sciogliere tutti i dubbi di queste ore. Tuttavia di una cosa si può essere certi: se in una guerra, a tutti i possibili moventi, si antepone quello della fede il popolo combatterà con assoluto sprezzo del pericolo perché crederà che la sua voce sia quella di Dio e anche la sua forza sia quella di Dio. Le identiche cose che dal pulpito predicano i vescovi uniati.