martedì 10 dicembre 2024

Centenario della nascita di don Oreste Benzi

 


«Chi vuole stare in piedi, impari a inginocchiarsi»

Nel centenario dalla nascita di don Benzi, il sacerdote “dalla tonaca lisa” rimane segno dell’amore di Cristo per ultimi ed esclusi. Anche oltre la comunità e le case-famiglia da lui fondate

 

10.12.2024

Valerio Lessi

Cento anni e li porta benissimo. Nel centenario della nascita e a diciassette anni dalla salita al cielo, il carisma di don Oreste Benzi, il sacerdote dalla tonaca lisa, è vivo e vivace più che mai. La Comunità Papa Giovanni XXIII, da lui fondata, è diffusa nei cinque continenti (in 40 paesi complessivamente), conta in tutto il mondo più di 520 strutture di accoglienza per poveri ed emarginati, mette a tavola ogni giorno, a pranzo e a cena, circa 50mila persone. E molti anelli di questa formidabile rete di condivisione si sono aggiunti dopo la scomparsa del sacerdote.

 

Ma chi era don Oreste Benzi? Molti ricordano il suo pacioso volto rotondo sempre sorridente, le sue veementi parole in difesa dei diritti degli emarginati, il suo modo affascinante e convincente di annunciare Gesù Cristo. Papa Benedetto XVI lo aveva definito un «infaticabile apostolo della carità». I suoi amici lo ricordano come un maestro di preghiera, come un uomo di azione che affonda le sue radici nella contemplazione. Del resto, uno dei suoi fortunati slogan era: «Chi vuole stare in piedi e camminare, impari a stare in ginocchio». Chiaro, no? 

 

Molti lo ricordano come un profeta del nostro tempo, il fautore di un cristianesimo che non accetta la riduzione a devozione ma vuole essere rivoluzione di sé, cambiamento di mentalità da cui nasce un popolo nuovo. Per don Benzi, come per don Giussani, il cristianesimo è una rivoluzione di sé.

 

Il Sessantotto è uno spartiacque per il sacerdote nato il 7 settembre 1925 da una famiglia povera, in un paesino delle colline riminesi. Diventa parroco (e incredibilmente lo rimane fino all’età della pensione) e fonda il primo nucleo della Comunità Papa Giovanni XXIII. Cosa aveva fatto fino a quel momento? Era stato un educatore, con un occhio particolare ai preadolescenti, ai pre-ju, come li si chiamava negli anni Cinquanta e Sessanta. Don Oreste capisce che è facile in quell’età, dove si formano le convinzioni fondamentali della vita, che i ragazzi abbandonino la Chiesa. Anche il sacerdote riminese, come il milanese don Giussani, non si illude sulla durata di certo trionfalismo cattolico che ancora riempie le piazze. Egli si adopera perché quei ragazzi così fragili rispetto alla fede facciano un incontro simpatico con Cristo. Generazioni di riminesi sono stati almeno una volta ad Alba di Canazei, nella Casa Madonna delle Vette, da lui voluta perché nella contemplazione della bellezza delle Dolomiti scattasse l’incontro con Cristo.

 

Il cammino di don Oreste non è stato costruito a tavolino, ha proceduto per incontri successivi, per concreti suggerimenti dello Spirito Santo. Nel Sessantotto è chiamato a insegnare catechismo in una struttura per ragazzi spastici. È la scoperta di un mondo, da quel momento lega la sua vita alla loro. La sequela di Cristo povero assume una declinazione immediata: la condivisione di vita. Non si fanno le cose per loro, ma insieme a loro, si vive con loro. Anche ciò che è stato definito il carisma suo e della Comunità si precisa nel tempo: seguire e conformare la propria vita a Cristo povero, è la scelta fondamentale, dalla quale derivano cinque punti: condividere la vita egli ultimi, condurre una vita da poveri, fare sazio alla preghiera e alla contemplazione, lasciarsi guidare dall’obbedienza, vivere la fraternità. Non è una vita facile, infatti don Benzi ha immaginato l’adesione alla Comunità come una vocazione a cui si è chiamati (e c’è anche un anno di verifica per scoprire se quella vita fa per sé).

 

Il 1973 è l’anno della grande invenzione di don Benzi: la casa famiglia. Oggi ce ne sono più di 260 diffuse in tutto il mondo. Sono vere famiglie (non istituti travestiti da famiglie), dove un babbo e una mamma (ma anche solo una mamma, una donna consacrata) accolgono nell’amore figli propri e quanti sono scartati dalla società. La casa famiglia sorge nell’animo di don Oreste perché lui desidera che ogni minore abbia una vera famiglia, non il surrogato di un istituto. Spesso, alle coppie di giovani che si sposano, porta la sua benedizione e, per regalo, un bimbo senza genitori. «Dare una famiglia a chi non ce l’ha», «Dio ha creato la famiglia, non gli istituti». Quante battaglie ha compiuto don Oreste su questo tema. Sì, perché lui sia per i minori che per i tossicodipendenti, per gli spastici come per le prostitute, l’impegno di carità va sempre accompagnato all’impegno per la giustizia. E così, passo dopo passo, prende forma in lui l’idea di «società del gratuito».

 

A volte è la Chiesa a chiamare don Benzi e la sua comunità verso nuove frontiere. All’inizio degli anni Ottanta il vescovo di Rimini Giovanni Locatelli lo invita a occuparsi del problema emergente dei tossicodipendenti. Lui parte, studia, segue le tracce di altri cattolici che si sono cimentati con questa tragedia. Ben presto elabora un suo metodo e seguendolo compie una scoperta: non appena i tossicodipendenti riprendono in mano la loro umanità, spontaneamente, senza forzature, rinasce il loro il senso religioso. Sono gli anni in cui abbondano i convegni su tossicodipendenza e senso religioso, con don Benzi che insiste: «L’uomo è essenzialmente un essere religioso».

 

(…)

https://www.clonline.org/it/attualita/articoli/chi-vuole-stare-in-piedi-impari-a-inginocchiarsi#:~:text=CHIESA-,%C2%ABChi%20vuole%20stare%20in%20piedi%2C%20impari%20a%20inginocchiarsi%C2%BB,Iscriviti%20alla,-newsletter