ALDO
TRENTO/ La forza di dare tutto: un uomo “ferito” da Cristo e don Giussani
ieri è nato al Cielo padre Aldo Trento (1947-2024). Aderì
alla Fraternità San Carlo e andò missionario in Paraguay. Il ricordo
dell'autore
Alfredo Tradigo Pubblicato 21 Dicembre 2024
Cercando di guardare all’essenziale, e con gli occhi del
cuore, che cosa resta, cosa ci tramanda, cosa ci insegna padre Aldo Trento con
la sua vita ben spesa, una vita al servizio di Dio, prima in Italia e poi nei
trentacinque lunghi anni vissuti in missione in Paraguay? Innanzitutto, padre
Aldo ci lascia il suono indelebile della sua voce, quel tono afono, un po’
strozzato, come di un uomo ferito da qualcosa. E quel tono lì resterà per
sempre, come un’eredità, nelle orecchie di chi lo ha ascoltato.
Poi padre Aldo ci lascia l’esempio delle sue virtù, e anche
delle sue piccole manchevolezze, quei due elementi che fanno grande un uomo.
Sì, padre Aldo era un uomo che pulsava d’amore per il suo prossimo, poi si
concedeva due o tre cappuccini il mattino, lavava i piatti per tutti e di
notte, anziché dormire, passava lunghe ore davanti al Santissimo. Il diabete lo
costringeva a lunghe camminate appena sveglio. Aveva bisogno di tutti e di
tutto, senza nasconderlo.
Ci lascia l’esempio della caparbietà di fronte ad ogni cosa,
davanti ad ogni contrarietà, ad ogni ostacolo. Una caparbietà dolce e priva di
qualsiasi aggressività. Per lui era come se le patate bollenti della vita si
dovessero sempre prendere da sotto, col mestolo di legno, per non romperle e,
allo stesso tempo, non scottarsi le dita. Padre Aldo si è portato in dote in
Paraguay questa sua dolce caparbietà, tutta veneta. Su invito di don Luigi
Giussani è andato in un Paese povero e sconosciuto del Sudamerica, che ha
percorso in lungo e in largo, su traballanti corriere, per conoscere, gomito a
gomito, scossone su scossone, il popolo guaraní. Sarebbe diventato il suo
popolo, che lo chiamava padre, in lingua guaraní “paí”. Furono due anni intensi
di immersione nella cultura guaraní, di studio della sua storia, delle sue
radici. Poi la scoperta dell’arte barocca delle sue chiese. Un tirocinio, una
cultura che precedeva e avrebbe reso la sua carità missionaria più vera, più
incarnata.
Ed ecco la grande tenerezza di un uomo che ha saputo essere
un buon pastore per le sue pecore. Quando entrava in una favela di Asunción, la
capitale del Paraguay, padre Aldo spesso ne usciva con un malato in spalla,
come si vede in certi quadri del Buon Samaritano. Anche se non c’era posto nel
piccolo ospedale della parrocchia di san Rafael, non importava. Il suo cruccio
era: come si fa a lasciare lì quella gente a vivere e a procreare in pochi
metri quadrati di una baracca? Incominciava a ricoverare la donna, spesso si
trattava di malattie incurabili all’ultimo stadio. Lo scopo era ridare dignità
alla malattia. Poi si preoccupava di mandare a scuola i suoi bambini. Anche
l’uomo che le viveva accanto, spinto da padre Aldo, lasciava donne e stravizi
per un matrimonio inaspettato e felice. Un pezzo di paradiso guaraní in
ospedale, prima del salto finale. Loro stessi dicevano di essere felici, di
avere vissuto come animali e ora di morire come re.
Per il paí prima di tutto venivano i bambini. Quelli
nell’ospedale dei piccoli malati, su in alto sopra l’oratorio, perché quelli
sani, tutti ben ordinati e con le divise stirate, guardassero sopra e sapessero
di loro. Una preghierina. Il reparto dei bambini era il luogo prediletto di
padre Aldo, dove avrebbe voluto mettere un letto e una scrivania per sé e non
muoversi più. Con padre Aldo nella parrocchia di Asunción la vita rinasceva, e
veniva da piangere, e da ridere insieme, a vedere la gioia di questi bimbi.
Viene ancora adesso alla memoria, nel pensarci, un brivido di compassione, in
tanta aridità che spesso prende il cuore.
Padre Aldo, quando poteva, diceva Messa nella foresta, sopra
i resti degli altari dei gesuiti, tra le radici che si mangiavano le
fondamenta, le mura di quella che era la “città di Dio”, le reducciones
governate un tempo dai guaraní. Padre Aldo era capace di litigare, alla
frontiera tra Paraguay e Venezuela, solo per far vedere a te quelle cose lì. Ci
lasciava l’anima. Si metteva il suo bel collarino da prete e andava
all’attacco. La spuntava sempre lui.
Il popolo del rio Paraná voleva bene a quel “nuovo” paí che
gli antenati di certo avevano mandato, nascosto sotto il vestito di un prete
italiano. Un prete che si sarebbe perso, come tanti altri preti, nella bufera
degli anni Sessanta. E invece quei due mesi d’estate, passati insieme con don
Luigi Giussani, sono stati per lui un corso accelerato, un “seminario”. Poi due
anni di tirocinio, come si dice, di inculturazione, in un Paese come il
Paraguay che oggi è diventato dopo tanti anni il suo Paese d’elezione e dove ha
voluto salire in cielo, da quelle stesse stanze d’ospedale dove lui trattava
ogni malato come un re.
(…)
https://www.ilsussidiario.net/news/aldo-trento-la-forza-di-dare-tutto-un-uomo-ferito-da-cristo-e-don-giussani/2782969/#:~:text=DON%20LUIGI%20GIUSSANI-,ALDO%20TRENTO/%20La%20forza%20di%20dare%20tutto%3A%20un%20uomo%20%E2%80%9Cferito%E2%80%9D%20da,%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94%20%E2%80%94,-Abbiamo%20bisogno%20del
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