giovedì 5 dicembre 2024

Gocce di misericordia al quartiere Corvetto prima e dopo la tragedia di Ramy Elgami


 Gocce di misericordia al Corvetto

Dopo la tragedia di Ramy Elgami, parlano le Suore di Carità dell’Assunzione: «Qui non è una banlieue e il bisogno dei giovani che incontriamo è il nostro stesso desiderio di bellezza e felicità. Per questo li accompagniamo, facendo le cose insieme»

 

04.12.2024

Paola Bergamini

«In questi giorni c’è tanto dolore. Mio figlio ha dentro una gran rabbia, lei che lo conosce bene mi dica come posso aiutarlo», aveva chiesto una mamma egiziana, a suor Paola delle Suore di Carità dell’Assunzione, dopo la tragedia di Ramy Elgami, diciannovenne egiziano morto cadendo dallo scooter inseguito dai carabinieri, al Corvetto, quartiere della periferia milanese. Ma una rabbia cattiva era esplosa in disordini con incendi di cassonetti, striscioni pieni di odio e altri vandalismi, tanto che sui giornali si era parlato di clima da banlieue. «Da subito ci siamo opposte a questa definizione», dice suor Mariangela Marognoli, superiora della Congregazione che dal 1954 opera in questa zona assistendo 300 famiglie, molte straniere, e oltre 600 minori. «Innanzitutto, perché i protagonisti dei disordini venivano da fuori, come ci hanno riferito gli abitanti del quartiere. C’è stata una strumentalizzazione della tragedia. Ma non è assolutamente la realtà del Corvetto. Dentro tante fatiche, la gente desidera vivere una normalità. In questo noi cerchiamo di sostenerle». Quotidianamente, in ogni circostanza, come per la tragedia di Ramy.

Il lunedì successivo al fatto, suor Francesca lancia ai bambini del doposcuola la proposta del presepe vivente, un evento che ogni anno si snoda lungo le strade del quartiere e che vede la partecipazione di tante persone non solo del Corvetto. «Abbiamo fatto vedere il video dell’edizione precedente per riaffermare la possibilità di bene che avviene attraverso la nascita di Gesù Bambino». Per introdurre il pomeriggio, come fanno ogni giorno dall’inizio del conflitto in Ucraina, recitano una Ave Maria per la pace. «Preghiamo per l’Ucraina, per la Terrasanta e per la pace dei nostri cuori, perché anche in noi c’è la guerra», dice suor Francesca. Non nomina Ramy, ma aggiunge: «Chi lo desidera può venire a parlare personalmente». Un ragazzo le racconta che sua mamma va ogni giorno dalla madre del ragazzo morto a pregare.

Con suor Fulvia alcuni ragazzi tirano fuori il dolore di quella morte e al contempo iniziano a farsi domande sulla loro vita: «Sulla difficoltà a riconoscere l’autorità, sul limite, sul significato delle regole, sulle conseguenze del proprio comportamento a cui a volte non si bada. “Certo che se avesse avuto il casco, se si fosse fermato al posto di blocco”, mi ha detto un ragazzo». Una presa di consapevolezza, più utile di tante manifestazioni. Non a caso, il padre di Ramy ha fatto ringraziare le suore per quanto hanno detto al servizio del Tgcom24, poche battute per raccontare che «se uno vuol vedere ciò che è vivo al Corvetto, lo vede molto più facilmente, nel senso che c’è tantissima vita. Se guardo il ragazzo come “tu sei quello che distrugge” non l’aiuterò mai a far venire fuori la voglia di costruzione che ha».

Ogni giorno le suore di Carità dell’Assunzione accompagnano le famiglie nei bisogni che emergono: assistenza infermieristica, mediazione linguistica per gli stranieri, colloqui con professori e altro ancora. «Li accompagniamo, non risolviamo i loro problemi», spiega suor Cristina. «Banalmente, c’è da compilare una domanda online? Lo facciamo insieme spiegando ogni passaggio. È la stima per l’altro che ci muove perché possa essere quello per cui Dio lo ha fatto».

Un accompagnamento che dura mesi, a volte anni, a fronte di situazioni di grande difficoltà e solitudine in cui non sembra esserci via d’uscita. Nell’abitazione popolare di una famiglia seguita dalle suore, quando piove è un disastro: la casa è sempre alluvionata, con tutti i disagi del caso. Alle continue richieste non arriva risposta. «Il padre ha saputo aspettare senza cedere a compromessi perché certo della nostra compagnia, fino al momento in cui una nuova casa gli è stata assegnata!», racconta suor Paola. «Io non sono sola. Sono dentro una storia, una comunità che porta con me il dolore della gente». Questo il punto che le famiglie e i bambini del Corvetto vedono: una comunità viva.

 

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