Gocce di misericordia al Corvetto
Dopo la tragedia di Ramy Elgami, parlano le Suore di Carità
dell’Assunzione: «Qui non è una banlieue e il bisogno dei giovani che
incontriamo è il nostro stesso desiderio di bellezza e felicità. Per questo li
accompagniamo, facendo le cose insieme»
04.12.2024
Paola Bergamini
«In questi giorni c’è tanto dolore. Mio figlio ha dentro una
gran rabbia, lei che lo conosce bene mi dica come posso aiutarlo», aveva
chiesto una mamma egiziana, a suor Paola delle Suore di Carità dell’Assunzione,
dopo la tragedia di Ramy Elgami, diciannovenne egiziano morto cadendo dallo
scooter inseguito dai carabinieri, al Corvetto, quartiere della periferia
milanese. Ma una rabbia cattiva era esplosa in disordini con incendi di
cassonetti, striscioni pieni di odio e altri vandalismi, tanto che sui giornali
si era parlato di clima da banlieue. «Da subito ci siamo opposte a questa
definizione», dice suor Mariangela Marognoli, superiora della Congregazione che
dal 1954 opera in questa zona assistendo 300 famiglie, molte straniere, e oltre
600 minori. «Innanzitutto, perché i protagonisti dei disordini venivano da
fuori, come ci hanno riferito gli abitanti del quartiere. C’è stata una
strumentalizzazione della tragedia. Ma non è assolutamente la realtà del
Corvetto. Dentro tante fatiche, la gente desidera vivere una normalità. In
questo noi cerchiamo di sostenerle». Quotidianamente, in ogni circostanza, come
per la tragedia di Ramy.
Il lunedì successivo al fatto, suor Francesca lancia ai
bambini del doposcuola la proposta del presepe vivente, un evento che ogni anno
si snoda lungo le strade del quartiere e che vede la partecipazione di tante
persone non solo del Corvetto. «Abbiamo fatto vedere il video dell’edizione
precedente per riaffermare la possibilità di bene che avviene attraverso la
nascita di Gesù Bambino». Per introdurre il pomeriggio, come fanno ogni giorno
dall’inizio del conflitto in Ucraina, recitano una Ave Maria per la pace.
«Preghiamo per l’Ucraina, per la Terrasanta e per la pace dei nostri cuori,
perché anche in noi c’è la guerra», dice suor Francesca. Non nomina Ramy, ma
aggiunge: «Chi lo desidera può venire a parlare personalmente». Un ragazzo le
racconta che sua mamma va ogni giorno dalla madre del ragazzo morto a pregare.
Con suor Fulvia alcuni ragazzi tirano fuori il dolore di
quella morte e al contempo iniziano a farsi domande sulla loro vita: «Sulla
difficoltà a riconoscere l’autorità, sul limite, sul significato delle regole,
sulle conseguenze del proprio comportamento a cui a volte non si bada. “Certo
che se avesse avuto il casco, se si fosse fermato al posto di blocco”, mi ha
detto un ragazzo». Una presa di consapevolezza, più utile di tante
manifestazioni. Non a caso, il padre di Ramy ha fatto ringraziare le suore per
quanto hanno detto al servizio del Tgcom24, poche battute per raccontare che
«se uno vuol vedere ciò che è vivo al Corvetto, lo vede molto più facilmente,
nel senso che c’è tantissima vita. Se guardo il ragazzo come “tu sei quello che
distrugge” non l’aiuterò mai a far venire fuori la voglia di costruzione che
ha».
Ogni giorno le suore di Carità dell’Assunzione accompagnano
le famiglie nei bisogni che emergono: assistenza infermieristica, mediazione
linguistica per gli stranieri, colloqui con professori e altro ancora. «Li
accompagniamo, non risolviamo i loro problemi», spiega suor Cristina.
«Banalmente, c’è da compilare una domanda online? Lo facciamo insieme spiegando
ogni passaggio. È la stima per l’altro che ci muove perché possa essere quello
per cui Dio lo ha fatto».
Un accompagnamento che dura mesi, a volte anni, a fronte di
situazioni di grande difficoltà e solitudine in cui non sembra esserci via
d’uscita. Nell’abitazione popolare di una famiglia seguita dalle suore, quando
piove è un disastro: la casa è sempre alluvionata, con tutti i disagi del caso.
Alle continue richieste non arriva risposta. «Il padre ha saputo aspettare
senza cedere a compromessi perché certo della nostra compagnia, fino al momento
in cui una nuova casa gli è stata assegnata!», racconta suor Paola. «Io non
sono sola. Sono dentro una storia, una comunità che porta con me il dolore
della gente». Questo il punto che le famiglie e i bambini del Corvetto vedono:
una comunità viva.
(….)
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