GIOVANNI PAOLO II
Nacque il tuo nome da ciò che fissavi
di Julián Carrón
24/04/2014 - Lo speciale di Tracce sul Pontificato di papa Wojtyla, del maggio 2005. Lo riproponiamo in occasione della canonizzazione. Qui, le parole introduttive del presidente della Fraternità di CL
È impossibile esprimere tutto il nostro dolore per la morte di
Giovanni Paolo II. La sua scomparsa ci riempie di un silenzio pieno di
gratitudine e di una devozione appassionata alla sua persona e alla sua
vita. Questo dolore è alleviato solo dalla certezza della sua
compagnia perenne e dell’aiuto che, dalla casa del Padre, continuerà a
dare alla sua amata Chiesa, intercedendo per essa davanti a Cristo.
Non potremo mai dimenticare la sua appassionata testimonianza di Cristo, data con tutta l’energia di cui è stato capace, senza risparmiarsi assolutamente nulla. Come san Paolo, ha riempito tutto il mondo del vangelo di Cristo (cfr. Rm 15,19), nell’unico modo possibile: incarnandolo, facendo vedere a tutti che cos’è il cristianesimo.
Nella commovente omelia durante il funerale, il cardinale Ratzinger ha ricordato a tutti che «il nostro Papa ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi», e in questo modo «ha dato nuova attrazione all’annuncio del Vangelo».
Noi abbiamo visto coi nostri occhi che cosa vuol dire una persona tutta investita dalla presenza di Cristo, qual è il livello che raggiunge l’umano quando l’uomo - come il Papa ci ha invitato a fare dal primo istante del suo pontificato - apre le porte a Cristo. Così abbiamo imparato da vicino - come ha scritto don Giussani per il venticinquesimo di pontificato di Giovanni Paolo II - che «il cristianesimo tende a essere veramente la realizzazione dell’umano», e perciò «è la strada per il compimento della felicità dell’uomo».
È stato certamente questo a destare l’interesse per la sua persona in tanti dei nostri contemporanei. Colpiti dalla sua umanità realizzata, non hanno potuto evitare di essere toccati. Quanti sono coloro che attraverso il Papa hanno scoperto il fatto cristiano o recuperato la stima per un cristianesimo che in tanti davano ormai per sconfitto! La spontanea e imponente reazione della gente alla sua morte, così come alla sua vita, è il segno palpabile di che cosa accade quando una persona incontra un cristiano vero. Proprio questo ci indica, più di qualsiasi indagine, di che cosa ha bisogno la gente: di testimoni di quell’umanità compiuta che accade in chi accoglie Cristo con semplicità. Giovanni Paolo II ci ha mostrato che quando la trovano, sono colpiti. Non è stata forse questa la nostra stessa esperienza? È questo che ci deve convincere di quanto gli uomini d’oggi, allo stesso modo di quelli di ieri, attendono la testimonianza di una fede in cui si veda il fiorire dell’umano.
Noi, poi, abbiamo un debito impagabile nei confronti di Giovanni Paolo II per il riconoscimento pontificio della nostra Fraternità e dei Memores Domini. La paternità che ha avuto nei nostri confronti ha segnato e segnerà per sempre la nostra storia. Allora non c’è modo migliore per noi di ringraziarlo che vivere con più consapevolezza che mai lo scopo per cui la nostra compagnia esiste, secondo le parole che il Santo Padre ci ha scritto nel 2002: «Indicare non una strada, ma la strada. La strada è Cristo».
Il modo più semplice di ringraziare il Papa è continuare quello che egli ha testimoniato mentre era tra noi: «Con semplicità di parole l’esperienza del Mistero torni tra la folla, tra la gente-gente» (don Giussani). Dall’esperienza eccezionale di questi giorni impariamo, insieme a tutta la Chiesa, che proprio in questo si gioca il futuro.
24/04/2014 - Lo speciale di Tracce sul Pontificato di papa Wojtyla, del maggio 2005. Lo riproponiamo in occasione della canonizzazione. Qui, le parole introduttive del presidente della Fraternità di CL
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Lo Speciale Tracce su Giovanni Paolo II.
Non potremo mai dimenticare la sua appassionata testimonianza di Cristo, data con tutta l’energia di cui è stato capace, senza risparmiarsi assolutamente nulla. Come san Paolo, ha riempito tutto il mondo del vangelo di Cristo (cfr. Rm 15,19), nell’unico modo possibile: incarnandolo, facendo vedere a tutti che cos’è il cristianesimo.
Nella commovente omelia durante il funerale, il cardinale Ratzinger ha ricordato a tutti che «il nostro Papa ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all’ultimo momento, per Cristo e così anche per noi», e in questo modo «ha dato nuova attrazione all’annuncio del Vangelo».
Noi abbiamo visto coi nostri occhi che cosa vuol dire una persona tutta investita dalla presenza di Cristo, qual è il livello che raggiunge l’umano quando l’uomo - come il Papa ci ha invitato a fare dal primo istante del suo pontificato - apre le porte a Cristo. Così abbiamo imparato da vicino - come ha scritto don Giussani per il venticinquesimo di pontificato di Giovanni Paolo II - che «il cristianesimo tende a essere veramente la realizzazione dell’umano», e perciò «è la strada per il compimento della felicità dell’uomo».
È stato certamente questo a destare l’interesse per la sua persona in tanti dei nostri contemporanei. Colpiti dalla sua umanità realizzata, non hanno potuto evitare di essere toccati. Quanti sono coloro che attraverso il Papa hanno scoperto il fatto cristiano o recuperato la stima per un cristianesimo che in tanti davano ormai per sconfitto! La spontanea e imponente reazione della gente alla sua morte, così come alla sua vita, è il segno palpabile di che cosa accade quando una persona incontra un cristiano vero. Proprio questo ci indica, più di qualsiasi indagine, di che cosa ha bisogno la gente: di testimoni di quell’umanità compiuta che accade in chi accoglie Cristo con semplicità. Giovanni Paolo II ci ha mostrato che quando la trovano, sono colpiti. Non è stata forse questa la nostra stessa esperienza? È questo che ci deve convincere di quanto gli uomini d’oggi, allo stesso modo di quelli di ieri, attendono la testimonianza di una fede in cui si veda il fiorire dell’umano.
Noi, poi, abbiamo un debito impagabile nei confronti di Giovanni Paolo II per il riconoscimento pontificio della nostra Fraternità e dei Memores Domini. La paternità che ha avuto nei nostri confronti ha segnato e segnerà per sempre la nostra storia. Allora non c’è modo migliore per noi di ringraziarlo che vivere con più consapevolezza che mai lo scopo per cui la nostra compagnia esiste, secondo le parole che il Santo Padre ci ha scritto nel 2002: «Indicare non una strada, ma la strada. La strada è Cristo».
Il modo più semplice di ringraziare il Papa è continuare quello che egli ha testimoniato mentre era tra noi: «Con semplicità di parole l’esperienza del Mistero torni tra la folla, tra la gente-gente» (don Giussani). Dall’esperienza eccezionale di questi giorni impariamo, insieme a tutta la Chiesa, che proprio in questo si gioca il futuro.