RECENSIONE
L’Avvento e il cuore corrotto
di Alessandra Stoppa17/11/2014 - Una riflessione dell'allora cardinale Bergoglio di fronte ai fatti accaduti dopo l'omicidio di una studentessa in Argentina nel 1991. Oltre i luoghi comuni, un cammino, un metodo, per capire cosa sia davvero «il male del nostro tempo»
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J.M.Bergoglio, ''Guarire dalla corruzione''
Bergoglio parte da una constatazione: «Si parla spesso di corruzione». Ma altrettanto spesso diventa un luogo comune, si confonde il suo significato e la si scambia con il peccato o il vizio. Questo brevissimo volume percorre il metodo per conoscere cosa sia davvero quello che lui considera «il male del nostro tempo».
Innanzitutto, la corruzione c’è perché c’è un cuore corrotto. Il metodo di Bergoglio è partire dall’esperienza. «Il cuore non è un’ultima istanza dell’uomo, chiusa in se stessa. Il cuore umano è cuore nella misura in cui si riferisce ad un’altra cosa; nella misura in cui è capace di aderire», scrive. E segue il metodo di Gesù, che per insegnarci a conoscere il nostro cuore dice: là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore. «Conoscere il cuore, il suo stato, comporta conoscere il tesoro al quale si riferisce». Il tesoro che lo libera o lo rende schiavo, che lo riempie o lo distrugge.
Ci è familiare, ora che è Papa, l’invito a ripeterci le cose, a ripetercele l’un l’altro: «Ci farà bene dirci, e dirlo con timore: “Peccatore sì! Corrotto no!”». Peccatori come ci fa dire la Chiesa all’inizio di ogni messa, peccatori come il Figliol prodigo: Ho peccato contro il Cielo e contro di te. «Ma dopo non seppe continuare il discorso», scrive Bergoglio, «perché rimase ammutolito dal caldo abbraccio del padre che lo aspettava». Come Zaccheo, Matteo, la Samaritana, Nicodemo: perché erano «aperti al perdono». Il loro cuore sentiva la propria debolezza: «E da lì poteva entrare la forza di Dio».
Tra corruzione e peccato c’è un salto qualitativo, non una differenza quantitativa («tanti peccati non fanno un corrotto»): la corruzione è l’abitudine che «deteriora e limita la capacità di amare», ripiega l’orizzonte del cuore. Alla radice c’è quella che lui chiama «la stanchezza della trascendenza». Mentre «Dio non si stanca di perdonarci» (quante volte ce lo ricorda da Papa), il cuore corrotto ha la pretesa di salvarsi da solo. «Un’autosufficienza di base, che inizia come incosciente e in seguito viene assunta come la cosa più naturale».
Bergoglio mostra alcuni comportamenti peculiari del cuore corrotto: il paragone continuo con gli altri, l’ergersi a giudice degli altri, la giustificazione dei propri atti e il proselitismo: diventiamo la misura del compimento («compio e mento», dice il Papa) e “arruoliamo” gli altri: così si genera solo la «pigmeizzazione» di chi ci sta accanto, che non cresce in libertà nel rapporto con noi, perché non si è capaci di amicizia vera, solo di complicità.
La franchezza delle immagini è quella di Francesco: «Lo stato di corruzione è come l’alito cattivo: difficilmente chi ha l’alito pesante se ne rende conto. Sono gli altri che se ne accorgono». Ma un cuore corrotto non cambia mai per un rimorso interiore, per un sussulto di virtù. «Di solito il Signore lo salva attraverso prove», che spaccano e permettono l’accesso della Grazia. Solo allora potrà essere curato e guarito.
Il libro si chiude con la corruzione dell’uomo religioso. Stati di corruzione «quotidiana», «veniale». Fino a far coincidere la vita con «la realizzazione immanente della personalità»: la soddisfazione professionale, l’esito delle opere, la stima degli altri, la vita sociale, le vacanze con gli amici, l’uso degli strumenti moderni che riempiono il vuoto... Il beato Pietro Favre aveva una regola d’oro per comprendere lo stato di un’anima: le proponeva qualcosa “in più” (magis), vedendo se reagiva male per una chiusura alla generosità. La resistenza del nostro cuore è quella di Natanaele, per cui era più facile rimanere scettico e dire che da Nazareth non può venire nulla di buono, piuttosto che «credere all’entusiasmo di Filippo». È la stessa resistenza degli apostoli che non credevano ai loro occhi nel Cenacolo. Bergoglio individua il nodo del problema: «Si preferisce il realismo del meno alla promessa del più». È lo scoraggiamento dell’anima. «Il timore della visita di Dio». Perché il dolore demoralizza il cuore, che preferisce abituarsi «per non doversi sorprendere, né tornare a soffrire», se dovessero arrivare altri colpi. O, anche solo, perché «il cuore non vuole problemi».
Di fronte a tutto questo, la Chiesa cosa fa? «Mostra la grandezza dei suoi santi». E la conclusione è folgorante: «Chissà, uno sogna ad occhi aperti e vorrebbe ravvivare questa parte morta del cuore, avverte l’invito del Signore... Ma: quanto lavoro, troppa fatica! La nostra indigenza deve sforzarsi per aprire uno spazio alla trascendenza e la malattia della corruzione ce lo impedisce. Ma il Signore non si stanca mai di chiamarci: “Non avere paura...”. Non temere cosa? Non temere la speranza... E la speranza non delude».
Francesco (Jorge Mario Bergoglio)
Guarire dalla corruzione