Rémi Brague: «Una nonna stanca. Manca di ambizione»
Daniele Zappalà
27 novembre 2014
Fra
gli intellettuali europei che più attentamente hanno seguito la visita
di Papa Francesco a Strasburgo, figura di certo pure il grande filosofo
francese Rémi Brague, che all’identità continentale ha dedicato opere
memorabili, a cominciare da "Il futuro dell’Occidente. Nel modello
romano la salvezza dell’Europa" (Bompiani). Docente alla Sorbona e già
titolare a Monaco di Baviera della cattedra dedicata a Romano Guardini,
professore invitato in numerose università statunitensi e vincitore nel
2012 del Premio Ratzinger per gli studi in teologia, Brague si dice
impressionato, oltre che dalle parole pronunciate dal Papa, anche
dall’intero contesto d’attenzione concentrata, in particolare durante il
primo discorso all’Europarlamento.
Professore, cosa l’ha colpita di più nei due discorsi a Strasburgo?
Prima di tutto, la reazione del pubblico. Certo, alcuni stupidi hanno lasciato l’aula, rifiutando a priori di ascoltare. Ma Francesco ha saputo farsi applaudire pur dicendo cose ben poco gradevoli da ascoltare. Torno dalla Spagna, e i giornali parlavano di questo deputato d’estrema sinistra, un tantino "mangiapreti", che ha cinguettato su Twitter la sua soddisfazione.
Al termine del discorso al Consiglio d’Europa, Papa Francesco ha auspicato una "nuova agorà" di confronto fra istanze civili e religiose. E la celebre tela "La scuola di Atene" di Raffaello è stata impiegata dal Pontefice come metafora del continente. Come ha percepito l’invito riferito allo spirito dell’agorà?
L’agorà era il mercato di Atene, dove Socrate cercava i suoi discepoli. È interessante che, in un mondo dove tutto tende a ridursi a mercato, un punto che i Papi criticano, occorra auspicare un mercato delle idee e dei credi. Non vi è nessuna contraddizione poiché, se i beni che scambiamo sui mercati materiali e finanziari passano in mano di colui che li compra e sono perduti da chi li vende, i beni intellettuali e spirituali arricchiscono chi li riceve senza impoverire chi li dà. Per questi beni, occorre auspicare un mercato totalmente aperto, nel quale idee e credi valgano solo per la propria dignità, senza intervento di un potere qualsiasi che cercherebbe d’imporli.
I passaggi sulla «stanchezza» dell’Europa sono più le parole di un pastore o quelle di colui che guida la Chiesa «esperta in umanità»?
Husserl aveva evocato questo punto nella sua famosa conferenza di Vienna, nel 1935. Mi ha molto colpito l’immagine della nonna, essendo io stesso un nonno. La Chiesa non è solo esperta in umanità. È soprattutto un’istanza che si fa dell’uomo un’idea più alta di quella che l’uomo ha di se stesso. Il Dio di cui è serva ha sull’uomo ambizioni altissime, ben al di là di ciò che l’uomo, abbandonato a se stesso, potrebbe permettersi di sperare. Questa "stanchezza" è in fondo una mancanza di ambizione.
Il discorso al Parlamento europeo evoca «la cultura dello scarto» diffusa nelle nostre società. Secondo lei, occorre intendere ciò come il polo opposto all’"ecologia umana" evocata a Strasburgo dal Papa?
Quest’ultima espressione è stata lanciata da Benedetto XVI nel 2011. Il fatto che Francesco la riprenda mostra, dietro le differenze evidenti di stile, la profonda continuità fra i due.
Papa Francesco osserva: «La cultura, infatti, nasce sempre dall’incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l’attuazione del bene, è bellezza». È sorpreso o colpito da quest’evocazione della bellezza?
L’ho trovata toccante, ma non mi ha sorpreso. Ho letto a sufficienza Hans Urs von Balthasar per apprezzare la promozione della bellezza a concetto teologico. Parlare della bellezza è tanto più necessario se si pensa che esiste nell’arte una tendenza di lungo respiro, cominciata proprio alla fine del Settecento, a sostituire alla ricerca della Bellezza quella dell’interessante, il quale può essere brutto, a condizione che sia incisivo. Certe tendenze in ciò che si autoproclama "arte contemporanea" spingono ciò alle estreme conseguenze. È importante riscoprire la Bellezza, già elevata a dimensione trascendente a pieno titolo da Bonaventura e come tale capace di aprire al Vero e al Bene.
Professore, cosa l’ha colpita di più nei due discorsi a Strasburgo?
Prima di tutto, la reazione del pubblico. Certo, alcuni stupidi hanno lasciato l’aula, rifiutando a priori di ascoltare. Ma Francesco ha saputo farsi applaudire pur dicendo cose ben poco gradevoli da ascoltare. Torno dalla Spagna, e i giornali parlavano di questo deputato d’estrema sinistra, un tantino "mangiapreti", che ha cinguettato su Twitter la sua soddisfazione.
Al termine del discorso al Consiglio d’Europa, Papa Francesco ha auspicato una "nuova agorà" di confronto fra istanze civili e religiose. E la celebre tela "La scuola di Atene" di Raffaello è stata impiegata dal Pontefice come metafora del continente. Come ha percepito l’invito riferito allo spirito dell’agorà?
L’agorà era il mercato di Atene, dove Socrate cercava i suoi discepoli. È interessante che, in un mondo dove tutto tende a ridursi a mercato, un punto che i Papi criticano, occorra auspicare un mercato delle idee e dei credi. Non vi è nessuna contraddizione poiché, se i beni che scambiamo sui mercati materiali e finanziari passano in mano di colui che li compra e sono perduti da chi li vende, i beni intellettuali e spirituali arricchiscono chi li riceve senza impoverire chi li dà. Per questi beni, occorre auspicare un mercato totalmente aperto, nel quale idee e credi valgano solo per la propria dignità, senza intervento di un potere qualsiasi che cercherebbe d’imporli.
I passaggi sulla «stanchezza» dell’Europa sono più le parole di un pastore o quelle di colui che guida la Chiesa «esperta in umanità»?
Husserl aveva evocato questo punto nella sua famosa conferenza di Vienna, nel 1935. Mi ha molto colpito l’immagine della nonna, essendo io stesso un nonno. La Chiesa non è solo esperta in umanità. È soprattutto un’istanza che si fa dell’uomo un’idea più alta di quella che l’uomo ha di se stesso. Il Dio di cui è serva ha sull’uomo ambizioni altissime, ben al di là di ciò che l’uomo, abbandonato a se stesso, potrebbe permettersi di sperare. Questa "stanchezza" è in fondo una mancanza di ambizione.
Il discorso al Parlamento europeo evoca «la cultura dello scarto» diffusa nelle nostre società. Secondo lei, occorre intendere ciò come il polo opposto all’"ecologia umana" evocata a Strasburgo dal Papa?
Quest’ultima espressione è stata lanciata da Benedetto XVI nel 2011. Il fatto che Francesco la riprenda mostra, dietro le differenze evidenti di stile, la profonda continuità fra i due.
Papa Francesco osserva: «La cultura, infatti, nasce sempre dall’incontro reciproco, volto a stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono parte; e questo, oltre ad essere l’attuazione del bene, è bellezza». È sorpreso o colpito da quest’evocazione della bellezza?
L’ho trovata toccante, ma non mi ha sorpreso. Ho letto a sufficienza Hans Urs von Balthasar per apprezzare la promozione della bellezza a concetto teologico. Parlare della bellezza è tanto più necessario se si pensa che esiste nell’arte una tendenza di lungo respiro, cominciata proprio alla fine del Settecento, a sostituire alla ricerca della Bellezza quella dell’interessante, il quale può essere brutto, a condizione che sia incisivo. Certe tendenze in ciò che si autoproclama "arte contemporanea" spingono ciò alle estreme conseguenze. È importante riscoprire la Bellezza, già elevata a dimensione trascendente a pieno titolo da Bonaventura e come tale capace di aprire al Vero e al Bene.
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